Politica

«Non è vero che tra UDC e Lega siamo alle pistolettate»

Piero Marchesi, candidato democentrista al Consiglio di Stato, parla dei rapporti con il movimento di via Monte Boglia
Piero Marchesi, 41 anni, ha iniziato a fare politica a 18 anni, in Consiglio comunale a Monteggio. © CdT/Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
05.03.2023 07:00

Da 11 anni sindaco, prima di Monteggio poi di Tresa, da 7 anni presidente UDC, da 3 anni consigliere nazionale, Piero Marchesi sta ora correndo per un seggio in Consiglio di Stato. Una corsa iniziata con grandi speranze che però il recente sondaggio della RSI - che lo indica al terzo posto sulla lista Lega-UDC, parecchio staccato dai due uscenti - parrebbe aver affievolito.

Signor Marchesi, non era meglio spendere i 130.000 franchi per regalare un diamante a sua moglie?
«(ride)... Perché 130.000 franchi?».

È la cifra che, secondo quanto da lei dichiarato a La Domenica, spenderete lei e il partito per la sua campagna elettorale.
«La correggo. Io spenderò circa 40.000 franchi, 80.000 franchi è il budget del partito per la sua campagna. Sono due cose ben separate».

Ad ogni modo, il sondaggio non la scoraggia?
«Assolutamente no. Non gli do tanto peso. Continuo la mia campagna con entusiasmo e motivazione, tra la gente, ascoltandola e cercando di spiegare le mie idee. L’obiettivo rimane uno solo: l’elezione in Consiglio di Stato».

Sono gli stessi sondaggisti che dicevano che Paolo Beltraminelli era in una botte di ferro.
«Esatto».

Però Boris Bignasca il sondaggio l’ha preso sul serio, è piuttosto nervosetto.
«Parrebbe di sì».

È vero che tra Lega e UDC siete «quasi alle pistolettate»?
«Dice tutto lui, non è mica vero. Noi stiamo facendo la nostra campagna in modo convinto e sereno, mettendo in evidenza le tantissime proposte formulate e i molti successi ottenuti in questa legislatura. Invero, non capisco il senso di certe uscite, come quella di Zali che accusava l’UDC di volere tutto...».

Non è forse vero che volete fargli le scarpe?
«Abbiamo fatto un accordo con l’obiettivo di difendere i due seggi di destra. Non sta scritto da nessuna parte che quei due seggi debbano essere entrambi della Lega. Al momento della stesura dell’accordo noi non abbiamo nascosto le nostre ambizioni, che loro hanno giudicato legittime. Non vedo cosa sia cambiato».

In genere si tende a confermare gli uscenti, a meno che uno non sia coinvolto in un caso Argo.
«Per fortuna non sono i partiti che scelgono chi eleggere, bensì gli elettori».

Con Claudio Zali quanto spesso vi sentite?
«Non è che tra tutti e cinque i candidati ci sentiamo tutti i giorni per raccontarci la rava e la fava. Ognuno fa la sua campagna, cercando tutti di ottenere il miglior risultato possibile».

Lei e Zali siete entrambi piloti di rally. Se doveste giocarvi il seggio al volante, chi vincerebbe?
«(ride)... Non lo so, potrebbe essere interessante come sfida».

La accetterebbe?
«Certamente, a me le sfide non spaventano».

Vi è già capitato di sfidarvi al volante?
«È capitato che corressimo alle stesse gare ma in categorie diverse».

Un altro punto in comune con Zali è che siete entrambi del Malcantone.
«Sì, lui è acquisito, ma è un punto in comune».

Ecco, un problema del Malcantone è il traffico, che lui ha provato a risolvere con la tassa di collegamento. Se lei fosse al suo posto, cosa farebbe?
«Non metterei nessuna tassa per punire i cittadini o per prescrivere come comportarsi. Piuttosto promuoverei un importante progetto di mobilità aziendale, uno strumento che purtroppo in Ticino è poco utilizzato, sebbene abbia un grande potenziale».

