Oltre il velo, un viaggio alla scoperta dell’aldilà

«Al destino di morte non scampa nessuno che nasce». Con queste parole Omero focalizza l’attenzione su un concetto fondamentale: assieme alla nascita, la morte è l’unica costante che accomuna l’essere umano. Nessuno può prevederla, essa è conosciuta da tutti, temuta da molti e desiderata da pochi. Non è dunque un mistero che autori antichi le abbiano dedicato la propria attenzione.
Per capire come questo fenomeno ha influenzato lo stile di vita ed il pensiero delle popolazioni, bisogna prendere in considerazione fattori come: religione, tradizioni, usanze, psicologia del tempo, funzioni sociali e superstizioni. In merito a quest’ultimo punto, nell’antica Grecia dominava il pensiero che le anime irrequiete potessero manifestarsi ai vivi come fantasmi. Per questa ragione i parenti del defunto dimostravano molta cura nell’effettuare correttamente il rito sepolcrale, nel tentativo di placare così l’ira del trapassato, rabbonendolo con abbondanti banchetti e doni. In aggiunta alla figura del fantasma, era credenza presso i Greci che l’orrore della morte si potesse manifestare sotto le sembianze di un serpente, creatura inquietante ed ambigua, il quale prende forma dalla trasformazione del midollo spinale del defunto. Il binomio morte-serpente è presente in diverse fonti iconografiche, reso quasi onnipresente grazie alla semplicità del motivo che lo ritrae.
La figura dello spettro non era casuale; indipendentemente dalla religione e dall’epoca, è da sempre opinione comune che oltre al corpo ci sia qualcosa di più, che la vita sia in un qualche modo collegata ad un’essenza invisibile, chiamata più frequentemente anima. Secondo l’espressione omerica, al momento della morte ogni individuo subisce il distacco della psyche, ovvero del «respiro», così da poter raggiungere la propria casa nell’Ade. L’assenza del respiro è infatti il segno più evidente dell’abbandono della vita da un corpo. La psyche non rappresenta l’anima in quanto ricordi o emozioni, essa è piuttosto il respiro vitale che alla dipartita si trasforma in eidolon – dal greco antico: «immagine» –, rappresentata a partire dal VI secolo come una piccola figura alata, diventando di conseguenza l’immagine-fantasma della persona trapassata, il suo riflesso. La visione è tuttavia priva di forza percepibile, di energia vitale. Possiamo trovare un riferimento a ciò nella scena in cui Achille, nel tentativo di abbracciare l’immagine dell’amico e defunto Patroclo, la sente intangibile al tocco, come fumo. Per poter parlare e acquisire i ricordi, è infatti indispensabile che le psychai – sempre dal greco antico, «anime» – bevano il sangue dei sacrifici offerti loro.
Lo scopo della psyche è quello di superare le porte dell’Ade, raggiungendo – con la guida di Ermes – la propria dimora nell'oltretomba: il putrido regno dei morti e del dio Hades, sposo di Persefone, fratello di Zeus e Poseidone, noto anche come «Zeus sotterraneo». Tornando nuovamente all'Iliade, spinto da questo desiderio, lo spirito di Patroclo si è dunque visto costretto a supplicare Achille per una giusta sepoltura, così da poter trovare la pace sperata. L’immagine omerica dell’aldilà si collega ad un progresso tipicamente greco, ma tuttavia ha degli elementi in comune con altre località e credi: i babilonesi, ad esempio, immaginavano un regno dei morti molto simile, parlando di una malinconica terra senza ritorno. Nell’Epopea di Gilgamesh, infatti, è presente una scena molto simile a quella tra Achille e Patroclo, che vede Enkidu comparire come un soffio di vento all’amico Gilgamesh, per raccontargli del regno dei morti.
In contrasto all’oscura dimora dei defunti, dove non esiste un ritorno, abbiamo però anche l’idealizzazione di una speranza, riposta nei Campi Elisi, una landa ai confini del mondo, destinata a pochi meritevoli eletti. A questa situazione peculiare si affianca anche il destino eccezionale di Eracle, che al momento della sua morte, invece di scendere negli inferi, salì fino al monte Olimpo, diventando un dio e ottenendo Ebe, dea della giovinezza, in sposa.
Benché ad oggi si ha un'idea uniforme del pensiero degli antichi, il mistero che ha da sempre circondato la sfera dell’aldilà ha condizionato anche il credo dei greci. A partire dal V secolo, grazie all’influenza dei popoli egizi, il concetto di giudizio e punizione venne elaborato con maggiore attenzione nell’ambito dell’orfismo, un culto religioso-misterico legato alla figura di Orfeo e secondo il quale era necessario condurre una vita ascetica per evitare che l’anima – dopo la morte – continuasse a reincarnarsi, non riuscendo quindi ad accedere alla beatitudine della vita ultraterrena.
L’ambiguità della morte ha permesso, quindi, lo svilupparsi di culti segreti, dove la ricerca di beatitudine dopo la morte era un aspetto fondamentale: il buono ne avrà diritto, il cattivo andrà incontro alla sua punizione. Con questa premessa, l’idea di psyche viene rivalutata dal pensiero sofista, il quale, grazie alla filosofia della natura, colloca l’anima in una dimensione di maggiore rilievo, in affinità con le stelle ed il cielo che, a loro volta, entrano in relazione con il cosmo e dunque con il divino. Secondo i Sofisti, la psyche sente, pensa e decide, diventando un concetto dotato di contenuto empirico.
In conclusione, possiamo affermare che la morte ha da sempre rappresentato un tassello fondamentale per le culture di tutte le epoche, ogni periodo storico ha attuato i propri rituali in risposta alla psicologia collettiva, alle superstizioni, alle credenze e alla filosofia, che fosse per il timore delle ripercussioni, per onorare le persone amate o semplicemente per sperare in una vita dopo la morte.