Il personaggio

Una vita di cors(i)a

A tu per tu con Giorgio Noseda, ex primario di cardiologia all’ospedale Civico di Lugano e all’ospedale Beata vergine di Mendrisio
© CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
19.03.2023 10:27

Lo salutano ancora tutti. Medici, infermieri, pazienti e visitatori, come se non se ne fosse mai andato, anche se ha appeso il camice 5 anni fa, a 80 anni. «Scusate, posso entrare?», chiede prima di affacciarsi in una saletta. Nessuno gli dice di no. Anche se Giorgio Noseda, ex primario di cardiologia all’ospedale Civico di Lugano e ovviamente ex primario anche qui, all’ospedale Beata vergine di Mendrisio (OBV), vuole solo riguardare per un attimo delle litografie appese alle pareti della sala. «Me le ha donate la moglie di Friedrich Dürrenmatt e le ho messe qui», dice, mostrando un disegno in bianco e nero che ritrae la Creazione. Una Creazione fosca, tragica e anche un po’ spaventosa, secondo il tratto del celebre scrittore svizzero.

«L’ospedale mi manca, ne ho nostalgia», confida poi incamminandosi per uno dei tanti corridoi, che portano all’uscita. «Dov’è la statua, che era vicina alla porta?», domanda al ricezionista, come chi è sorpreso di non vedere qualcosa a casa sua. «Nella nuova ala», risponde gentile il ragazzo. «Ah, la nuova ala», ripete Noseda, accendendosi di gioia come un bambino, prima di uscire, di varcare la soglia di “casa sua”.

Un prima

Ma prima di uscire in realtà c’è stato anche un altro grande prima. Un prima che per Noseda ha coinciso con molte cose: l’essere stato professore, primario, promotore del nuovo OBV (che prima di oggi si trovava nell’attuale sede della Facoltà di Architettura), presidente della Lega svizzera contro il cancro, fondatore di Oncosuisse (associazione che riunisce le associazioni contro il cancro), fondatore e presidente della Fondazione Ricerca svizzera sul cancro, presidente dell’Istituto nazionale di epidemiologia e registrazione del cancro, fondatore dell’Istituto di ricerche in biomedicina (IRB) di Bellinzona, granconsigliere e «padre» della Legge sugli ospedali pubblici del 1982 che ha istituito l’Ente ospedaliero cantonale (EOC). 

Una prima grande e importante. Che ha attraversato non solo la storia della sanità del Ticino, ma anche quella della Confederazione. Perché Noseda è stato, tra le molte altre cose, anche il promotore del Registro nazionale dei tumori. Uno strumento, che in Svizzera ha base legale dal 2020, che raccoglie, documenta e disegna traiettorie dell’incidenza e della mortalità di tutti i tipi di tumore. 

I trend

Ed è proprio grazie a questo strumento che oggi è possibile affermare che «l’incidenza e la mortalità dei tumori più comuni nell’uomo, che colpiscono la prostata, il polmone e il colon, sono in diminuzione», afferma con soddisfazione Noseda, senza sottacere comunque l’aumento generale dei casi  «dovuto però all’invecchiamento della popolazione». Anche per due cancri di cui si ammalano principalmente le donne, seno e colon, «l’incidenza e la mortalità sono in diminuzione - continua l’ex presidente della Lega contro il cancro - non così invece per il polmone che sta invece aumentando perché le donne stanno fumando di più che in passato». Sono risultati come questi, secondo Noseda, a indicare che occorre insistere sulla diagnosi precoce e sulla prevenzione, così come si sta facendo, ad esempio, con lo screening al seno e da quest’anno in Ticino anche con lo screening al colon, al quale a giorni saranno invitate a partecipare in modo del tutto gratuito tutte le persone con più di 50 anni. 

L’IRB

Un grande prima ma anche un grande durante, perché Noseda non ha ancora abbandonato una delle sue creature, l’IRB di Bellinzona, così come non ha chiuso gli occhi davanti ai casi di tumore e alle cure, «come l’immunoterapia - sottolinea - che sta facendo registrare risultati strabilianti soprattutto per leucemia e melanomi». Un tumore quest’ultimo però in aumento come quello del pancreas, «che è molto difficile diagnosticare». L’IRB, una delle sue creature, si diceva, «nato da un’idea mia e di Franco Cavalli durante una trasmissione giornalistica per l’inaugurazione nel 1996 dell’Università della Svizzera italiana (USI)». Perché «non si poteva fare un’università di discipline solo umanistiche, serviva qualcosa che avesse anche a che fare con la medicina».

Un’idea che prende subito piede tra un gruppo di medici e specialisti ticinesi, «tra cui Marco Baggiolini, Carlo Maggini, Claudio Marone e Jean-Claude Piffaretti», e che porta Noseda, a quel tempo primario al Civico, a cercare uno stabile a Lugano. Senza risultato. «Poi, una sera, a un concerto di Ray Charles incontro…».

Noseda si interrompe e sorride. Magari sta pensando ai casi della vita. O alle coincidenze. Sta di fatto che a quel concerto incontra Paolo Agustoni, che all’epoca era sindaco di Bellinzona, e che gli propone di mettere l’IRB in via Vela 6, nello stabile appena lasciato libero dalla Swisscom. Un anno dopo, nel luglio 1997, c’è l’atto di fondazione, «nello studio dell’avvocato Brenno Martignoni», che diventerà sindaco negli anni successivi. Tre anni dopo, nel settembre 2020, ecco l’inaugurazione, la partenza «con un gruppo di ricercatori che ho reclutato da Basilea, dove erano rimasti senza lavoro a causa della chiusura dell’Istituto di immunologia, che aveva avuto 3 premi Nobel». 

Nel 2023, più di vent’anni dopo, i ricercatori sono diventati 140 e i nuovi spazi che sono stati appena aperti in via Francesco Chiesa sono già diventati stretti, perché nel frattempo è nato anche l’Istituto oncologico di ricerca (IOR), che dà lavoro a 70 persone, e serve un nuovo stabile che se tutto andrà come previsto sorgerà proprio accanto a quello attuale di via Chiesa. «Servono circa 50 milioni di franchi e li stiamo cercando - precisa Noseda - ma il progetto c’è già». 

Un grande prima, ma anche un grande durante, dunque. Senza dimenticare anche un futuro, si spera,  ancora ricco di soddisfazioni per la ricerca, la medicina e la salute delle persone.

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