L'intervista

Un Gesù di Nazareth così non era mai stato raccontato

Mario Valentini, autore di Vangeli Nuovissimi uscito lo scorso 2021, ci porta in un viaggio alla scoperta di un nuovo modo di guardare la figura del Nazareno
Immagine tratta dal film "Dogma", 1999
Alessia Blum
Alessia Blum
30.12.2022 11:24

Negli ultimi tempi l’interesse per la figura storica e umana di Cristo sta tornando di moda e molti testi appena pubblicati riempiono gli scaffali delle librerie. Vangeli nuovissimi, pubblicato nel 2021, è un libro che strappa molti sorrisi, ma lascia anche il tempo per riflettere.

Qual è il suo rapporto con la fede e cosa lo ha spinto a scrivere dei vangeli oggi?
«Scrivere questi vangeli mi ha permesso di rimettermi in contatto con quelle storie che ho sentito ripetere da bambino e da ragazzo. Dove e quando sono cresciuto io tutte le strade portavano a una chiesa. Perfino per giocare a pallone, l’unico posto in cui potevi farlo era l’oratorio. Questa dei vangeli è dunque una grande storia imparata nell’infanzia, insieme a molte altre: quelle dei supereroi dei fumetti, oltre a Sandokan, Tarzan, Goldrake, Zorro. Tutte figure affettive, proprio come Gesù di Nazaret. La storia di Gesù mi è rimasta nelle orecchie con tutti i suoi modi di dire, l’intercalare delle formule sacre pronunciate a messa, le formule narrative ricorrenti. Più che la figura di Gesù il nazareno, è la forma vangelo (sonora e narrativa) che mi ha attratto nuovamente dopo tanti anni».

Il libro appare proprio come una matassa composta da fili fatti di vangeli canonici, apocrifi e probabilmente racconti popolari che si contaminano con la nostra quotidianità. Sembra una scelta davvero riuscita per far riflettere sul mito passato che resta sempre presente. Questa commistione è voluta per attualizzare il racconto neotestamentario?
«È vero, si intrecciano le fonti che ha detto lei. I racconti popolari sono quelli raccolti da Giuseppe Pitrè nell’Ottocento, che ho tradotto abbastanza liberamente dagli originali dialettali. Ma ci sono anche altri riferimenti: tutta la storiografia sul Gesù storico, oltre all’opera di storici antichi. Ho scritto in grande libertà, guidato dall’estro e dal divertimento, affastellando i singoli vangeli uno dopo l’altro. C’è una coerenza interna ma anche una profonda discontinuità. Che poi è la stessa incoerenza dei vangeli antichi, tanto dei canonici quanto degli apocrifi. Esattamente come accadeva per i vangeli antichi, ognuno dei quali era nato in una certa setta religiosa, anche i miei vangeli sembrano appartenere a congreghe diverse, ognuna delle quali disegna un Gesù a propria immagine e somiglianza. C’è il Gesù dei guaritori e quello degli atleti, quello degli ambientalisti e quello degli scettici, ecc…».

Gesù inserito in un contesto così contemporaneo ha la funzione di far avvicinare il lettore alla sua figura e ai relativi messaggi, oppure vuole solo dimostrare come sia possibile costruire e adattare un vangelo a qualsiasi tempo e situazione?
«Non so cosa voglia dimostrare, probabilmente niente. I vangeli hanno la caratteristica di potere essere raccontati infinite volte in numerose varianti. È anche una caratteristica tipica delle storie nate in regime di oralità. Esattamente come le fiabe, anche dietro i vangeli, prima dei vangeli, sia canonici che apocrifi, c’è tutta una tradizione di storie passate di bocca in bocca sulle gesta e le frasi memorabili di Gesù e sui suoi viaggi. Io ho ripreso questa caratteristica, di essere storie ri-raccontabili, intrecciandovi le urgenze del nostro tempo. È stato fatto una miriade di volte in venti secoli di cristianità. Gli evangelisti non sono quattro, sono una miriade. E tra questi: tutti i pittori di secoli e secoli di storia dell’arte. Sono tutti evangelisti apocrifi. E anch’io tra questi. Ho avuto delle visioni e le ho trascritte. Divertendomi, spesso».

