Il produttore

A Cademario, dove si divena eroi

L’avventurosa storia della cantina Monti vive un nuovo capitolo: Sabrina, figlia di Ivo, è entrata in azienda
Mattia Bertoldi
07.03.2022 17:00

È più o meno all’altezza di Bosco Luganese che ho realizzato quanto sia difficile trovare un taglio nuovo col quale descrivere la cantina Monti. Il sito dell’azienda è infatti già così ricco di storie e personaggi avvincenti che basterebbe raccontare quelli. Li ho ripercorsi mentre affrontavo in moto i tornanti verso Cademario: c’è Sergio Monti, il fondatore che nel 1976 ha prodotto il primo vino separando gli acini dai raspi a mano, su una ramina da pollaio. C’è il figlio Delio, l’artista che a New York ha perfezionato la sua tecnica di disegno al buio e qui ha realizzato le etichette e progettato le cantine. E infine c’è Ivo, che a 15 anni è diventato mozzo e ha fatto carriera nella marina mercantile.

Svolto verso la zona dei Ronchi di Cademario, così ripida che mi tocca scalare in prima per non surriscaldare i dischi dei freni. “La forte pendenza dei nostri vitigni” mi racconta Ivo, “ci obbliga a lavorare senza quasi l’ausilio delle macchine, con conseguente aumento della fatica e dei costi. E anche se le nostre viti sono esposte a più sole e godono di ottimo drenaggio, la quantità di grappoli che decidiamo di raccogliere è molto piccola. Leggi cosa c’è scritto su quell’etichetta”.

Dal tavolo prendo una bottiglia di Canto della terra (Merlot al 100%): “33 quintali per ettaro”.

“Significa che per ogni metro quadro raccogliamo solo 330 grammi di uva”.

Un numero molto basso (frutto di una “feroce” selezione, come si legge sul sito internet) che privilegia la qualità. È per questo che le bottiglie di casa Monti vincono regolarmente diversi premi, tra cui quelli riservati ai vini eroici (ribattezzati così poiché frutto di vigneti piantati in zone impervie). I nomi hanno il gusto del territorio e del senso di appartenenza: Rovere (Merlot al 100%), Malcantone in versione bianco e rosso, SM (dedicato a Sergio Monti, Merlot al 70% e Cabernet-Franc al 30%).

Il Canto della terra ci porta invece verso l’arte. “È il titolo di una composizione di Gustav Mahler, perché spesso accompagniamo la produzione con la musica. Quando il vino riposa in botte, per esempio, diffondiamo le note di Mozart. Ma quando si tratta di pigiare l’uva coi piedi ci vuole un po’ di salsa sudamericana e prima della pandemia invitavamo i bambini dell'asilo di Cademario per farlo”.

Eccola qui, un’altra storia che riflette il credo dei Monti: il vino è un’emozione e l'attenzione verso la natura è massima, visto che non si fa uso di diserbanti, insetticidi e pesticidi aggressivi con conseguente sperimentazione della produzione biodinamica, da tre anni a questa parte. Ivo mi accompagna all’interno dello stabile che accoglie la cantina ed è impossibile non notare la parete ricoperta da decine di cappelli di paglia. “Uno per ogni viaggio”, mi fa notare. “Il primo è del Costa Rica, avevo 15 anni”.

Quando ammetto che è difficile trovare delle domande da porgli per intessere un articolo che sia all’altezza di tutte queste avventure, lui mi indica la via. “Parla di mia figlia, Sabrina. Ha studiato a Padova, è appena entrata in azienda. Ha molte idee ed è interessata alla gastronomia – l’ideale, per la nostra realtà”.

Non c’è nulla da fare: le store più belle delle aziende vitivinicole di casa nostra sono quelle che parlano di famiglia, di affetto e di condivisione. “Ovvio che sia andata così” conclude Ivo, “Sabrina sentiva l’odore del mosto sin da quando era nel passeggino”. Come se i Ronchi, oltre alle uve, avessero la capacità di rendere anche le persone più ardite, più lungimiranti. Addirittura eroiche.