L’opinione

La spaccatura sociale tra pandemia e guerra

Da due anni il mondo e la società che conoscevamo non sono più gli stessi - Pandemia e conflitti internazionali hanno fatto crollare la nostra realtà obbligandoci a ridefinire il nostro stile di vita e il concetto stesso del vivere
Foto di Katie Godowski
Veronica Francia
07.03.2022 16:58

Viviamo in una società che piange e sanguina: civili, uomini, donne, persone giuste, bambini che la forza del destino si è portata via senza un perché lasciandoci attoniti e doloranti come se in prima persona fossimo noi ad aver preso dei colpi e ad essere stati privati di qualcosa, di pezzi, di elementi.

Era Febbraio 2020 quando il Covid-19, qualcosa che ci pareva estraneo e lontano, ha cominciato a mietere vittime nel nostro continente facendoci sentire per la prima volta vulnerabili, piccoli e indifesi. Rapidamente, e senza rendercene conto, il mondo è cambiato e nulla è più stato come lo conoscevamo prima, nemmeno ora.

Abbiamo cominciato a vivere in pochi metri quadri, circondati dai nostri famigliari, e immersi in uno spazio che giorno dopo giorno diventava sempre più stretto. Abbiamo smesso di stringerci la mano o di darci baci sulla guancia nel momento del saluto, andando a sostituire a questi gesti cenni informali, o gomitate, che di per sé sono lontani dall’essere gesti di accoglienza e predisposizione verso l’altro. Ci siamo sentiti ingabbiati in mascherine, che ci hanno protetto, ma ci hanno anche privato della semplicità e genuinità dell’espressione, riducendoci ad automi un po’ insensibili e sempre distaccati: incuranti, o meglio, egoisticamente prevenuti nei confronti del mondo che ci circonda e diffidenti del prossimo. Abbiamo trattato chi la pensava diversamente da noi come un untore, semplicemente perché i dettami sociali ci hanno convinto che fosse giusto. Non abbiamo accolto nuovi pensieri e nuove idee come qualcosa di positivo, ma al contrario come elementi distruttivi di una società già spaccata. Elementi pericolosi che potevano scuotere e cambiare i pensieri che media e opinione pubblica avevano costruito.

Siamo stati bersagliati, ripetutamente e quotidianamente dalle informazioni sulla conta dei morti e dei contagiati, ci siamo sentiti in pericolo e in grado di poter mettere a repentaglio la vita altrui. Ci siamo sentiti prigionieri di regole austere e troppo poco personali, per arrivare a sentirle nostre e che ora paradossalmente fatichiamo a lasciare andare. Siamo riusciti a superare egregiamente numerose prove, anche quelle che non ci saremmo mai aspettati di dover vivere e affrontare sulla nostra pelle... per arrivare sino ad oggi.

Quando, circa un mese fa, il Consiglio Federale ha abolito mascherina e distanziamento sociale, ci siamo sentiti stranamente liberi. Un ritorno alla normalità di prima che ormai è divenuta eccezionalità. Una normalità che ci stranisce.

Sì, perché sempre di eccezionalità si parla quando si fa riferimento a questo periodo storico e a ciò che il mondo, e noi come cittadini di esso, ci troviamo costretti a vivere. Una guerra. Per molti un evento che si leggeva solo sui libri di scuola e si sentiva raccontare dai più anziani come qualcosa di lontano nel tempo e un po’ fantascientifico, ma che oggi fa nuovamente parte delle nostre vite. Ci sentiamo ancora una volta esseri minuscoli e colpevoli di non saper gestire l’umanità e gli eventi che imperversano su di noi, senza essere davvero pronti e capaci di reagire. Guardiamo i telegiornali e ci sentiamo preda di un turbinio di emozioni: angoscia, paura, rabbia, impotenza. L’Ucraina e la Russia, due territori e una parte di Europa che improvvisamente conosciamo bene e che ci sembrano più vicini che mai. Ci immedesimiamo nelle storie dei civili, in chi, senza preavviso alcuno, si è visto portare via la propria casa e la vita durante costruita, i propri sogni, i propri progetti. Tutto scomparso per qualcosa di troppo grande e troppo complicato per noi, persone normali con una vita anche un po’ monotona, da comprendere.

Sarebbe auspicabile che facessimo tesoro di questi momenti, di questo cambio di rotta, o retromarcia, che la nostra società sta subendo, al fine di divenire migliori. Possiamo fare del dolore un monito di resilienza e una virtù per evolvere. Per imparare ed essere. Per vivere e gioire del presente senza guardare sempre al futuro con la frenesia di pianificare, senza godersi l’istante in cui esistiamo. Potremmo fare di oggi una lezione importante per imparare l’arte della tenerezza e della fragilità. Perché no, si potrebbe usare questo periodo per educarci alla sensibilità e all’accoglienza del prossimo. «Si potrebbe», frase al condizionale, perché tutto dipende da quel «se», che sta a noi determinare. Abbiamo più potere di quanto crediamo quando utilizziamo la consapevolezza e la conoscenza come arma per vivere.