Amore di plastica, un sentimento ai tempi del consumismo

«Amore». Una parola che nella sua etimologia significa sé stessa, senza necessità di derivare da altre parole. Insomma, una parola che si basta.
Lo psicanalista junghiano Luigi Zoja, nel suo libro Al di là delle intenzioni. Etica e analisi, sottolinea il concetto di possesso dell’amore in un’epoca materialista. Viviamo, infatti, in un’epoca in cui il sentimento amoroso viene mercificato e spogliato dal romanticismo che lo rivestiva in passato. La donna che una volta veniva vagheggiata da lontano e innalzata a creatura celeste, oggi si trasforma in una preda facilmente conquistabile e rapidamente sostituibile; dall’altra parte, l’uomo che investiva il suo tempo in danze di corteggiamento a passi di poesie e opere d’arte, oggi sembra perdere dignità, trasformandosi in un essere vulnerabile se solo accenna al romanticismo e al cor gentile. È un sentimento facile, vuoto, che stanca in fretta e che non necessita impegno. Così, un amore vissuto ai tempi della cultura «dell’usa e getta» ne ricalca le forme, si adatta a questa fretta che investe tutti.
Oggi tutto corre e concorre: quando i prezzi si abbassano, cala anche la qualità dei prodotti, ma sembra non importare a nessuno visto che si tratta di merci rimpiazzabili. Questa tendenza sembra colpire anche l’amore che si adatta a questa visione edonista del mondo.
Se nella concezione dell’amor cortese e dello stil novo il vero godimento stava nell’attesa di un amore vissuto da lontano e non fruito, oggi tutto viene ribaltato e l’aspettativa va colmata subito con il possesso.
Questo cambiamento comportamentale fa da cassa di risonanza alla cultura e all’arte del nostro secolo che si mostra posticcia e scarna, pensiamo ad esempio alle installazioni artistiche moderne dove tutto viene posizionato e poi rimosso; anche il concetto di famiglia si specchia in questo ideale del creare e distruggere. La produzione artistica dei poeti trecenteschi, invece, veniva costantemente foraggiata dalla tensione amorosa che portava l’artista a dar libero sfogo alle sue emozioni compresse attraverso un movimento creativo e simbolico che si fissava su tele, muri o libri.
Bisogna ricordare che la cultura medievale è molto distante dalla nostra e il binomio amore-matrimonio non era contemplato quasi mai e ci si ritrovava così a vivere amori extraconiugali che scatenavano forti passioni. Questi moti dell’animo vivificavano gli amanti quasi fossero marionette mosse dai fili dell’amore. E il movimento diventava creazione.
Allora chiediamoci, ma se Dante avesse sposato Beatrice o se Petrarca avesse avuto Laura al suo fianco, la loro produzione poetica sarebbe stata altrettanto prolifica? Sicuramente no, perché la loro spinta creatrice veniva alimentata proprio dal mancato raggiungimento dell’amore.
Ed è sempre stato l’amore in tutte le sue accezioni a muovere le mani degli artisti nel corso dei secoli donandoci il ritratto di come esso veniva percepito.
Come potremmo allora ripensare a un nuovo tipo di amore, oggi, che possa essere ancora fonte di ispirazione? Nella tavola periodica ci sono degli elementi chimici che vengono detti gas nobili, i quali ci forniscono una buona metafora di questo amore ideale: questi gas non hanno bisogno di legami con altri elementi analoghi per raggiungere la stabilità, sono in perfetto equilibrio da soli, ma se vengono stimolati da una fonte di energia si legano a gas come loro e producono luce. Questo surplus di energia potrebbe traslarsi proprio nel desiderio amoroso, i singoli individui rappresenterebbero i gas in equilibrio e questa tensione fra i due produrrebbe luce – l’amore nella nostra metafora. Questa visione non si discosta molto dalla visione di Guido Guinizelli che nella sua canzone, scritta nella seconda metà del XII secolo, Al cor gentil reimpaira sempre amore, fa coincidere l’amore con la nobiltà d’animo come il sole con la luce. Ritornano ciclicamente questi topoi di nobiltà, di luce e di amore anche nel nostro presente, dimostrando la grande attualità dello stil novo.
Si potrebbe pensare a un nuovo stilnovismo, che possa convivere con il consumismo da cui siamo circondati. Questa corsa al consumo riempie i vuoti di cui siamo pieni con oggetti transizionali che sostituiscono – a volte – affetti e sensazioni. Se invece si imparasse a guardare in quel vuoto cercando di dare ad esso una forma, si potrebbero riscoprire i valori tipici della passata cultura del Trecento e tornare così, ad una produzione culturale più genuina e magari questa volta non in maniera unilaterale – uomo verso donna – ma a doppio binario.