Cultura

Le mie tante avventure con la telecamera in spalla

A tu per tu con Gianni Padlina, locarnese giramondo che ha prodotto più di 380 documentari in 56 Paesi
Telecamera in spalla e valigia in mano, Gianni Padlina, nato a Locarno 78 anni fa, non si è mai fermato. © Ti-Press
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
26.02.2023 07:00

Telecamera in spalla e valigia in mano, Gianni Padlina, nato a Locarno 78 anni fa, non si è mai fermato. Il suo obiettivo ha catturato centinaia di storie in tutto il mondo. Storie di incontri, emozioni, tragedie, amori, passioni e viaggi. Raccolti una volta tra le strade di Bagdad, un’altra nelle prigioni-lager del Madagascar o tra le capanne del Senegal, del Mali e del Burkina Faso. Ma anche in Polinesia, ad Acapulco, Cuba, Città del Vaticano, Qatar, Roma, India, Giappone, Messico, Perù, Kenya, Mozambico, Eritrea, Marocco, Sudafrica, Egitto... Quasi una lista infinita, perché non c’è posto al mondo dove Padlina non è stato. Per mestiere, certo. Ma anche e soprattutto per passione. Prima alla RSI, poi alla Polivideo, infine come indipendente. Risultato? Quasi 400 i documentari prodotti e tre festival vinti. «Ho sempre cercato di seguire lo slogan caro all’indimenticabile regista francese, Jacques Tati: se la vita è una scuola, per favore lasciatemi le ricreazioni!», dice, mettendo sul tavolo un plico di fogli dopo l’altro.

Gli occhi azzurri e uno sguardo che qualcuno ha paragonato a quello di Clint Eastwood, «quando ero giovane, forse», si affretta a precisare, anche oggi Padlina non si ferma un attimo. Nemmeno a parlare. «Ho uno tsunami di cose da raccontare», precisa. Non a caso ha scritto un libro, che per ora è ancora un manoscritto, con più di 70 storie. Storie di viaggi, incontri, ricordi, aneddoti. Storie di vita vissute a cento all’ora. Alcune saranno anche pubblicate da La Domenica, a puntate.

Giochi senza frontiere... qatarioti

Una passione travolgente, la sua. Che non si ferma mai e produce sempre nuove idee e progetti. Anche oggi che ha 78 anni. «Mi piacerebbe riproporre Giochi senza frontiere in Qatar - spiega, menzionando il programma televisivo che per decine di stagioni, dagli anni ‘60 agli anni ‘90, è stato trasmesso dalla RSI e lo stesso Padlina ha diretto e gestito -. Sarebbe formidabile rifare quel programma e non è detto che non accadrà proprio in Qatar magari assieme a qualche Nazione europea e naturalmente ai Paesi del Golfo».

Uno dei fogli che il regista ha messo sul tavolo riguarda proprio il Qatar. «Quando nel 2007 ho vinto il prestigioso Aljazeera Documentary Film Festival con il docufiction 4 and ½ sono stato avvicinato da uno dei tanti sceicchi che prosperano in Qatar, tale Faisal Al-Thani. Ho saputo in seguito che ero stato invitato a casa, e che casa, più un palazzo da mille e una notte in realtà, da uno degli sceicchi più ricchi di quel Paese!». Un incontro decisivo, visto che Faisal Al-Thani è lontano parente della famiglia reale del Qatar e potrebbe essere proprio lui a spingere affinché un giorno vengano realizzati e trasmessi i Giochi senza frontiere qatarioti che ha in mente Padlina. «Ecco ho già tutto pronto: scaletta, tempi, giochi. Manca solo il via libera», precisa.

Non fa in tempo a terminare la frase che sul tavolo spunta un tablet. «Qui invece ho un altro progetto», chiarisce facendo partire un video che mostra una pista ciclabile coperta che attraversa Doha e si immerge anche nel mare, dando ai ciclisti l’impressione di pedalare dentro un acquario. Non c’è neanche bisogno di chiedere. Allo sceicco Padlina ha mostrato anche questa idea. Una delle tante. Che il regista ha in cantiere. E che non abbracciano sempre la telecamera.

