La domenica

Valascia, amore a prima vista

Le emozioni legate alla vecchia pista e l’esaltazione per il nuovo impianto: abbiamo seguito Gianfranco Ravani, tifoso storico dell’Ambrì Piotta, per l’esordio casalingo dei biancoblù
Gianfranco Ravani. © CdT/Gabriele Putzu
Mauro Giacometti
12.09.2021 07:30

È finita bene. Anzi benissimo. La prima partita dell’Ambrì Piotta nella sua nuova casa non poteva andare meglio. Il Friburgo Gottèron è battuto e le strofe della Montanara salgono dalla curva sud, quella occupata dalla Gioventù Biancoblù e da tutte le tribune; parole cantate, gridate, urlate a riempire la volta di un tempio dello sport leventinese e ticinese che è un fiore all’occhiello, quasi quanto l’ennesima salvezza di una squadra di hockey che adesso ha finalmente una casa adeguata. «Sono stonato, ma non potevo non cantare la Montanara in questa serata storica», ci dice Gianfranco Ravani, 76 anni da Tegna, storico tifoso biancoblù che abbiamo accompagnato in questa «première».

Emozioni forti
L’emozione è tanta, quasi come la prima volta che Gianfranco, accompagnato da alcuni suoi amici, entrò nella pista dell’Ambrì Piotta. «Non ricordo l’anno esatto, ma avevo una quindicina anni e mi accompagnarono alcuni “soci” più grandi con l’auto. Allora non c’era nemmeno il tetto sopra la Valascia», racconta mentre guarda con gli occhi estasiati lo storico palazzo del ghiaccio dell’HCAP, sotto montagna, ora desolatamente vuoto ma riempito di emozioni, gioie, dolori e passioni per i colori leventinesi. Tant’è che la Gioventù Biancoblù, prima di entrare nella nuova arena, ieri nel tardo pomeriggio si è radunata sul piazzale e dentro la storica pista per un doveroso omaggio.

Gianfranco Ravani. © CdT/Gabriele Putzu
Gianfranco Ravani. © CdT/Gabriele Putzu

Quando non c’era il tetto
C’è anche Gianfranco con loro, che si emoziona, ripercorrendo con i pensieri le centinaia di volte che è entrato in questo “capannone” un po’ sgangherato, scricchiolante, con spifferi gelidi che ti ghiacciavano il sangue anche se ingurgitavi tre birre e il gioco dell’HCAP ti esaltava. Volge lo sguardo all’insù, verso il suo posto nella tribuna rossa, proprio al centro della pista. «Quando non c’era ancora il tetto, tra un tempo e l’altro gli addetti dovevano spalare la neve per tornare a giocare. Un inverno nevicò tanto che dovetti lasciare l’auto a Faido e arrivare alla pista in treno. C’era anche mia moglie. Forse è per questo che da allora preferisce il calcio all’hockey», racconta il 76.enne pensionato, ex dipendente delle aziende del gas e dell’acqua della città di Locarno e volontario magazziniere al seguito delle bianche casacche. «È a una partita del Locarno che conobbi mia moglie: lei è rimasta appassionata di calcio, a me piace l’hockey».

Di partite ne ha viste tante, di giocatori anche di più e qualcuno gli è rimasto nel cuore biancoblù. «Ricordo i russi, Petrov, Malkov e Leonov, il canadese Dave McCourt, una bandiera, poi Kamenski, Dave e Ryan Garder, padre e figlio, e il grande e sfortunato Peter Jaks. E naturalmente la finale di campionato con il Lugano non la posso dimenticare: vincevamo la serie tre a zero, poi la squadra si bloccò e addio primo titolo svizzero», dice con un po’ di amarezza pensando che a vincere furono proprio gli “odiati” bianconeri. A lui comunque l’Ambrì piace così, che soffre, che lancia qualche giovane, ma che resta in LNA e lotta. «Quando non ci sono tanti soldi, quelli che hanno le squadre svizzero-tedesche o anche il Losanna, meglio attaccarsi al vivaio, alle squadre satellite, alla bandiera e a qualche straniero che ti fa la differenza. Ora però che c’è il nuovo stadio potrebbe esserci qualche stimolo in più», dice mentre ci incamminiamo nel sentiero attraverso l’aeroporto verso la nuova arena.

L’omaggio della gioventù
La Gioventù Biancoblù ci precede e mancano ancora due ore al primo ingaggio. Però con i controlli sanitari e anche per cercare di orientarsi sui nuovi accessi meglio muoversi prima. «Vista da fuori non è male, ma è dentro il nuovo stadio del ghiaccio che si respira l’atmosfera giusta. Nella vecchia e scalcagnata Valascia c’era lo spirito della valle, di una squadra che rappresentava con onore una piccola realtà montana, tant’è che l’Ambrì era ammirato e lo è tuttora anche in Svizzera interna e all’estero. Vedremo se anche qui, che è tutto nuovo, confortevole e luccicante, il cuore biancoblù riuscirà a scaldarsi», ci dice mentre c’incamminiamo sulle scale che portano ai posti in tribuna.

Appena appare l’interno della pista, con le sue poltroncine ordinate, vetri e plexiglass lucidi e non segnati dal tempo, il suo è uno sguardo di sorpresa e ammirazione: la nostalgia per lo storico palazzo del ghiaccio sembra scomparire di fronte al colpo d’occhio della nuova arena. «Era veramente un cimelio, invece guarda qui che spettacolo, credo ci divertiremo e soprattutto staremo comodi», dice mentre si dirige verso il suo posto di abbonato che gli ha regalato il figlio: «Una tessera stagionale dell’AmbrI sono soldi sempre ben spesi», ci dice mentre esce dalla pista sventolando la sua bandiera biancoblù. E la prima è andata, ora sotto con le altre.

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