Lavoro

Ticino, disoccupati malgrado tutto

Le storie di chi continua a lottare mentre è record di «posti vacanti» e in migliaia scompaiono dai radar
L’informatica è, insieme alla ristorazione e all’albergheria, uno dei settori più colpiti dalla penuria di manodopera © CdT/Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
12.02.2023 10:00

In Svizzera è record di posti vacanti, oltre 120.000, sebbene l’immigrazione prosegua su ritmi sostenuti e gli uffici regionali di collocamento registrino ancora poco più di 100.000 disoccupati. Come è possibile che non si riesca a far combaciare la domanda e l’offerta?

«Questo disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è emerso in particolare dopo la crisi pandemica - osserva Christian Marazzi, economista e professore alla SUPSI -. Dalla seconda metà del 2021 si parla con sempre più frequenza di questo fenomeno quantitativo e qualitativo che va sotto il nome di grande dimissione. Un atteggiamento che è maturato durante il periodo del confinamento, che ha permesso a tutta una serie di persone di porsi degli interrogativi relativi al rapporto tra lavoro e vita».

«Inutile parlare di fannulloni»

Qualcuno l’ha definita una «epidemia di pigrizia». Qualcuno dice che «i giovani non hanno più voglia di lavorare». Ma sono visioni riduttive se non fuorvianti, secondo Marazzi. «È inutile liquidare il fenomeno parlando di fannulloni o parassiti - afferma -. Qui siamo di fronte a un cambiamento strutturale, che dobbiamo cercare di studiare e approfondire».

Anche perché questo nuovo approccio al mondo del lavoro è arrivato per restare. «Da una parte è un atteggiamento di rifiuto verso quelli che erano alcuni standard lavorativi prepandemici -spiega Marazzi -. Ma è anche un cambiamento antropologico. È la conseguenza che gli sviluppi tecnologici hanno sulla mente, soprattutto sulla generazione più giovane. Sul Financial Times si parlava della generazione playlist. Nel senso che fa un mix di valori e priorità che non necessariamente combaciano con quelli che offre il mercato del lavoro».

Migliaia di scomparsi, anche in Ticino

C’è poi un secondo fenomeno che si interseca con la grande dimissione. È quello delle persone che scompaiono dal radar. «In Ticino se ne parla troppo poco - sostiene Marazzi -, ma a occhio e croce ci sono circa 6.000 persone che sono scomparse dalle statistiche. È un fenomeno interessante che andrebbe studiato in modo rigoroso».

Perché, per ora, ci si può solo limitare a formulare delle ipotesi. «Si presume che una parte di questi giovani abbia deciso di prolungare la formazione o si sia ritirata in famiglia. Ma secondo me la spiegazione più interessante e plausibile è che molte di queste persone si siano nascoste nel mondo delle attività digitali, in rete. In effetti già dalla crisi del 2008 si è osservato un aumento di persone senza attività lucrativa. Persone che versano l’AVS per garantirsi la continuità dei contributi ma che non risultano attive. C’è stata un’impennata a tutt’oggi non spiegata, che rimanda a questa ipotesi di un movimento verso le nuove attività legate alla digitalizzazione, che spesso sfuggono a un rilevamento statistico e probabilmente anche fiscale».

Ultracinquantenni in difficoltà

Ci sono lavoratori, spesso giovani, che scelgono di trasferirsi in rete. Ce ne sono però altri, spesso più avanti con gli anni, che vorrebbero continuare a lavorare nel mondo reale ma non ci riescono. «Il fenomeno delle persone sopra i 50 anni che faticano a trovare un impiego non è nuovo - si inserisce Claudio Isabella, sindacalista OCST e granconsigliere del Centro -. Però in questi ultimi anni oltre all’handicap del maggior costo dei contributi per la cassa pensione si è aggiunto l’aspetto dell’accelerazione dell’evoluzione tecnologica. Oggi anche i lavori più manuali si stanno digitalizzando e chi non ha una certa dimestichezza rimane tagliato fuori».

Non per niente la categoria in cui il tasso disoccupazione è calato di meno, negli ultimi anni, è proprio quella dei lavoratori over 50, alcuni dei quali raccontano le loro storie in questa edizione de «La Domenica» (vedi articoli a fianco).

«A livello di Gran Consiglio - prosegue Isabella - dovremmo discutere a breve del prolungamento delle indennità di disoccupazione per le persone sopra i 50 anni di età. Ma è solo un cerotto. Secondo me bisognerebbe favorire anche il reinserimento, per esempio con un incentivo finanziario alle aziende che assumono disoccupati over 50».

Oltre che, aggiunge Alfonso Tuor, economista e docente SUPSI, insistere sulla formazione continua. «Se io dovessi entrare adesso nel mondo del lavoro - ammette -, non troverei posto da nessuna parte. L’evoluzione tecnologica avanza a passi da gigante, è difficile starle dietro».

Le due facce dell’immigrazione

Tuor non è invece particolarmente preoccupato per il problema della penuria di personale. «In Svizzera abbiamo ancora salari nettamente superiori a quelli dei Paesi vicini - osserva -, per cui è ancora possibile attrarre manodopera dall’estero, ancor di più in regioni come il Ticino che consentono di continuare a vivere in Italia».

La soluzione dell’immigrazione comporta però, avverte Tuor, anche dei risvolti negativi. «È un fenomeno a due facce - afferma -. Perché è sicuramente positivo che il nostro Paese abbia la capacità di attrarre manodopera. Ma non bisogna dimenticare che questa attrazione implica anche dei costi. C’è il problema della densificazione delle aree urbane, delle infrastrutture che non sono più adeguate al volume che devono sostenere, della forte domanda di alloggi che continua a far aumentare gli affitti».

Una crescita che fa le sue vittime tra le fasce più deboli della popolazione, quelle che già oggi tendono più facilmente a finire ai margini del mercato del lavoro. Alla fine viene da pensare al gatto che si morde la coda.

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