Ratio

Teoresi della sfumatura

In un mondo dominato da generalizzazioni superficiali e dalla chimera di leggi universali con capacità esplicative senza fine, dare voce ai particolari si fa più che mai importante
© Luca Casonato, 2018
Sergio Cerutti
21.02.2022 08:00

Nella sua opera Sistema dell’idealismo trascendentale, il filosofo romantico Friedrich Schelling definì l’arte come «organo della filosofia», vale a dire come strumento ed occasione di inestimabile valore per lo sviluppo del pensiero filosofico. È possibile fare esperienza viva della verità delle sue parole ammirando da vicino le straordinarie tele che l’artista americano contemporaneo David Simpson ha realizzato. Si tratta apparentemente di semplici quadri monocromatici, realizzati tuttavia con speciali pigmenti metallici in grado di riflettere la luce diversamente al variare dell’angolo d’incidenza. Così, ciò che in prima battuta sembra una campitura grigia e uniforme di colore, non tarda poi a trasformarsi in un universo continuamente cangiante di sfumature via via che l’osservatore si muove intorno all’opera cambiando la sua posizione e la sua prospettiva. Tutto ciò risulta particolarmente affascinante: proprio come avviene con la grande Arte, dei meri stimoli percettivi sanno innescare con forza nel soggetto che li riceve non soltanto un potente vissuto estetico ma anche una riflessione rinnovata sul mondo. Ri-flettere d’altronde vuole dire proprio questo, tornare ad osservare attentamente un oggetto dopo essersene per un attimo distanziati, tornare a farlo con occhi nuovi, liberi dalle precomprensioni e dai clichés che a volte una presunta immediatezza può portare con sé. Prestando attenzione al lavoro di Simpson, è allora possibile scorgere un elemento profondamente comune ai quadri che egli dipinge come alla struttura del reale, e cioè quello della sfumatura. Fermatevi un istante e riflettete: non vi pare che il mondo intorno a voi sia dotato di una stupefacente multiformità e ricchezza di sfumature e che spesso soltanto a costo di un grande impoverimento possa essere ridotto a schemi saldi, a visioni nette, ad elementi dai contorni definiti? Nietzsche ha scritto: «La vita stessa mi ha confidato questo segreto. Vedi, disse, io sono il continuo, necessario superamento di me stessa». E cosa vuol dire aprirsi all’auto-superamento se non abolire i contorni, lasciar spazio all’indefinito, proprio come avviene nella sfumatura? La sfumatura è la voce dell’irriducibile, nella sfumatura si fondono più elementi tenuti insieme in una loro specificità, una specificità non interpretabile per mezzo di altro. La sfumatura apre uno spazio ineffabile, intimo e segreto, uno spazio cangiante che rende spesso difficoltoso l’adattamento, perché certo sono molto più comodi gli ideali e le spiegazioni intransigenti. Eppure non dovremmo mai dimenticare che la sfumatura è per l’appunto la stessa Vita, ciò che dà colore al quadro esistenziale di ciascuno di noi e a quello della storia del mondo. La sfumatura è la dimensione propria del sentimento, perché cosa c’è di più vicino del sentimento all’indefinitezza e all’intimità della sfumatura? E se è vero che non siamo soltanto animali razionali ma anche esseri emotivi, se l’ineffabile contraddittorietà che può caratterizzare il nostro sentire, e la complessa, snervante, ma pur sempre apprezzabile ricchezza che esso porta con sé stanno alla base dell’umano anche più della capacità di calcolo e d’astrazione, allora si potrebbe concludere senza eccessive remore che il mondo abitato dall’uomo è innanzitutto un mondo di sfumature, e forse addirittura che non v’è poi molta umanità al di là di queste. La filosofia allora può compiere qualcosa di più oltre ad analizzare la realtà riportandola a categorie e concetti universali sul modello della razionalità calcolante, compito che pure è estremamente pieno di valore. Essa può cercare di salvaguardare la specificità del particolare facendosi «teoresi della sfumatura», accogliendo il contributo che altri campi culturali possono apportare in questo senso, campi quali la musica, l’arte e la letteratura. È ciò che propriamente avviene in pensatori non sistematici come il grande filosofo francese di origine ebrea Vladimir Jankélévitch, definibile a ragione come «filosofo della sfumatura». Non soltanto per un romanziere, ma anche per il filosofo concentrato sulla complessità irriducibile del particolare e dell’esperienza umana «resta il dovere di dare la sfumatura, spiegare la complicazione, suggerire la contraddizione. Non cancellare la contraddizione, non negare la contraddizione, ma vedere dove, all’interno della contraddizione, si colloca lo straziato essere umano. Tenere conto del caos, farlo entrare». (Philip Roth, da «Ho sposato una comunista»).