Giornalismo

La grande lotta alle fake news

Il mondo dell’informazione è confrontato con la sfida di dare notizie in modo sempre più veloce evitando però di diffonderne di false
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Antonio Paolillo
Antonio Paolillo
30.06.2022 06:00

Se c’è un elemento che ha decisamente condizionato la vita dei cosiddetti «millennials» ma non solo - quello è sicuramente l’esponenziale e continuo sviluppo delle tecnologie digitali ed in particolar modo l’invenzione dei social network. Questi hanno talmente permeato il tessuto sociale che sono diventati parte importante nella la vita privata e pubblica (ormai è difficile trovare qualcuno che in nessun modo vi sia presente). Hanno dato il via alla nascita di numerose figure lavorative totalmente nuove, come ad esempio gli imprenditori digitali ( o influencer), e a nuove ramificazioni di attività già esistenti come il social media marketing. Il punto di forza è chiaramente quello di riuscire a mettere in comunicazione milioni di persone più facilmente e con un raggio molto ampio.Il mondo dell’informazione non poteva che rimanerne coinvolto, sfruttando le potenzialità del mezzo digitale per allargare la soglia di lettori. Ovviamente, però, «Il Lato Oscuro getta la sua ombra su tutto», per citare il maestro Yoda.
I social, infatti, sono terreno fertile per lo sviluppo e la diffusione di fake news. Seguendo quanto scrive Giuseppe Riva - professore ordinario di psicologia della comunicazione nell’Università Cattolica di Milano - nelsaggio Fake news (Il Mulino, 2018), sebbene le notizie false siano antiche quanto la storia ( e infatti l’autore elenca una serie di esempi anche molto antichi) l’uso massiccio delle fake news «nasce alla fine del XIX secolo, negli Stati Uniti, per descrivere una storia inventata, di solito in ambito politico, utilizzata per danneggiare una persona o un’istituzione». Ripercorrere la storia delle fake news richiederebbe molte pagine, ma vale la pena spiegare in che modo e perché, attraverso i social, siano aumentati i pericoli legati ad esse. «Si diffondono sei volte più rapidamente rispetto alle notizie vere e hanno il 70% in più di probabilità di essere condivise», scrive il Riva. «In pratica, non solo modificano la percezione della realtà da parte del soggetto, ma sono anche in grado di influenzarlo fino al punto da spingerlo a condividerle in tempo reale in maniera spontanea e partecipata».
Una circolazione così efficace di fake news rende difficile la vita a chi lavora nel settore dell’informazione - o perlomeno a chi svolge eticamente questo mestiere - che deve rimanere perennemente all’erta ed essere in grado di difendersene e stanarle attraverso un’attenta scelta delle fonti e di un processo di fact-checking.Abbiamo chiacchierato sul tema con la nostra amica Federica Serrao, laureanda USI nonché collaboratrice per lungo tempo di L’universo e oggi parte della redazione web di cdt.ch. «Il rischio per un giornalista di incorrere in fake news è abbastanza alto, specialmente per chi lavora per le redazioni web, dove si lavora principalmente sull’informazione istantanea e non si ha molto tempo per verificare. Tante volte devi fidarti delle agenzie, anche se rimane compito del giornalista verificare il più possibile la notizia che gli viene data».Dalle parole della giovane giornalista in formazione emerge dunque il problema della velocità nell’informazione. Se quando le notizie erano diffuse esclusivamente su carta c’erano dei tempi imprescindibili per la diffusione delle notizie che vincolavano tutte le testate (per l’appunto la stampa del giornale), sul web - e sui social - si lavora sull’istante, trasformando l’informazione in una sorta di «gara a chi dà la notizia per primo», e questo spesso gioca a discapito di un’informazione precisa e di qualità. «La fake news - continua Federica - non è solo la notizia falsa, inventata di sana pianta, ma è anche il dare un’informazione mancando di trasparenza e chiarezza, o utilizzare elementi (come foto o video) in maniera decontestualizzata. Quindi c’è un grosso lavoro da fare quando si va a verificare una notizia. Tuttavia “errare è umano” e non sempre si riesce nel rintracciare il campanello d’allarme della fake news o a verificare correttamente. Gli errori possono capitare, grandi e piccoli, l’importante però è non nascondere quello che si è fatto quanto piuttosto scusarsi e rimediare, cercando di riguadagnarsi in questo modo la fiducia del lettore».
Secondo Gabriela Jacomella - giornalista e saggista italiana, fondatrice di Factcheckers, tra le prime realtà ad occuparsi esclusivamente di educational fact-checking - gli ibridi tra verità e finzione, cioè quelle fake news che prendono spunto da elementi della realtà o che decontestualizzano fatti, «sono addirittura più pericolosi delle fandonie create di sana pianta, che perlomeno risultano - il più delle volte - immediatamente sospette e riconoscibili » (Jacomella, 2017).Questi elementi costituiscono una difficoltà non indifferente per quelle redazioni e quei giornalisti che hanno una forte etica dell’informazione, dando vita a una delle più importanti sfide del giornalismo moderno. «Una delle sfide più grandi - chiude Federica - è catturare l’attenzione del lettore sintetizzando velocità e correttezza, specialmente nel mio settore, il web, dove la velocità è una qualità fondamentale».

L'esercito delle fake newsNel volume già citato, Giuseppe Riva spiega qual è la fanteria attraverso cui le fake news si fanno ampio largo sui social network. Le cyber-truppe, così chiamate, sono composte da tre elementi: i troll, ovvero «utenti aggressivi che intervengono sui social media e nelle chat con commenti provocatori e radicali finalizzati a generare conflitto e divisione»; questi sono creati in maniera sofisticata così da generare interesse ed emulazione da parti di amici e follower; i bot e i chatbot, i quali invece sono falsi profili social controllati da programmi di intelligenza artificiale che hanno il compito di condividere (i primi) o commentare (i secondi) le fake news, contribuendo alla loro viralità.
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