Politica

Penalizzati perché eletti

Quando i neodeputati devono ridurre percentuale di lavoro, salario e pensione: ecco alcune testimonianze
© CdT/Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
28.05.2023 06:00

L’ultimo caso riguarda Sara Demir. A seguito della sua inattesa elezione in Gran Consiglio, l’esponente del Centro è stata convocata dal suo datore di lavoro, la Città di Bellinzona. Dopo i convenevoli di rito, le è stata prospettata una riduzione dell’impegno lavorativo (e quindi del salario) dal 100 all’80%, in virtù della nuova carica politica. La diretta interessata non vuole esprimersi sul caso che la riguarda. Ma la discussione si è accesa tra i corridoi di Palazzo delle Orsoline.

«Se Sara Demir fosse un uomo - commenta - Maura Mossi Nembrini, deputata di Più Donne -, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di chiederle di ridurre la percentuale».

I casi di Schnellmann e Caprara

In effetti nel Parlamento cantonale non mancano gli esempi di deputati che continuano a lavorare a tempo pieno, anche per l’ente pubblico. È il caso di Fabio Schnellmann, funzionario della Città di Lugano, alla quarta legislatura come deputato PLR. «Non è mai stato un problema conciliare lavoro e politica - afferma Schnellmann -. La Città di Lugano concede 8 giorni all’anno di congedo per impegni politici. Il resto del tempo lo recupero facendo ore supplementari la sera o nei weekend, oppure rinunciando a parte delle mie vacanze, visto che alla mia età ho ben 6 settimane».

Così facendo Schnellmann riesce a risultare tra i deputati più presenti, alle sessioni come in commissione, nonostante lavori al 100%.

Come Bixio Caprara, anch’egli PLR, anch’egli alla quarta legislatura, impiegato a tempo pieno per la Confederazione persino nel periodo in cui oltre che gran consigliere è stato presidente del partito cantonale. «Come direttore del Centro sportivo di Tenero lavoro per obiettivi e non per tempo - dice Caprara -. La Confederazione concede 15 giorni all’anno di congedo per impegni politici ma la questione è soprattutto che io non ho orari. Fondamentalmente i rapporti li ho sempre redatti il sabato o la domenica. La politica va a scapito della vita privata e delle ore di sonno».

A qualcosa bisogna rinunciare

Perché è innegabile che l’impegno in Gran Consiglio richiede delle rinunce, soprattutto per chi siede anche nelle commissioni. Poi dovrebbe stare al singolo deputato poter decidere cosa sacrificare.

«Io non vado tutte le sere a fare l’aperitivo o a giocare alla bocciofila - riprende Mossi Nembrini -. Ho scelto di fare politica e quindi dedico il mio tempo libero a questa passione». Anche perché il tempo lavorativo è già ben occupato come direttrice dell’Ufficio tecnico di Biasca, al 100%. «È vero che io non sono nelle commissioni - aggiunge Mossi Nembrini -, però credo che se si vuole mantenere il sistema di milizia sia importante che ognuno possa dedicarsi alla politica senza sacrificare la propria attività lavorativa. Altrimenti c’è il rischio che la politica non attiri più nessuno».

O solo chi è animato da un incontenibile idealismo, come Tamara Merlo, che per Più Donne arriva a fare di tutto, persino cambiare le lampadine. «Sono giurista - spiega Merlo - ma in questo periodo la mia attività principale è la politica. Noi non abbiamo una struttura, non abbiamo un segretariato, dobbiamo arrangiarci. Ci vogliono tempo ed energie. Io continuo a credere che il sistema di milizia abbia un senso. Però è chiaro che ci vorrebbe una maggiore possibilità per tutte le fasce della popolazione di essere rappresentate».

Io riesco a organizzarmi perché sono padrone di me stesso. È chiaro che tra lavoro e politica le giornate diventano molto lunghe
Giovanni Berardi

La scomparsa di venditori e artigiani

Oggi invece spicca la predominanza di avvocati, consulenti, agenti assicurativi, sindacalisti, funzionari pubblici o parapubblici e pensionati. Con la mancata rielezione del leghista Massimiliano Robbiani, in Gran Consiglio non c’è più nessuno che sappia cosa significa riempire gli scaffali dei supermercati. Non ci sono più operai, non ci sono più piccoli artigiani.Segno che la conciliabilità tra lavoro e politica non è alla portata di tutti.

