Società

«Vivo di musica»

L'intervista alla violoncellista ticinese Alessandra Doninelli – «La passione per il violoncello è nata quando avevo tre anni»
Giorgia Cimma Sommaruga
18.09.2022 15:00

La musica è in grado di muovere le montagne, e quando possiamo condividerla, l’intero pianeta si ritrova in un’altra galassia». Con queste parole, Alessandra Doninelli, violoncellista ticinese, esprime il potere che la musica da camera ha per lei. La sua passione inizia all’età di 3 anni: «Ho assistito ad un concerto di mio fratello che suonava il violino, assieme a lui si esibiva una sua compagna di studi con il violoncello. Quella esibizione mi ha completamente rapita». E da quel momento un solo desiderio: suonare il violoncello. «Ho insistito da subito con i miei genitori, ma ero troppo piccola per poter suonare uno strumento così grande. Così mi hanno dato una viola con un puntale e da quel momento - avevo all’incirca 4 anni e mezzo - la musica non mi ha più abbandonato», racconta a La Domenica.

Un ambiente internazionale

Alessandra si è formata al Conservatorio di Lugano sotto la guida di Taisuke Yamashita, poi a Basilea e a Madrid a studiare con Ivan Monighetti e Sol Gabetta, e ora si trova a Monaco dove ha iniziato un Master in musica da camera. La sua passione. «Di cosa si tratta? Beh diciamo che è qualsiasi tipo di musica destinato ad un complesso limitato di esecutori. Si tratta di un genere molto intimo, per questo si chiama musica da camera, originariamente si suonava nelle stanze dei palazzi, ed era per pochi. Che cos’è per me? Emozione pura. Vita». Un momento tra tutti è stato particolarmente emozionante: «Ero a Madrid, e ho vinto il premio per il «miglior gruppo di musica da camera con pianoforte» dell’anno accademico 2020-2021 alla Escuela Superior de Musica Reina Sofia. A consegnarmelo è stata la Regina di Spagna in persona!».

«Voglio andare lontano»

Studiare in città diverse, in Svizzera e all’estero, «significa per me conoscere il mondo, perché suonare uno strumento significa anche entrare in contatto con l’anima degli altri musicisti, conoscere la loro cultura, e creare una connessione profonda: penso che il pubblico senta quando un artista è «dentro la musica», e lo sente anche il musicista, che sta arrivando al suo pubblico». Effettivamente Alessandra, di culture, e palchi, ne ha conosciuti tantissimi. Ed è apparsa recentemente come solista con l’Orchestra della Svizzera Italiana», la «Basel Sinfonieorchester», la «Stuttgarter Kammerorchester», la «Camerata dei Castelli» e la «Eurasian Soloists Chamber Orchestra» sotto la guida di Andrey Boreyko, Kevin Griffiths, Andreas Laake e Francois Benda... e tante ancora sono le esperienze internazionali che la stanno aspettando. «L’ambiente della musica è molto internazionale, vivo delle emozioni che mi trasmette, e voglio andare sempre più lontano, spingermi oltre».

Cosa significa?

E per chi un violoncello non l’ha mai suonato, e per chi non si è mai esibito davanti a centinaia di persone... cosa significa? Alessandra è emozionata nel descriverlo. «Per me è molto difficile spiegare la sensazione che provo mentre suono, è un misto tra vicinanza e brividi. E poi è sempre diverso perché ogni esibizione è differente dall’altra». Oggi non è più come nel’700, quando la musica da camera era un genere per pochi. Oggi i concerti possono avvenire anche in sale molto grandi, «certo è sempre bello esibirmi, ma devo essere onesta: forse nelle sale molto grandi si perde quella sensazione di intimità insita nel genere. Probabilmente gli ambienti grandi sono più adatti alla musica orchestrale».

L’anima degli strumenti

«La musica ci insegna la cosa più importante che esista: ascoltare», diceva Ezio Bosso. E allora ascoltare significa anche entrare in sintonia con il mezzo che permette alla musica di rendersi udibile. «Gli strumenti hanno un’anima, è innegabile! - racconta Alessandra -. Io suono uno strumento inglese del 1840, un Bernard Simon Fendt II, per essere precisi. Un violoncello antico, ma che emette ancora un buon suono, quindi ben conservato, ha un grandissimo valore», certo è che, che il suono che il suo violoncello emetteva nel 1840, è diverso da quello di oggi. «Proprio così! Suonando uno strumento esso cambia, il legno si evolve, e quindi potenzialmente dovrebbe sempre migliorare. Gli strumenti tendono a cambiare anche in base a come qualcuno li suona, per esempio ogni musicista tende cercare di tirare fuori un determinato suono da uno strumento, in una determinata maniera, e questo implica un mutamento».

E quando uno strumento è stato suonato da un grande maestro? «Mi è capitato di poterne suonare alcuni, anche se c’è da dire che forse sono ancora troppo giovane, dunque più che suonati forse ne ho visti», ironizza l’artista.

«Largo ai giovani!», si dice...

La sua vita la vede immersa nella musica, non ci sono altre alternative per l’artista ticinese. «Spero di poter andare avanti a fare concerti. Da non molto ho fondato un trio con due musicisti italiani molto bravi e con loro abbiamo alcuni progetti in cantiere. Ho davanti ancora due anni di studi...», è fiduciosa Alessandra. Ma diciamo che, anche in questo ambiente, il Covid ha lasciato il segno. «Sta cambiando anche lo scenario della musica classica, perché dopo il covid il pubblico è di meno rispetto a prima», spiega. Tuttavia una reazione a questa situazione è rappresentata dai giovani: «Ultimamente ho partecipato a vari festival organizzati da artisti giovani, uno di questi è stato nel mio Ticino, in Val di Blenio, dove ho colto moltissima motivazione ed entusiasmo». Infatti lo scorso agosto - dopo il successo dello scorso anno - sotto la direzione artistica della giovane pianista Susanna Braun, è tornato il Blenio Festival di Musica da Camera con la sua seconda edizione dedicata «Alla scoperta del classicismo e del romanticismo».

Sono nate nuove emozioni

Durante le esibizioni «post-covid», «ho colto soprattutto fiducia nella capacità della musica di unire le persone», confida Alessandra. «Sono fiduciosa, perché penso che nella musica si possa trovare conforto».

«Quella di Blenio - osserva la violoncellista -, è stata una bella esperienza, c’era moltissima gente in entrambi i concerti. Io sono ticinese, e suonare in Ticino è sempre speciale per me. Il festival è stato organizzato da Sussan Braun che è giovanissima, è una pianista di 23 anni. I suoi genitori, sin da piccola, le hanno fatto trascorrere le vacanze in Val di Blenio, quindi per lei questo evento ha un valore molto profondo». La scelta del luogo non è per nulla scontata pero', «sono contenta della scelta della location. Onestamente penso ci siano tante offerte culturali nelle città principali del Cantone, da Locarno sino a Lugano. Sono di meno quelle fuori dai centri e questo è stato importante». E se la vedremo esibirsi nuovamente il prossimo anno non è possibile saperlo. «Mi piacerebbe molto, ma solitamente durante i festival, si esibiscono ogni anno nuovi artisti, quindi non credo purtroppo».