Il suo Gesù è terribilmente umano. Questo tentativo di demistificare il figlio di Dio è pensato per avvicinarlo a una figura più storica e – dunque – più credibile?
«A me sembra che questa figura sia demistificata da sempre. Come molte altre della tradizione cristiana. Nel saggio sulle Feste religiose in Sicilia, Sciascia racconta delle guerre tra santi. Le contrade di ogni paese, che si identificavano in un santo patrono diverso, durante le feste religiose arrivavano a fare a botte tra loro o a fare sabotaggi del santo avversario. Quand’ero ragazzino, il contraltare della cultura religiosa era una gran quantità di barzellette su Gesù, gli apostoli e San Pietro. Le tradizioni popolari sono piene di storie di monaci, suore, preti che fanno tutto tranne che tenere in piedi la visione mistica di Gesù».

Il testo è pieno di anacronismi in grado di far scattare un cortocircuito nel lettore e far immaginare un Gesù contemporaneo che gioca a carte, che lancia sassi dai cavalcavia o che scherza in modo cameratesco con i discepoli.
«Forse in questo caso bisogna tirare in ballo la questione del comico. Il mio libro si inscrive in una, a mio avviso nobile, tradizione del comico in letteratura. Gli anacronismi scatenano un cortocircuito di tipo comico. Anche il tentativo di capire la vera natura degli insegnamenti di Gesù spesso crea questo cortocircuito. Ciò che mi interessa è la venatura conoscitiva che la comicità è in grado di restituire».

La fragilità umana di questo «Redentore» qual è?
«Quando Gesù nei canonici chiede agli apostoli “E voi? Chi credete che io sia?”, è un Dio fragile e insicuro quello che parla. Quando si deve occupare delle beghe e delle invidie tra i discepoli è un Dio che non riesce a farsi capire in nessun modo e che si percepisce incompreso. Questa storia ha funzionato bene nei secoli perché, di volta in volta, è stata ri-raccontata in modo che potesse funzionare come storia pienamente umana. Basta prendere in considerazione cosa succede nell’arte figurativa tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, quando la pittura si è completamente laicizzata. La figura di Giuseppe scompare. Non si rintracciano più sacre famiglie nell’arte colta. Per un breve periodo si fa strada Maria Maddalena, ma poi per almeno due decenni si assiste a un vero trionfo di Salomè: seduttrice e tagliatrice di teste. La sacra famiglia permane soprattutto come gruppo laico della madre con in braccio il bambino: rimane vitale come raffigurazione della maternità. Durante e dopo le due guerre mondiali, però, quasi fosse l’immagine che meglio è in grado di raffigurare pienamente le sofferenze patite dall’uomo qualsiasi, c'è un proliferare di crocifissioni, anche da parte di artisti per nulla cristiani. Otto Dix dipinge due o tre Ecce Homo in cui a Cristo si sostituisce l’immagine del prigioniero di guerra dietro il filo spinato. E dunque anche il filo spinato, immagine emblematica del campo di concentramento o della guerra di trincea, si sovrappone alla corona di spine. Insomma, la vicenda di Gesù viene assunta come metafora di una condizione tutta umana e storica».

Cosa chiederebbe a Gesù se ne avesse l’opportunità?
«Forse gli chiederei che tipo di pane era quello che ha moltiplicato. E a quanto andava al chilo il pane a quei tempi? Quale effettivo risparmio c’è stato, insomma, con la moltiplicazione del pane e dei pesci? Ma solo per pura curiosità, senz’altro scopo. Insomma, gli farei domande così, del tutto inutili».

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