«Io riesco a organizzarmi perché sono padrone di me stesso - dice Giovanni Berardi (Centro), unico contadino del Parlamento -. È chiaro che tra lavoro e politica le giornate diventano molto lunghe. Ma noi nell’agricoltura siamo abituati a essere occupati a qualsiasi orario, 365 giorni all’anno. Se qualche lavoro resta indietro, lo si recupera di notte».

Non si può tuttavia pretendere che tutti i gran consiglieri si immolino sull’altare dello stacanovismo. Per questo è importante che i datori di lavoro sappiano andare incontro alle esigenze dei loro collaboratori che decidono di dedicarsi alla cosa pubblica.

I datori di lavoro generosi

«Il mio datore di lavoro sostiene la politica di milizia - afferma Andrea Sanvido, neoeletto deputato leghista - offrendo la possibilità ai dipendenti che ricoprono una carica pubblica di ridurre la percentuale lavorativa all’80% senza conseguenze salariali».

Un’opportunità di cui, in altro ambito, può beneficiare anche Paolo Ortelli, deputato PLR e direttore del Centro di formazione professionale a Gordola. «La SSIC mi lascia gestire l’impegno politico, quantificato in un giorno a settimana, senza deduzioni salariali», dice.

Una generosità molto rara. Poiché nella grande maggioranza dei casi gli impiegati che hanno ridotto la percentuale per dedicarsi al lavoro parlamentare l’hanno fatto a proprie spese. In parole povere, lavorano meno ma guadagnano anche meno.

Con l’elezione in Gran Consiglio ho ridotto del 10% il mio tempo di lavoro. Avendo anche degli impegni familiari, ho deciso di scendere dall’80 al 70%
Matteo Buzzi

Riduzioni di orario e salario

«Con l’elezione in Gran Consiglio ho ridotto del 10% il mio tempo di lavoro - spiega Matteo Buzzi, gran consigliere dei Verdi e meteorologo a Locarno Monti -. Avendo anche degli impegni familiari, ho deciso di scendere dall’80 al 70%. Penso che per fare bene il proprio lavoro di parlamentare occorra calcolare almeno un giorno a settimana, tra sedute, commissioni e preparazione».

Più o meno gli stessi calcoli li ha fatti Daria Lepori, deputata socialista e municipale di Canobbio. «Io ho ridotto il mio impiego come segretaria di una ONG dall’80 al 60% - spiega -. Così posso dedicare almeno due giorni a settimana all’attività politica».

Anche Michele Guerra (Lega) deve lavorare a percentuale ridotta. «Quando sono stato assunto come coordinatore dell’antenna leventinese dell’ERSBV - spiega -, ho firmato un contratto all’80% invece che al 100% alla luce dei miei impegni in politica e del fatto che non ho diritto a congedi per impegni pubblici».

I casi degli insegnanti

Il neoeletto Massimo Mobiglia (Verdi liberali) afferma dal canto suo di aver rinunciato all’insegnamento alla SUPSI e al Politecnico di Milano. «Prima lavoravo ben oltre il 100% - dice Mobiglia -. Oggi mi concentro sulla mia attività all’80% come consulente energetico. Il resto del tempo posso dedicarlo alla politica».

Si appresta a fare delle «rinunce professionali» anche Amalia Mirante, deputata di Avanti con Ticino & Lavoro. Su quali siano queste «rinunce» l’ex socialista resta però sul vago.«Sono ancora in fase di discussione», dice.

Stessa risposta fornita dal suo collega Evaristo Roncelli. «Alla fine di quest’anno scolastico scade un incarico a termine al Liceo di Mendrisio - spiega -. Per il resto, sto riorganizzando le mie attività professionali».

C’è anche chi per la cosa pubblica ha addirittura dimezzato i propri tempi di lavoro. «Come docente di scuola elementare - osserva Aron Piezzi, deputato PLR - non ci sono vie di mezzo. O si è impiegati a tempo pieno, oppure a metà tempo. Quando sono stato eletto sindaco di Maggia, ho deciso di scendere al 50%. E da allora vado avanti così».

Al momento di assumere la co-presidenza del partito avevo un impiego all’80% come educatore, in parte a turni. Quel lavoro mi piaceva molto ma ho dovuto lasciarlo perché era diventato inconciliabile con l’attività politica e la famiglia
Fabrizio Sirica

Non si può fare tutto

Lavorano a una percentuale ridotta anche i due co-presidenti socialisti. «Al momento di assumere la co-presidenza del partito avevo un impiego all’80% come educatore, in parte a turni - racconta Fabrizio Sirica -. Quel lavoro mi piaceva molto ma ho dovuto lasciarlo perché era diventato inconciliabile con l’attività politica e la famiglia. Oggi lavoro ancora come educatore, ma al 40%». Mentre Laura Riget si limita a un impiego al 60% come assistente della co-presidenza nazionale del PS. «Il resto del tempo lo dedico al partito cantonale e al Gran Consiglio», dice.