Quindi vorrebbe risolvere il problema del traffico con qualche bus.
«Ci sono molte aziende che lavorano a turni, principalmente con frontalieri che arrivano tutti dalla stessa parte. Se riuscissimo a togliere anche solo il 10% delle auto dalla strada, potremmo raggiungere un risultato importante, senza imporre divieti, balzelli o tasse».

Se i frontalieri aumentano di 3.000 all’anno, lo sforzo sarà vanificato.
«Se non facciamo niente saranno comunque 3.000 in più. Questo è un tema che va affrontato a livello nazionale - mi riferisco alla libera circolazione - sebbene anche il Consiglio di Stato avrebbe dovuto proporre un’attuazione dell’iniziativa "Prima i nostri" invece di tirarsi fuori in modo piuttosto scandaloso».

Sul traffico, lei è favorevole al tram-treno e a tutti questi progetti che sta portando avanti Zali?
«Certo, sono progetti che vengono da lontano e che ora bisogna concretizzare, come del resto sostengo il potenziamento del trasporto pubblico. Poi ci si può interrogare se abbia senso che degli autopostali girino all’una di notte vuoti, con il solo autista a bordo. Lo dico in termini di possibile risparmio. Dopo un periodo di osservazione, una revisione delle prestazioni di trasporto pubblico sarebbe benvenuta».

Lei è d’accordo che il principale problema del cantone sia la scomparsa dei giovani ticinesi, sostituiti - nel mercato del lavoro ma non nella società - da giovani frontalieri?
«Mi pare ovvio».

Come lo risolverebbe?
«Primo di tutto ci vuole un piano di sviluppo del Cantone, ciò che il Consiglio di Stato non fa da oramai un ventennio. Bisogna lavorare su più livelli, per esempio sulla qualità della scuola, che a mio avviso oggi non crea profili pronti a entrare nel mondo del lavoro».

La scuola ticinese non è di qualità?
«Finora abbiamo sentito la retorica secondo cui la scuola non deve seguire le esigenze dell’economia. Ma se la scuola non capisce dove va l’economia, di fatto formerà disoccupati».

Per questo sono state create l’USI e la SUPSI.
«Sì, ma non basta, bisogna promuovere maggiormente la formazione professionale, che offre opportunità incredibili per i nostri giovani».

Alle aziende cosa chiede?
«Le aziende devono beneficiare di condizioni fiscali migliori, di una burocrazia snella, perché oggi uno dei problemi del canton Ticino è che per cambiare due lamiere del pollaio di casa ci vogliono 10 kg di scartoffie. Per contro, bisogna esigere da parte loro maggiore attenzione all’assunzione di personale residente».

La sua attenzione è concentrata sul Ticino, significa che a Berna non si trova bene?
«Per ambire a entrare in Consiglio di Stato devo essere in grado di fornire delle soluzioni ai problemi dei ticinesi. Ho la fortuna di poter beneficiare di più di dieci anni di esperienza come sindaco di un comune prima piccolo ora medio, sono un imprenditore, vivo la politica federale, credo di conoscere bene i problemi del canton e vorrei contribuire a risolverli».

A Berna ha già colto due vittorie. Non è male, in meno di una legislatura.
«Certo. Tra l’altro, la mia mozione approvata ha una portata non indifferente, perché torna a dare ai Cantoni le competenze per la verifica del centro di interessi nel rilascio dei permessi di soggiorno».

Un assist a Gobbi.
«Un assist al Ticino. Con questa proposta potremo avere regole più chiare per rilasciare i permessi B, affinché gli abusi possano essere arginati».

Gobbi era stato bacchettato proprio sull’aspetto del centro di interessi.
«Vero, ma l’obiettivo non dovrebbe essere quello di vessare i manager stranieri che vivono in Ticino e pagano molte imposte, semmai quello di frenare chi approfitta del sistema sociale».

Comunque lavorerebbe bene con Gobbi?
«Certo, come lavorerei bene con tutti».

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