Ticino

Migranti sulle spine: che ne sarà di noi?

Più di duemila persone ospitate in Ticino vivono senza sapere se resteranno: «Medicalizzazioni in aumento»
© CdT/Gabriele Putzu
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
23.04.2023 15:00

Quasi 100 mila. Tanti sono gli stranieri in Ticino su una popolazione che supera di poco le 350 mila persone. Centomila stranieri, di cui la maggior parte, circa 68 mila, hanno un permesso C e quindi potrebbero chiedere di diventare svizzeri, e un’altra fetta, circa 27 mila, hanno un permesso B, l’anticamera per ricevere il permesso C. Tutti gli altri, circa 2.300 persone, sono dimoranti temporanei, provvisori e richiedenti l’asilo; una popolazione di stranieri grande quanto un Comune ticinese di piccole dimensioni. Grande, ad esempio quanto Muralto o Coldrerio. Una popolazione che, secondo la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) potrebbe ancora aumentare, visto che in Svizzera quest’anno è previsto l’arrivo di nuovi 27 mila richiedenti l’asilo. Persone, non numeri. Ognuno con la propria specificità, origine, cultura, lingua, religione. Una popolazione di popoli che va oltre le cifre e il più delle volte conosce dinamiche differenti da quelle svizzere, anche se fa parte temporaneamente della Svizzera.

Esistenze sul filo della temporaneità. Che a volte «precipitano in un limbo», dice Laura Bertini-Soldà, responsabile del Centro di documentazione e ricerca sulle migrazioni della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), centro nato nel 2008 proprio per fotografare flussi, dinamiche caratteristiche delle migrazioni. «La revisione della legge sull’asilo in vigore dal 1. marzo 2019 nata con l’intento di velocizzare le procedure - precisa Bertini-Soldà - ha allungato i tempi di attesa e a volte ha causato ripercussioni sullo stato di salute psicofisico delle persone». Scombussolamenti, malesseri, disagi dell’esserci e del non esserci allo stesso tempo. Uno sdoppiamento esistenziale a volte molto difficile da sopportare che non a caso negli ultimi anni ha portato «a un aumento dei casi di medicalizzazione», precisa Bertini-Soldà.

Lo stress emotivo tra gli ucraini

Dietro a un mal di schiena, a un aumento di pressione, a un mal di pancia può insomma nascondersi uno stress emotivo difficile da controllare. Soprattutto in chi vive e non vive, in chi rimane sospeso su un filo sottile. «E non stiamo parlando solo dei richiedenti l’asilo», specifica l’antropologa del Centro di documentazione e ricerca della SUPSI. A entrare nei dettagli è Paola Solcà, anche lei ricercatrice del Centro e responsabile del Bachelor in Lavoro sociale alla SUPSI. «Anche tra gli ucraini che da circa un anno hanno trovato rifugio in Ticino iniziano a emergere situazioni di stress emotivo dovute alla lontananza e alla scarsità di notizie dei loro familiari».

Gli afgani di oggi e di ieri

Vivere sospesi e nell’incertezza. Può succedere anche questo ai migranti. Perché ognuno ha la sua storia e proprio fantasmi. «Gli afgani che stanno arrivando oggi in Ticino sono ad esempio diversi da quelli che li hanno preceduti che sono arrivati da noi alcuni anni fa - riprende Solcà -. Gli afgani di oggi hanno vissuto molto più tempo a contatto con i talebani e molti di loro hanno vissuto esperienze molto negative prima di arrivare in Svizzera». Ma non solo. Gli afgani che oggi fuggono e cercano asilo «parlano anche un’altra lingua rispetto ai loro connazionali, il pashtu». Un’altra lingua significa un’altra cultura, un altro modo di vivere e interpretare la vita. Anche se in teoria si è tutti dello stesso Paese, l’Afghanistan, appunto.

Uniti dallo stesso Paese, divisi dalla lingua e diversi anche nel vivere le procedure. Perché molti afgani che hanno raggiunto il Ticino alcuni anni fa oggi hanno fatto richiesta per ricevere il permesso B. Permesso che stanno aspettando da mesi.

Anche gli eritrei compongono la variegata popolazione di temporanei e provvisori che risiede in Ticino. E arrivano quasi a un migliaio di persone. «Non compongono una vera e propria comunità - spiega Solcà - ma sono piuttosto organizzati in gruppi. A Chiasso vivono diverse donne con bambini piccoli che sono arrivate spesso da sole e sono molto legate tra loro. Qualcuna di loro si è inserita bene, lavora». Anche a Lugano ci sono «diverse famiglie di eritrei che sono ben integrate».

Le nuove figure professionali

Affinità e differenze sono due parole all’apparenza opposte. Eppure, sembrano convivere sotto lo stesso tetto quando si parla di migranti, quando si parla di una popolazione formata da popoli diversi. Uniti dall’essere temporanei, divisi dal provenire da Paesi differenti. Quando affinità e differenze si sommano, si contaminano le une con le altre possono però produrre qualcosa di inaspettato e sorprendente. Succede con quegli stranieri che invecchiano e che vogliono accanto a loro un assistente di cura a domicilio che sappia comprenderli e accudirli nella maniera giusta.

Ecco allora che nascono figure professionali nuove, multiculturali. Che dalla loro hanno un bagaglio formativo ma anche un lato emotivo ed umano capace di intercettare le frequenze giuste. Non a caso la richiesta di educatori e personale sanitario con un percorso formativo che ha abbracciato anche l’ambito migratorio sta salendo verso l’alto. Forse un segno dei tempi. O forse un segnale di una società e di una popolazione che stanno cambiando, più multiculturali. Di sicuro più varie e sfaccettate di quanto si può a prima vista immaginare, guardando solo i numeri.

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