Daniele Piccaluga, nuovo volto della Lega, ha dal canto suo lasciato l’incarico di segretario comunale di Ponte Capriasca. «Forse sarebbe stato possibile trovare un accordo - afferma -, ma non abbiamo nemmeno affrontato la questione. Con l’elezione in Gran Consiglio ho scelto di andare a lavorare nel privato».

Un altro nuovo volto del Parlamento, Mattea David (PS), ha ridotto la sua percentuale di lavoro come architetta di interni, dal 100 all’80%. «Un giorno a settimana è dedicato al lavoro di commissione - spiega -. Con l’elezione aumenta pure la necessità di essere flessibili, a scapito del tempo libero. Ma non mi lamento, in fin dei conti è una mia scelta».

Meno salario, meno secondo pilastro

Sono scelte. Non prive di conseguenze economiche. In primo luogo perché le modeste indennità percepite in Gran Consiglio sono spesso insufficienti a coprire la perdita di guadagno a livello professionale. Basti pensare che l’anno scorso la remunerazione media dei gran consiglieri è stata di 19.900 franchi a testa, quindi nemmeno 1.700 franchi al mese tutto compreso. Non di certo di che arricchirsi.

Ma c’è anche un secondo aspetto penalizzante. Perché sulle indennità del Gran Consiglio non viene versato alcun contributo per il secondo pilastro. Ciò significa che al momento di andare in pensione i deputati riceveranno delle rendite inferiori per il solo fatto di aver dedicato alla cosa pubblica parte del loro tempo lavorativo.

«Al di là dell’aspetto economico - si inserisce Fiorenzo Dadò, deputato e presidente del Centro -, la questione della conciliabilità tra politica e lavoro sta diventando sempre più problematica. Non dico che dobbiamo andare verso una politica di professionisti, però bisogna considerare che i temi sono sempre più complessi e la carta continua ad aumentare. Se si vuole svolgere bene il proprio compito, bisogna spendere tanto tempo nella preparazione. Io sono fortunato ad avere mio fratello che gestisce l’azienda di famiglia, altrimenti non ce la farei».

La nostra agenda è spesso dettata dalle autorità giudiziarie, per cui non è sempre facile far combaciare tutti gli impegni
Pierluigi Pasi

Persino gli avvocati faticano

Riesce a fare politica, in pratica, solo chi è ben supportato oppure chi gode di grande flessibilità nell’organizzazione del proprio tempo. «Ma anche noi dobbiamo arrangiarci - obietta Pierluigi Pasi, neoeletto deputato UDC -. La nostra agenda è spesso dettata dalle autorità giudiziarie, per cui non è sempre facile far combaciare tutti gli impegni».

Se l’avvocato Tuto Rossi (UDC) giura di riuscire a stare dietro a tutto «lavorando sette giorni su sette», Sabrina Gendotti (Centro) ha lasciato l’attività dipendente per mettersi in proprio («non era più sostenibile», spiega) mentre Roberta Soldati (UDC) ammette di aver ridotto la percentuale dal 100 al 60%. «Il lavoro inGran Consiglio e nelle commissioni richiede parecchio tempo, se lo si vuole fare bene», osserva Soldati.

Il doppio ruolo deputato-municipale

Un discorso a parte lo meritano poi i gran consiglieri che rivestono anche la carica di municipale in un centro urbano. Tiziano Galeazzi (UDC) afferma di aver ridotto la sua percentuale come consulente finanziario al 50%, «ma anche così il tempo libero è ridotto all’osso». La sua collega Cristina Zanini Barzaghi (PS) dice di non riuscire a dedicare più di due giorni a settimana al suo studio di ingegneria, almeno in questa fase di impegno su più fronti. Mauro Minotti (Lega) dice si essere attivo sui cantieri al 50%, un compito cui non vorrebbe rinunciare poiché gli consente di avere il polso del mondo del lavoro. Daniele Caverzasio (Lega) approfitta della flessibilità che gli garantisce il suo impiego come assicuratore.

Ad ogni modo per tutti la politica comporta delle rinunce. «Io lavoro al 100% per la mia fiduciaria - afferma Andrea Censi (Lega) - e per un altro 50% faccio politica. Mi fa ridere quando sento proporre la settimana lavorativa di 4 giorni. A me basterebbe già solo lavorarne 6...».

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