Vorrei realizzare un film su Tempo di marzo di Francesco Chiesa. Un libro che tutti quelli della mia generazione hanno studiato a scuola, in cui Chiesa tratteggia la realtà contadina e disagiata delle famiglie ticinesi di inizio Novecento

L’Albero degli zoccoli ticinese

«Un altro progetto che mi piacerebbe andasse in porto è invece un progetto cinematografico - sottolinea, mettendo sul tavolo una fotocopia di un libro -. Vorrei realizzare un film su Tempo di marzo di Francesco Chiesa. Un libro che tutti quelli della mia generazione hanno studiato a scuola, in cui Chiesa tratteggia la realtà contadina e disagiata delle famiglie ticinesi di inizio Novecento. La mia idea è di farne una sorta di Albero degli zoccoli alla ticinese». Il suo sguardo si posa sulla copertina del libro e poi si allontana un attimo, perdendosi nel vuoto. Ma solo un attimo. Perché la mente non smette mai di produrre pensieri e le parole escono veloci.

La nascita di Euronews e di no comment

Anche quando si tratta di tornare indietro, di riavvolgere il nastro dei ricordi. Perché Padlina ha incontrato moltissime persone nella sua carriera professionale e con molte di loro ha stretto legami forti. Come con Dario Robbiani, il giornalista scomparso nel 2009.

«Quando fu chiamato a Lione per dirigere la nascente Euronews , mi chiamò per dargli una mano. Mi ricordo che a pochi giorni dal lancio effettivo dell’antenna controllando la griglia dei programmi mi accorsi che c’erano dei buchi nel palinsesto. Segnalai la cosa a Dario che indaffarato e innervosito com’era mi urlò: «Buttaci i resti delle immagini che arrivano da tutto il mondo!». «Va bene», replicai «ma il commento chi lo scrive in sei lingue?». «Lasciali così, lascia solo il suono ambiente e senza commento». Nacque così uno dei programmi più imitati al mondo: no comment».

Padlina si ferma. E poi aggiunge. «Dario è stato un amico leale, buono, simpatico, allegro, serio, onesto, professionale, creativo, intelligente e preparatissimo, tanto da dar fastidio ai mediocri che lo cacciarono...».

Con Rinaldo Giambonini

Incontri, amicizie, collaborazioni. Padlina ne ha sviluppati tantissimi. Come ad esempio con il giornalista Rinaldo Giambonini, uno dei pionieri dell’ex TSI, deceduto nel 2016. «Rinaldo mi chiese un giorno se volevo accompagnarlo in Sud America per un paio di mesi per filmare 6 missionari ticinesi - racconta -. Chiaramente gli dissi subito di sì e poche settimane dopo partimmo: Venezuela, Equador, Perù, Colombia, Brasile, Bolivia, fu un bel giro. Rinaldo mi scelse come suo cameraman e me ne fece fare di cotte e di crude, ma anche io a lui. Io un vulcano, lui posato e tranquillo. Mi ricordo le interminabili partite a poker seduti su una canoa scavata nel tronco di un albero!».

Ai tempi l’FC Zurigo svernava a Losone. Nel corso di un’amichevole, avevo 16 anni, segnai una bella rete e ne mancai un’altra

All’FC Zurigo

Telecamera in spalla e valigia in mano, Padlina ha abbracciato il mestiere fin da subito, anche se da ragazzo ha calcato i campi con l’FC Locarno, sfiorando il professionismo. «Ai tempi l’FC Zurigo svernava a Losone. Nel corso di un’amichevole, avevo 16 anni, segnai una bella rete e ne mancai un’altra. L’allenatore dello Zurigo era il futuro ct della Nazionale svizzera, Louis Maurer. Al termine dell’amichevole, il presidente dello Zurigo, Edy Nägeli con il suo immancabile sigaro in bocca mi chiese se non volessi emigrare in Svizzera interna per studiare e giocare nelle loro giovanili. Ovviamente accettai. Venni iscritto alla Kunstgewerbeschhule e vincemmo il campionato giovanile svizzero con una decina di mie reti. Il problema era che ero un po’ lazzarone, non correvo e così ritornai in Ticino». Nella scuola di Zurigo Padlina fa però in tempo a conoscere un aspirante fotografo, Oliviero Toscani. Che lo sprona a continuare proprio con le foto. «Mi disse: «Basta un colpo d’occhio, fai clic e il gioco è fatto!».

In RSI e con Rossellini

Smessi i panni del calciatore, Padlina, grazie al diploma di fotografo, indossa quindi quelli del cameraman, entrando in RSI, che all’epoca era a Paradiso. Qualche anno dopo però è di nuovo tempo di mettersi in viaggio. Questa volta verso Roma, al Centro sperimentale di cinematografia diretto da Roberto Rossellini, direttore a cui Padlina portava dalla Svizzera un farmaco, il Gerovital, che in Italia era bandito. Ma questa è ancora un’altra storia...

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