L'intervista

Pro Juventute sugli effetti della pandemia

A due anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria, riflettiamo sulle conseguenze di questo periodo sulla salute dei giovani grazie all’intervento di Mara Foppoli, psicoterapeuta e responsabile della Consulenza di Pro Juventute per la Svizzera italiana
© Pixabay
Letizia Ricciardi
15.03.2022 11:21

Avete riscontrato un aumento delle richieste d’aiuto durante la pandemia?
«Sì, sicuramente c’è stato un aumento. Allo scoppio della pandemia, Pro Juventute ha redatto un Rapporto Coronavirus in modo da misurare il livello di benessere dei più giovani di fronte all’emergenza sanitaria. I risultati della ricerca hanno evidenziato come bambini, adolescenti e famiglie abbiano reagito e stiano ancora affrontando la situazione pandemica in modo diverso, a seconda delle risorse emotive e materiali a loro disposizione. A nostro parere, è fondamentale fornire il sostegno necessario sin da subito, in modo da evitare che le persone subiscano le conseguenze di questo momento difficile anche in futuro.  Bisogna sicuramente adottare delle misure per contrastare gli effetti negativi della crisi. Il report ci ha permesso di rilevare e comprendere le reazioni rispetto alla situazione straordinaria: vi è stato un vero e proprio cambiamento delle abitudini di vita e questo ha influenzato la crescita di bambini e ragazzi. Balza all’occhio il fatto che vi è stata una diminuzione del benessere percepito, così come una mancanza di contatti. Quest’ultimi in un primo tempo si sono cercati attraverso la digitalizzazione, ma ciò ha evidenziato una differenza sostanziale tra il contatto digitale e quello reale a favore di quest’ultimo. Altri aspetti espressi con preoccupazione sono stati la paura di perdere gli amici e l’inquietudine rispetto alle prospettive future, incertezze che hanno contribuito ad aumentare lo stress psicologico». 

Sono aumentate anche da parte dei genitori?
«Sì. Ci sono stati diversi conflitti scatenati dalla convivenza forzata, dalle preoccupazioni sul futuro, ma anche dallo stesso vaccino che ha portato membri del medesimo nucleo familiare a prendere posizioni diverse a riguardo. Tutto ciò ha generato molte discussioni all’interno delle famiglie. Il fatto di essere confrontati con delle avversità così grandi ha sicuramente messo in crisi anche i genitori. Nessuno ha una «ricetta» che indica come affrontare una pandemia. Abbiamo riscontrato una difficoltà nella progettazione del futuro, come se ci fosse una sorta di sfiducia da parte dei figli, uno sconforto che in alcuni casi non riusciva ad essere contenuto nemmeno dai genitori». 

C’è un’implicazione, considerando gli ultimi due anni, tra il disagio dei ragazzi e la situazione pandemica?
«Vi è stato un effetto della pandemia: essa ha incrementato i problemi di salute mentale, dunque si sono riscontrati maggiori stati d’ansia, tratti depressivi, fantasie suicidali, ecc... Abbiamo però anche constatato come i giovani d’oggi siano molto consapevoli del loro stato e come abbiano più facilità, rispetto alle generazioni precedenti, a richiedere un aiuto precoce. Questo può sicuramente fare una grande differenza». 

Avete potenziato il vostro servizio date le circostanze? 
«Sì, abbiamo potenziato i canali e le possibilità di consulenza. Dal prossimo aprile vorremmo introdurre il canale di WhatsApp (al numero 0800 147 000) in quanto crediamo che possa essere un modo diretto per fornire assistenza in caso di problemi personali, ma anche di incertezze quotidiane, dubbi, curiosità, magari ci può essere il semplice desiderio di sentire un parere neutrale rispetto ad una situazione che si sta vivendo. La consulenza può aiutare a migliorare il proprio empowerment, la propria capacità di far fronte a situazioni difficili e a problemi di tutti i giorni». 

Crede che il servizio sia già ben conosciuto o che necessiti maggior promozione? 
«Il servizio esiste da diversi anni, ma probabilmente non è così conosciuto come vorremmo, sarebbe auspicabile riuscire a renderlo ancora più accessibile. Abbiamo rinforzato la nostra presenza online e ci siamo avvicinati alle nuove tecnologie: ad oggi siamo presenti su Instagram e Facebook. Credo che in Ticino sia ancora importante la promozione diretta: a Castellinaria abbiamo incontrato 1200 persone e questo ha dato un riscontro importante in termini di contatti con i nostri servizi. Purtroppo, a causa della pandemia, ultimamente questo tipo di promozione è stata difficile da attuare, ma noi siamo sempre disponibili nel partecipare ad iniziative che riguardano i giovani. Pro Juventute è presente anche nelle scuole: abbiamo creato una giornata, dedicata ai ragazzi, in cui gli istituti ci possono contattare, noi forniamo dei materiali, i docenti presentano il nostro servizio e gli allievi possono simulare delle chiamate al 147. Questo ci sembra un buon metodo per promuovere la consulenza in modo concreto». 

Quali sono le possibili soluzioni per favorire il benessere giovanile in Ticino?
«In questo caso bisogna riflettere su cosa si intenda per «disagio giovanile». Tra i comportamenti che possono essere espressione di malessere potremmo identificare il ritiro sociale, l’isolamento dalla società, ecc... Spesso compaiono delle spie che devono essere individuate per tempo. Si deve tentare, grazie all’aiuto di esperti e senza vergogna o imbarazzo, di fornire degli strumenti di prevenzione (oltre che di cura). Credo che prevenire sia un fattore molto importante: le forme di disagio moderno, come isolamento e dipendenza dalle tecnologie, dovrebbero essere prese in attenta considerazione, si dovrebbe instaurare un dialogo con le famiglie aiutandole ad essere consapevoli di questo problema. Non bisogna lasciare i giovani soli. Ci sono poi anche dati abbastanza oggettivi che creano disagio come lo status economico e lavorativo, il livello di scolarità, gli standard di vita, la salute fisica, la coesione familiare, la discriminazione, l’abuso... Inoltre, di fronte a patologie psichiatriche in età evolutiva, è fondamentale dare la possibilità di usufruire della psicoterapia in una fase precoce, in modo da evitare che il disagio venga identificato troppo tardi. L’accesso alla psicoterapia dovrebbe dunque essere facilitato per giovani e minorenni, ma nel nostro cantone questo è ancora molto limitato». 

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