La storia

Quei bambini costretti a vivere come clandestini: in Svizzera

Una ricerca ricostruisce la vicenda dei figli degli «stagionali»: «Erano 50 mila piccoli fantasmi» spiega Toni Ricciardi
Era una clandestinità ad intermittenza, andava avanti per trimestri o per semestri, e durava complessivamente al massimo dai 4 ai 5 anni.
Mauro Spignesi
27.11.2022 16:00

«La storia non fa processi, la storia racconta, analizza, verifica le fonti, ricostruisce e contestualizza i fatti accaduti nel passato. Ed è quello che abbiamo fatto anche in questa occasione», spiega Toni Ricciardi, storico dell’Università di Ginevra che ha coordinato la ricerca sul collocamento dei minori, figli di lavoratori stagionali, nella seconda metà del secolo scorso. Studio finanziato dal Fondo nazionale svizzero (FNS). «Anche se poi sin dall’inizio del nostro lavoro - prosegue Ricciardi - abbiamo incontrato un problema: poiché si trattava di stabilire alla fine il numero dei bimbi costretti a vivere come clandestini, nascosti, non esistono certezze. Non esiste una statistica. Avere numeri precisi è stato complicato, perché abbiamo dovuto ricostruire pazientemente le cifre anno dopo anno».

Stiamo parlando di un periodo che va dal 1931, con la legge organica sulla migrazione e la figura dello stagionale, sino al 2002. Settant’anni, dunque. «Sino agli anni Sessanta c’erano cambiamenti rilevanti, secondo le stagioni. Nel 1964, ad esempio, c’erano 200 mila stagionali e comunque la media non è mai scesa sotto i 120 mila e di questi il 90 per cento erano italiani, anche per una questione geopolitica (in Spagna, ad esempio, c’era ancora la dittatura di Franco). Dalle schedature emerge appunto che c’erano diversi bambini clandestini, che non avevano diritto di andare a scuola o all’asilo o ad avere una vita sociale. Ma era una clandestinità ad intermittenza, andava avanti per trimestri o per semestri, e durava complessivamente al massimo dai 4 ai 5 anni». Sino a ora gli storici non erano andati oltre la previsione di 15 mila bambini al massimo. «Alla fine noi abbiamo calcolato 50 mila bambini in clandestinità ma lo abbiamo fatto fissando una forchetta con un minimo e un massimo».

Insomma, sui bimbi figli degli stagionali che formalmente non potevano seguire i genitori, c’è ancora tanto da indagare. E proprio recentemente è nata una associazione. La legge consentiva ai lavoratori di rimanere nella Confederazione nove mesi all’anno e autorizzava il cosiddetto «raggruppamento familiare» da tre a sei mesi al massimo, secondo la normativa del cantone dove c’era la sede dell’azienda. Questo ha costretto molti a restare lontani dalle famiglie o a far venire i figli e farli vivere nascosti - come è capitato a molti - nell’abitazione affittata per il periodo lavorativo.

«Noi - precisa Ricciardi - abbiamo parlato di multicollocazione perché i bimbi degli stagionali, quando partiva il padre stavano inizialmente con i parenti in Italia, poi alcuni in istituti a Como o Domodossola o in altre strutture della Chiesa, mentre altri stavano chiusi in casa, in Svizzera, dove lavoravano i genitori. Ed erano fantasmi». E tuttavia, «la società svizzera allora si era data alcuni anticorpi rispetto a questo fenomeno. Nel 1970, ad esempio, era nata a Neuchâtel una scuola per clandestini, poi c’erano medici - perché abbiamo trovato i certificati - che curavano e vaccinavano i bimbi degli stagionali. Insomma, c’era la legge ma c’erano anche modi per aggirarla e la polizia degli stranieri lo sapeva, tanto è vero che negli archivi abbiamo scoperto ordini piuttosto blandi», aggiunge ancora Ricciardi.

Dal 1958 al 1976 il 50 per cento del flusso in uscita dell’emigrazione italiana era diretto in Svizzera. «Rispetto al problema delle coercizioni quello dei figli degli stagionali è diverso. Intanto sulle coercizioni la Svizzera ha preso coscienza e, attraverso Simonetta Sommaruga, ha anche chiesto scusa, mentre stavolta non è avvenuto. Il nostro lavoro serve dunque anche a far prendere coscienza di questo fenomeno. La Confederazione - conclude Toni Ricciardi - oggi è un Paese che ha saputo far tesoro della migrazione, che fa parte della sua storia, e non può permettersi rimozioni».