Una valle divisa in due

La Vallemaggia è una valle divisa in due. Anche se in realtà è una sola. Da una parte c’è un territorio più montano, discosto, lontano. Che anche per questo assiste a un progressivo spopolamento di abitanti e posti di lavoro. Dall’altra c’è invece una comunità che se paragonata all’altra cresce (sottraendo abitanti proprio alla prima) e somiglia sempre più a un diffuso quartiere cittadino-montano. Due aree diverse, forse anche distanti per dinamiche, numeri, tendenze. Ma nello stesso tempo uguali. «Con una stessa identità», specifica non a caso Timo Cadlolo, coordinatore del Masterplan dell’alta valle. Non solo perché la Vallemaggia è una sola. Ma anche perché in fondo condividono le stesse preoccupazioni: restare attrattivi, non perdere terreno nei confronti del resto del Ticino. Che da quassù appare poco più di uno spicchio. Anche perché qui abita solo il 2% dell’intera popolazione cantonale, meno di 6 mila persone.
Uniti nonostante le differenze. Armando Dadò, 86 anni e una carriera di imprenditore ed editore importante, ha sempre vissuto a Cevio. E quando pensa alla sua valle gli vengono in mente due pensieri. Distinti. Uno luminoso, «la basse valle è in crescita». Uno ombroso, «l’alta valle ha un grosso problema». Anche perché a Cevio, dove vive, «prevale spesso un atteggiamento conflittuale», che frena scelte e progetti. «Come l’ampliamento della casa anziani», oggi contestato. O la costruzione della nuova scuola elementare, affossata in votazione popolare. Dadò è convinto. «Mancano le forze umane, le personalità capaci di convincere e portare avanti i progetti».
Difficile sapere se queste difficoltà incidano sullo spopolamento. Forse non sono le sole. Di sicuro le sfide non mancano. Cadlolo si dice comunque ottimista. Anche perché, sostiene, la sfida più importante ha a che fare anche con la cultura. In particolare quella dell’accoglienza. Che è strettamente legata con il turismo. Ma anche alle esigenze della popolazione. «Come dimostra il progetto per riaprire il centro ricreativo turistico di Bignasco». Tutto questo, anche se «l’assetto istituzionale un po’ frammentato dell’alta valle non aiuta», precisa Cadlolo. Tanto più che una delle molle del cambiamento che ha modificato il volto della bassa valle è sicuramente arrivata anche dall’aggregazione del 2004. Che ha portato Aurigeno, Coglio, Giumaglio, Lodano, Moghegno e Someo a confluire nel nuovo Comune di Maggia. Ecco perché qualcuno immagina di ridare impulso ai «cugini» dell’alta valle con le stesse dinamiche. Unire le forze. Remare tutti insieme verso gli stessi obiettivi. Che poi non si discostano molto da quelli che intendono raggiungere altre valli ticinesi.
In tutto questo c’è però anche chi come Giovanni Frapolli, imprenditore proprietario degli impianti di risalita e delle strutture ricettive di Bosco Gurin, chiede un cambio di passo immediato. «Ormai sono 30 anni che giro la valle e non ho mai visto una crescita, una collaborazione tra pubblico e privato degna di questo nome, a volte penso di aver buttato via tutti questi anni...», sottolinea con una punta di amarezza. Frapolli, che ripensa alle polemiche avute in passato con il Patriziato (superate) e oggi punta ad ampliare l’albergo e la spa di Bosco Gurin con nuovi finanziamenti, da una parte ci crede, ma vorrebbe anche andare avanti con più impulsi. «Servirebbero imprenditori e politici forti come le loro idee», dice.
Chi resta, resiste
Anche Gabriele Dazio, sindaco di Lavizzara, non nasconde le difficoltà. «Dal punto di vista finanziario stiamo soffrendo, è innegabile, anche perché riuscire a mantenere i servizi comunali nonostante lo spopolamento non è facile». Ma nonostante questo Lavizzara lotta, cerca di resistere. «Come per la scuola dell’infanzia che abbiamo pagato di tasca nostra». O come l’impegno a portare avanti in collaborazione con altri partner nuovi progetti, «come l’innalzamento delle diga del Sambuco e il rifacimento degli impianti dell’alta tensione», senza dimenticare l’idea di una teleferica tra la Leventina e la Vallemaggia, che si vuole far partire dalla stazione ferroviaria di Quinto e giungere a Fusio.
L’alta Vallemaggia però continua a spopolarsi. Nonostante le bellezze paesaggistiche e l’indubbia qualità di vita. Mattia Cavaliere ha invece fatto la scelta opposta. Tre anni fa è stato assunto come segretario comunale a Lavizzara. E non ci ha pensato un momento. «Ho sempre detto che mi sarai trasferito dove avrei trovato lavoro e così ho fatto», afferma. «Anche perché è giusto così, bisogna vivere il proprio paese». Ad arrivare in valle, a Cerentino, dal canton Lucerna alcuni anni fa è stato anche Beni Juchli. Che ha comprato casa Casserini e l’ha trasformata in una struttura ricettiva. «Ho cambiato vita per amore di questa casa - confida - e oggi sono contento della scelta fatta. Non tornerei più indietro».
Tra aggregazioni e tradizioni
Non tutti se ne vanno, insomma. O forse sì, perché il bilancio demografico è comunque negativo. Almeno in alto. Perché in basso, ad esempio a Moghegno, che oggi è una frazione di Maggia, la popolazione continua a salire e a trasformare il territorio. Del resto, Locarno è molto più vicina. Ecco perché c’è chi come il Patriziato locale cerca di tenere vive le tradizioni. Come quella di offrire una volta all’anno sale e zucchero gratis ai patrizi, il cui numero coincide quasi con quello degli abitanti. Un’usanza del passato che si vuole tenere ancora viva. Come il negozietto del paese, «aperto nel 1896 che oggi è una cooperativa e un luogo di aggregazione», dice Fabio Rianda, presidente del Patriziato di Moghegno.
Cambiare non significa insomma perdere l’identità. Vuol dire adattarsi. Intraprendere nuove sfide. «Con l’aggregazione il ruolo dei patrizi è cambiato - afferma Rianda - oggi sono più vicini alle frazioni, hanno rafforzato questo attaccamento e cercano di dare vita a iniziative e manifestazioni».
Niente immobilismo
Difficoltà non significano dunque immobilismo. Perché anche qui c’è chi si impegna a promuovere progetti ancorati al territorio. Come l’Ente regionale di sviluppo del Locarnese che in Vallemaggia ha creato un’antenna coordinata da Christian Ferrari e dallo stesso Timo Cadlolo. Obiettivo: dare impulso e sostegno a chi è rimasto e continua a lottare, mettendo in risalto le caratteristiche della regione. Come il progetto «aree verdi - precisa Ferrari - che si rifà all’analoga iniziativa in valle Verzasca e corrisponde ai posteggi per il tempo libero utilizzati in primo luogo dai turisti». O quello che vuole valorizzare i sentieri attorno a Maggia a favore della mobilità lenta. O ancora il perfezionamento della via Alta Vallemaggia. Perché la valle è uno scrigno naturale. Come dimostra del resto anche la valle Bavona. E le faggete delle valli di Lodano, Busai e Soladino recentemente iscritte nel patrimonio naturale dell’UNESCO.
Basteranno queste e altre iniziative per risollevare e dare di nuovo slancio al territorio? Qui tutti se lo augurano. Prima che sia troppo tardi.