Storia

Le crisi in Italia e la marcia su Roma

I cento anni dall’inizio dell’era fascista alla luce delle cause che consentirono a Mussolini di arrivare al governo
Benito Mussolini accompagnato dalle camice nere in seguito alla marcia su Roma.
Amedeo Gasparini
28.10.2022 08:18

Con la marcia su Roma del 28 ottobre di cento anni fa, i fascisti dichiararono guerra aperta allo Stato liberale e se ne impossessarono. Se il potere politico non fosse passato nelle loro mani – cosa che poi avvenne due giorni dopo con l’incarico a Benito Mussolini di formare il nuovo governo – avrebbero conquistato il palazzo con la violenza. Furono i malcontenti di operai ed industriali, la paura di una rivoluzione su stampo di quella bolscevica, la classe politica litigiosa, la vittoria mutilata dopo la Grande Guerra, i disordini e le violenze nelle fabbriche e nelle strade che contribuirono all’ascesa del Fascismo. La marcia su Roma fu eversiva. Camice nere da tutta Italia si diressero verso la capitale senza incontrare grosse resistenze. Luigi Albertini, direttore del Corriere della Sera, definì dal canto suo la marcia su Roma «un’indegna commedia», che tuttavia divenne presto tragedia per lo Stato liberale.La paura della violenza fascista non era cosa nuova, ma nell’autunno del 1922 allarmava i rappresentanti delle istituzioni. Alle 9:00 del 28 ottobre, con le squadracce in marcia, il governo di Luigi Facta presentò un decreto per lo stato di assedio, ma Re Vittorio Emanuele III non lo firmò. Mussolini era convinto che l’assedio alla capitale avrebbe potuto trasformarsi in un bagno di sangue e dunque stette a Milano. A situazione calma, il 30 ottobre, in abiti civili, si recò al Quirinale per ricevere l’incarico di formare il nuovo governo del Re – che nel frattempo aveva scartato l’ipotesi di un altro esecutivo guidato da Antonio Salandra. Il Fascismo, ha scritto Emilio Gentile (Il Fascismo in tre capitoli) «non incontrò alcuna seria opposizione da parte delle istituzioni tradizionali. La monarchia, le forze economiche, la maggioranza degli intellettuali e dell’opinione pubblica borghese accettarono la demolizione del regime liberale».Mussolini non si fece strumentalizzare da Giovanni Giolitti e si presentò come un uomo nuovo. Godette dell’appoggio di operai ed industriali – un elemento di non poco conto tra le considerazioni del Re. Anche le forze liberali – in testa Benedetto Croce e Luigi Einaudi – all’inizio salutarono il nuovo Presidente del Consiglio con favore. Prima della marcia, molti si erano convinti che con Mussolini occorresse dialogare. Vittorio Emanuele Orlando e Giovanni Amendola cercarono persino di elaborare una coalizione di governo che potesse includere anche i fascisti. Un progetto rivolto anche a Francesco Saverio Nitti, che sperava di impedire a Giolitti di tornare al governo. Quanto al Re, temeva l’attivismo dei parlamentari di sinistra e l’intensificarsi delle violenze fasciste, nonché le proteste nelle piazze e nelle fabbriche. Gli industriali che sostenevano la monarchia guardavano di buon occhio un possibile Governo Mussolini.Vittorio Emanuele temeva il disfacimento dello Stato e la complessiva instabilità del paese. Fu facile per il Fascismo inserirsi tra questi litigi e giochi di potere scanditi dalla miopia e dell’indecisionismo della classe dirigente. L’ascesa del Fascismo andò di pari passo con la crisi della classe dirigente liberale. Il Fascismo, ha scritto Ernesto Galli della Loggia (Intervista sulla destra) «seppe riempire il vuoto al centro del sistema, dovuto all’arcaicità dell’organizzazione politica liberale, e utilizzò la mobilitazione di massa, indirizzata all’impiego della violenza principalmente contro i socialisti e secondariamente contro i cattolici, per conquistare e conservare il potere». Mussolini sapeva bene cosa voleva. Aveva rifiutato un possibile ministero degli Esteri e, forte del sostegno di industriali ed alti ufficiali, promise di normalizzare la situazione italiana. In molti gli credettero. L’uomo forte arrivò e impose l’ordine. Il suo.

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