Il fallimento del calcio italiano, tra scuse di facciata e problemi reali

La crisi finanziaria del calcio italiano si può spiegare con le due stagioni mezze rovinate dal coronavirus, ma soprattutto con l’incompetenza di molti suoi dirigenti. E la situazione è così grave che la Serie A, il prossimo 22, agosto rischia di non ripartire per volontà degli stessi club.
Inizio con stop
Il sasso nello stagno lo ha gettato il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, che nei giorni scorsi in un’intervista a «La Repubblica» ha chiesto l’intervento del Governo italiano: «Ci sono davvero club super-indebitati ed il rischio è che scappino tutti quelli che vogliono investire nel calcio. Il Governo non ci ha dato garanzie per la riapertura degli stadi ad agosto ed ha gestito male la fase emergenziale. Se la situazione non cambia dobbiamo avere il coraggio di stoppare il campionato e di non scendere in campo per la prima giornata di Serie A». Giulini dimentica però che nel fatturato dei club italiani gli incassi da stadio pesano nella media il 15%, con punte del 20 nel caso della Juventus, con valori assoluti pari alla cessione di un buon giocatore.
Caso Inter
La situazione della squadra campione d’Italia, dopo 9 scudetti consecutivi della Juventus, è emblematica. Nel 2018-19 l’Inter ha incassato dalle partite a San Siro l’equivalente di 55,6 milioni di franchi. Se davvero contasse soltanto la pandemia, basterebbe vendere Hakimi o Lautaro Martinez per tornare a galla. E invece il club è in una situazione tale da avere trovato più conveniente rescindere il contratto di Conte, con 7,6 milioni di buonuscita, che tenersi un allenatore ambizioso. Il caso Inter, con debiti oltre i 400 milioni di franchi, si intreccia con quello della sua proprietà: in pochi mesi da gruppo industriale nel cuore di Xi Jinping ad azienda bisognosa di fare cassa. Suning è un mistero e gli Zhang hanno messo in piedi un’operazione finanziaria simile a quella che poi ha portato il Milan al fondo Elliott: un prestito (dal fondo Oaktree, ad un tasso del 9%) difficile da onorare, con il club stesso a garanzia.
Non passa lo straniero
Lo schema delle proprietà straniere delle squadre di A è sempre lo stesso. Prima fase: arrivo in pompa magna e grandi business plan centrati su nuovo stadio, merchandising, giovani, ecc... Seconda fase: crisi di risultati, liti con le amministrazioni locali, bilanci in rosso fisso. Terza fase: vendita-svendita, ai confini del fallimento. Lo statunitense Pallotta alla Roma, l’indonesiano Thohir e il cinese Zhang all’Inter, il cinese Yonghong Li e lo statunitense fondo Elliott al Milan, l’italo-statunitense Commisso alla Fiorentina, il canadese Saputo al Bologna: tutte storie di gente che si è stancata o si sta stancando, con la sintesi perfetta fatta da Commisso qualche settimana fa, in un clamoroso sfogo contro Firenze che ha spopolato su YouTube. Presto per giudicare gli statunitensi Friedkin, Platek e Niederauer al comando di Roma, Spezia e Venezia, ma in un contesto peggiore di quello di prima non si capisce perché dovrebbero fare meglio. Alla fine i pochi presidenti con bilanci quasi a posto sono italiani, da De Laurentiis al Napoli (che nell’ultimo anno però ha avuto un rosso di 38 milioni) a Pozzo all’Udinese, che da oltre trent’anni vive di calciomercato senza chiamarlo pomposamente player trading.
Riflettori sugli allenatori
Le ridotte possibilità di spesa hanno creato un fenomeno interessante: nessuno in Serie A potrà quest’anno comprare calciatori del livello di una media Premier League, ma per gli allenatori non si bada a spese. Clamoroso il caso di Conte, sostituito a carissimo prezzo, tutto compreso, da Simone Inzaghi al triplo dell’ingaggio che Inzaghi prendeva alla Lazio. Ma significativo è anche il ritorno alla Juventus di Allegri, a 10 milioni netti a stagione dopo due anni di vacanza, e gli arrivi di Sarri alla Lazio, di Spalletti al Napoli, di Gattuso alla Fiorentina e soprattutto di José Mourinho alla Roma. Proprio lo Special One spiega bene questa tendenza, l’allenatore di nome, magari in declino, per coprire la crisi e far parlare i media dell’esistenza di un progetto.
In futuro andrà meglio?
La Serie A uscirà dalla crisi? I soldi incassati dalle televisioni per il triennio 2021-2024 sono quasi uguali a quelli del triennio precedente, gli stadi gradualmente saranno riaperti. Rimangono rose elefantiache, dove il problema non sono i 34 milioni netti di ingaggio di Cristiano Ronaldo ma i 7,6 di Rabiot, e bilanci dove il costo del lavoro sfiora il 70% del fatturato. In questa controclassifica domina la Juventus con 224 milioni di franchi, davanti a Inter con 144, Roma con 119, Napoli con 113 e Milan con 87, fino ai 18,5 milioni dello Spezia. Non è possibile parlare di competizione fra chi spende una cifra e chi 12 volte tanto, per questo la vera graduatoria sarebbe quella del costo del lavoro per punto in classifica: in questo caso campione d’Italia sarebbe proprio lo Spezia, davanti a Sassuolo e Atalanta, con Parma, Roma e Juventus retrocesse in B e l’Inter salva di poco. È un gioco, mentre è meno divertente la situazione complessiva dell’azienda calcio in Italia, con debiti da 5 miliardi di franchi.
I turni «spezzatino» presto approvati
Dalla prossima stagione le 10 partite di ogni turno di Serie A potrebbero essere giocate in 10 orari diversi, chiudendo definitivamente l’era della contemporaneità. Di fatto già conclusa da anni, a parte quelle 3 partite rimaste alle 15 della domenica pomeriggio in omaggio ai tempi che furono.
Il cosiddetto «calcio spezzatino» sta per essere ufficializzato dopo una lunga battaglia in Lega ispirata dalla richiesta di DAZN, l’azienda che - pagando 915 milioni di franchi a stagione - ha acquisito i diritti di trasmissione in Italia di tutte le partite del campionato. Operando via web il problema, in un paese in cui la banda larga arriva al 49% delle famiglie, è quello di poter guardare le partite senza salti o buffering. Se DAZN ha avuto problemi nell’ultimo triennio, quando ad ogni turno aveva i diritti di 3 partite su 10, e mai in contemporanea, chissà cosa potrebbe succedere adesso.
Sky nei giorni scorsi ha offerto 500 milioni per trasmettere in coesclusiva le partite, ricevendo un rifiuto da DAZN, che quindi andrà avanti nella partnership con TIM nella speranza che la Lega dia il via libera definitivo alla nuova Serie A. Le cui 10 partite per turno dovrebbero essere così strutturate: il sabato alle 14.30, 16.30, 18.30 e 20.45, la domenica alle 12.30, 14.30, 16.30, 18.30 e 20.45, il lunedì alle 20.45. Non può ovviamente esistere un essere umano con il tempo e la voglia di guardare tutte e 10 le partite, ma di sicuro lo spezzatino risolverebbe molti problemi tecnici.