Razzismo

Il mostro mutaforma

Dalla genetica alla cultura: oggi il presupposto per allontanare «il diverso» è l’enfatizzazione delle caratteristiche culturali
© Ivan Samkov da Pexels
Gaia Caruso
Gaia Caruso
04.04.2022 16:34

Quando parliamo di razzismo, possiamo distinguerne almeno due forme. Il razzismo «classico» presuppone l’esistenza di razze biologiche, che definiscono l’intelligenza, le capacità e i comportamenti degli individui, e pertanto distinguibili tra razze superiori e razze inferiori. In seguito, sebbene sia stato dimostrato scientificamente che il gene della razza non esista, questa credenza ha comunque influito su cosa pensiamo e come interagiamo con gli altri gruppi di persone. Purtroppo, l’idea che gli altri non abbiano le nostre stesse esigenze e necessità è ancora molto diffusa. Il razzismo non è quindi scomparso. Ha semplicemente cambiato forma. Dal piano genetico, ormai inaccettabile, si è infatti spostato a quello culturale. La differenza fondamentale tra i gruppi umani, secondo questo nuovo tipo di razzismo, è la loro cultura, un pacchetto che contiene valori e tradizioni definite e localizzate. Quindi, se ogni gruppo umano «possiede» un certo tipo di cultura, e se la cultura è così essenziale nel definire l’identità di un popolo, la convivenza di culture diverse sullo stesso territorio è impossibile. La reazione è quindi di ostilità, di chiusura: dal momento che siamo gli unici veri figli della nostra terra, superiori a coloro che vi sono semplicemente sopraggiunti, siamo legittimati a difenderne il suolo da possibili contaminazioni.Il razzismo classico è più facile da individuare, perché è esplicito, e utilizza termini facilmente identificabili. Il nuovo razzismo, invece, è più insidioso, perché è costruito su valori e idee delle persone. Ed è anche più difficile da smontare, perché utilizza un linguaggio codificato molto sottile per esprimere l’inferiorità degli altri, difficile da individuare, spesso frutto di pregiudizi inconsci.In un mondo che ancora vede la migrazione come un atto fuori dalla norma, del razzismo culturale sono vittima in particolare i migranti e i rifugiati che arrivano in Europa da contesti extra-occidentali, considerati non integrabili nella nostra società. Chi è ostile alla migrazione e all’accoglienza, spesso guarda ai costumi di questi ultimi come tradizionalisti, arretrati e patriarcali, lesivi dei diritti di donne e minori, incompatibili con la modernità occidentale e l’emancipazione degli individui. Le loro differenze quindi non solo non possono essere assimilate, ma addirittura minano i valori autoctoni.Dunque, gli stranieri si vedono sempre più spesso «politicizzati», e il loro stile di vita è diventato un’ossessione per mass media e i politici. È fin troppo facile cadere negli stereotipi e diffondere informazioni sbagliate, anche nei media, causando la riproduzione dell'ignoranza e la disinformazione. Anche perché, facendo percepire la diversità etnica e culturale come una minaccia per la coesione sociale delle società riceventi, si finisce per negare l’identità degli altri, pur di affermare prepotentemente la propria. Senza contare che le rappresentazioni negative della diversità colpiscono anche coloro che vivono nelle città europee e sono integrati nelle società ospitanti.Sul piano della convivenza concreta, l’arrivo di nuove persone e l’incontro fra vecchie e nuove culture può effettivamente produrre disagi e conflitti, ma queste reazioni emotive sono spesso adeguatamente strumentalizzate dalla politica.Quello su cui bisognerebbe realmente riflettere è quanto l’eterogeneità di culture diverse all’interno di uno stesso territorio contribuisca allo sviluppo del territorio stesso, e che dall’aprirsi alle altre culture potrebbe scaturire la scoperta di una differenza molto meno marcata rispetto a quella che il pregiudizio aveva costruito.

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