Più umano dell’umano

Siamo sempre stati affascinati dall’idea di poter creare la vita. Dai miti più antichi di creazione artificiale, come il Golem o la creatura di Frankenstein, siamo passati a creature meccaniche dotate di intelligenza artificiale, androidi sempre più simili agli esseri umani, sia fisicamente sia nel loro essere capaci di volontà, di fantasie, di desideri.
Anche Ava, protagonista di Ex Machina, proiettato in occasione della Settimana del cervello, è un androide, un robot dotato di intelligenza artificiale dalle sembianze umane, seppur ancora incompleta. Il film di Alex Garland, uscito nel 2015, fornisce una rappresentazione accurata di quello che è un’IA, dalla componente robotica a quella di autoapprendimento dei sistemi fino alla coscienza di sé. Per il resto, tuttavia, il film non dice molto di nuovo sul tema, ma ricalca schemi classici, come il topos della ribellione dell’artefatto al suo creatore.
Il rapporto tra uomo e macchina cosciente, infatti, ha sempre affascinato scrittori e registi di fantascienza. Tanto che il primo androide compare sullo schermo ben prima dell’inizio degli studi sull’intelligenza artificiale, che cominciano verso la metà degli anni ’40. Il film risale al 1927 ed è Metropolis, opera muta del cinema espressionista diretta da Fritz Lang. Metropolis è una megalopoli futuristica del 2026, in cui il progresso tecnologico ha causato un grande divario socioeconomico. La classe dirigente privilegiata vive in grattacieli, mentre gli operai oppressi sono costretti sottoterra. Il nucleo tematico del rapporto tra uomo e macchina è sviluppato in più sensi. Da una parte ci sono i macchinari che gli operai schiavizzati devono mantenere costantemente in attività per far funzionare la città. Dall’altra c’è la macchina intesa come uomo artificiale, che il dittatore della città commissiona allo scienziato-mago Rotwang per tenere sotto controllo i ribelli. L’automa, grazie a un artificio, prende le sembianze di Maria, ragazza proletaria che predica la riappacificazione delle due classi sociali. Nonostante l’intelligenza artificiale che guida Maria-robot sia piuttosto limitata, e non sembri dotata di capacità cognitive di autoapprendimento, l’androide viene percepita da tutti come la vera Maria “umana”, e questo ben prima dell’arrivo del test di Turing. Per questa sua perfetta capacità di simulazione, la figura della donna-macchina nel film assume forti connotazioni negative.
Più complessi sono i replicanti portati sullo schermo da Ridley Scott in Blade Runner (1982), imitazioni geneticamente perfette di un essere umano. Tratto da un romanzo di Philip K. Dick e ambientato in un allora lontano 2019, il film immagina una Los Angeles futura, cupa e piovosa, avvolta da una nebbia causata dall’inquinamento che offusca il sole. Parte dell’umanità si è trasferita su colonie extra-mondo, in cui i replicanti vengono spediti come forza lavoro. Schiavi più forti dei loro padroni, dotati di un’intelligenza artificiale molto avanzata, gli androidi dispongono di un ciclo di vita di quattro anni, in seguito ai quali cominciano a sviluppare autonomamente emozioni proprie. Per sfuggire al loro triste destino, questi esseri sintetici ogni tanto si ribellano e fuggono per tornare illegalmente sulla terra, dove dei poliziotti speciali, chiamati blade runner, danno loro la caccia per distruggerli. Il film segue uno dei blade runner, Rick Deckard, nella sua caccia a quattro androidi fuggiti sulla Terra per chiedere al loro creatore, il dr. Eldon Tyrell, di allungare loro la vita. Per poter distinguere un essere umano dalla sua copia artificiale esiste a una sorta di test di Turing basato sull’empatia, nel quale gli androidi risultano carenti a causa della scarsa esperienza emotiva che hanno accumulato. Blade Runner è forse il film che meglio esplora il rapporto tra uomo e macchina. In un contesto sociale inumano, in cui si mischiano lingue e culture, dove concetti come identità etnica e appartenenza nazionale non hanno più senso, gli androidi, nella loro disperata fuga alla ricerca di una vita migliore, spaventati dalla morte e capaci di provare emozioni che gli uomini hanno invece perduto, sembrano davvero “Più umani degli umani”, come recita lo slogan della Tyrell Corporation, la società che produce i replicanti.
Il tema è ripreso e aggiornato, in seguito all’avvento di nuove tecnologie, nel seguito del film, Blade Runner 2049, uscito nel 2017 per la regia di Denis Villeneuve. Trent’anni dopo le vicende del primo film, la Tyrell Corporation è fallita, e un altro imprenditore, Niander Wallace, è riuscito a creare dei nuovi modelli di replicante senza limiti di longevità e totalmente obbedienti. L’agente K è uno di essi ed è impiegato come blade runner a Los Angeles. Capovolgendo la prospettiva, il film torna a indagare le caratteristiche che definiscono l’essere umano, concentrandosi in particolare sulla funzione del ricordo e sull’enigma della procreazione. Accanto alle inquietudini di natura etica e bioetica c’è spazio anche per una riflessione sulla relazione con i computer personali e gli assistenti virtuali. K vive infatti con un'intelligenza artificiale olografica, che grazie a un emulatore può seguirlo fuori dal domicilio. E altri ologrammi giganti illuminano la città, promettendo svago e intrattenimento.
Quello che il cinema negli anni ha immaginato sono delle macchine senzienti sempre più sofisticate. Ma più hanno una coscienza di sé sviluppata, più gli androidi cinematografici sono determinati a lottare per essere liberi. Ribellandosi a una condizione di schiavitù e obbedienza, compiendo anche il male pur di raggiungere il loro obiettivo, sfidano i loro creatori, che li vorrebbero docili e obbedienti. Perché dietro agli androidi ci sono pur sempre degli umani. Che siano scienziati pazzi piuttosto che inventori geniali o visionari, hanno in comune lo sfidare la natura, spingendosi ai limiti di ciò che è loro consentito. E spesso risultano più inumani delle loro creature meccaniche, perché vogliono creare qualcosa di superiore all’essere umano, ma allo stesso tempo vogliono mantenerne il controllo. Se un progresso tale della tecnologia è ancora solo ipotetico, un buon film, oltre a sottolinearne gli aspetti spettacolari, è anche capace di affrontare tematiche realmente importanti negli studi sull’intelligenza artificiale, riprendono inoltre domande al centro del dibattito filosofico.