Un'ondata di (cauto) ottimismo natalizio

In pochi giorni ci siamo portati a casa due magnifici regali: il sottopasso di Besso e i primi autobus elettrici sulla rete del trasporto pubblico. Un Natale da leccarsi i baffi per tutta la città, non c’è che dire, ma soprattutto una preziosa prospettiva aperta finalmente su squarci di un futuro un po’ migliore, fatto più di visioni e di concretezza che non di parole, vaghi impegni, finte buone idee e anche qualche pasticcio.
Travolto da questa inabituale ondata di pur cauto ottimismo - e in attesa di poter gettare un’occhio…da vecchio giornalista su LU, il nuovo prodotto editoriale di Palazzo Civico - mi verrebbe voglia di aggiungere a questa lista anche il primato dei pernottamenti, che dovrebbero sfondare il muro del milione alla fine del 2025: per il momento, pur rallegrandomi per il valore intrinseco del dato, preferisco tuttavia non lasciarmi prendere troppo la mano, certo come sono che alla prima occasione si leverà comunque, immutato e immutabile, il coro di lagnanze di chi pensa che il potenziale e i margini di crescita di Lugano siano praticamente infiniti. Salvo poi fare poco o nulla - offerta e orari dei servizi, disponibilità e flessibilità di fronte all’imprevisto - di ciò che sarebbe indispensabile per meritarsi appieno il diritto di quest’ambizione.
In fondo sarebbe forse più semplice provare ad accontentarsi senza stare sempre a pensare di sedersi a tavoli da gioco fuori dalla nostra portata. L’esempio più significativo mi sembra quello dell’ormai ricorrente e finanche un po’ stancante tema della destagionalizzazione: che è poi solo un modo più moderno - o almeno qualcuno pensa che sia cosi - di esplicitare la speranza che sul lungolago il sole splenda almeno per undici mesi l’anno. Quasi fosse una colpa rendersi conto e accettare che il brillante risultato attuale è soprattutto figlio di una situazione climatica straordinariamente favorevole di cui non possiamo rivendicare alcun merito ma che sarà sempre il nostro principale fattore di successo, fatta astrazione ovviamente per il preziosissimo segmento del turismo congressuale. E se brasiliani, arabi e asiatici non programmano i loro viaggi sulla base di questo criterio non facciamocene un cruccio: qui troveranno ciò che siamo e ciò che abbiamo, che probabilmente - cifre in crescita alla mano - è già abbastanza per convincerli a farci visita. Per mantenere e sviluppare la sua già apprezzabilissima dimensione a livello nazionale e internazionale Lugano deve tutt’al più lavorare ancora e soprattutto sui fondamentali della sua stessa vocazione di accoglienza: sul nostro biglietto da visita, insomma, dovrebbe esserci scritto soltanto che città siamo disposti a essere nei confronti di chi viene da fuori.
Il resto, tutto il resto, sono problemi nostri, di scarsissimo interesse per chi ci guarda dall’esterno. La voglia di avere e fare tutto, e se possibile di più, ci porta invece a mischiare troppo le carte, moltiplicando gli obiettivi e frammentando un’offerta che rischia di diventare confusa: le famiglie svizzero tedesche, gli anziani, gli amanti della natura e gli sportivi, il popolo dei torpedoni, tutti loro sanno perché vengono qui. Non credo c’entrino i nostri sogni di diventare una piattaforma di eventi di alto livello e un centro di innovazione tecnologica, di restare una piazza finanziaria senza rinunciare a essere un catalizzatore di attività culturali. E meno ancora l’aspirazione di trasformarsi nel «buen retiro» di tutti i ricchi del mondo. Il voto nove che il sindaco ha assegnato alla città, al netto dell’ottimismo che il ruolo gli impone, andrebbe pesato agli occhi di chi viene, va e magari ritorna. Ai miei, il cui orizzonte sono i dubbi sul tram treno, il rischio d’immagine del Plan B e le conseguenze del controverso impianto finanziario del PSE potrebbe bastare di meno.

