Fuga dalla città

Dopo tre anni di ristrutturazione, il tempo di un'osteria

Dopo trent’anni di abbandono, i Calzascia riaprono un ritrovo storico di Cugnasco, l’Osteria Centrale. Una storia di telefoni a gettoni, affreschi, e… gatti
@photolocatelli.ch
Sara Groisman
08.10.2022 12:54

Passa il tempo e la memoria stinge: i luoghi, le parole, gli usi si perdono e se ne creano di nuovi, che andranno anche loro persi e ritrovati. Tra le cose che stiamo perdendo ci sono i nomi con cui si indicavano luoghi e abitanti prima che arrivassero le moderne vie di (tele)comunicazione: ad esempio l’uso di dare agli abitanti d’ogni villaggio un soprannome. Così a Minusio vivevano “gli asini”, a Gerra Piano “le ciabatte”, mentre Cugnasco era il paese dei “gatti”. In effetti, trovo una Piazza del Gatto a pochi passi dalla fermata del bus; continuando lungo la strada principale, un gatto penzola da un’insegna: è la mia meta. Ma prima devo circumnavigare un’impalcatura retta da un uomo in gilet catarifrangente; in cima, una donna dipinge la scritta: Osteria Centrale.

«Eh sì, qualche lavoro da fare c’è ancora, ma finalmente siamo aperti». Michelangelo Calzascia mi accoglie contraddicendo il graffito sulla parete dell’ingresso, che da decenni recita: “l’Osteria è chiusa”. Entriamo. Il pavimento in cementine contrasta con la mobilia moderna. Alle pareti, una foto in bianco e nero e un listino dei prezzi ingiallito ammiccano alla storia centenaria dell’osteria. «Trent’anni fa mia mamma Paola veniva qui con me nel passeggino. Già allora il posto le piaceva, così aveva chiesto ai proprietari se poteva ritirarlo quando avessero smesso; loro però hanno chiuso. Decenni dopo, nel 2016, gli eredi l’hanno cercata: era ancora interessata? Chiaramente dopo trent’anni la sua situazione era un po’ cambiata… Così mi ha chiesto se avessi voglia di aiutarla. Poco dopo abbiamo comprato il posto».

Nei mesi successivi, la famiglia in corpore passa i fine-settimana a svuotare l’edificio ingombro. «Ho ritrovato persino il vecchio telefono col contatore: per anni era uno dei pochi a Cugnasco!».

Nel 2019 inizia la ristrutturazione. «È stata impegnativa. L’edificio è formato da tre blocchi d’epoche diverse; il più antico ha almeno 150 anni. Abbiamo optato per una ristrutturazione conservativa: volevamo che gli abitanti ritrovassero l’osteria di una volta. In tanti ci hanno ringraziato: entrando gli tornano in mente tanti ricordi. La mia prozia, ad esempio, s’era sposata qua». L’uomo in gilet ci interrompe in cerca di vernice, così scopro che è il padre di Michelangelo. «C’è un aneddoto sugli ex proprietari» racconta. «Loro abitavano qui. Quando arrivavano i primi svizzeri tedeschi in cerca d’alloggio, mandavano i figli a dormire dai parenti e ne affittavano le camere. Era già il principio del b&b!»

Principio adottato anche dai Calzascia: tre stanze (con dieci posti letto) sono per i viaggiatori. Le raggiungiamo dalla corte interna: sedie in ferro arricciato, piante (Paola di mestiere è fiorista) e una parete gialla su cui spiccano i dipinti murali: un gallo vaporoso, tre frati, la scritta “Vagabond Motel”. «’Bertino’ Pifferini, l’ex proprietario, era appassionato di pittura e ha lasciato dipinti su tutte le pareti. Abbiamo conservato i più sani e belli». Sulla corte si affaccia una sala per la colazione degli ospiti; da un’altra porta invece si sale. Calpestiamo la pietra delle scale originali e poi il legno delle camere. Comode e spaziose, si affacciano su ballatoi rivolti verso la corte. Percorrendoli, raggiungiamo un grande terrazzo con le sdraio. «È una zona sole per gli ospiti, ma anche per aperitivi ed eventi».

Quando arrivavano i primi svizzeri tedeschi in cerca d’alloggio, gli ex proprietari mandavano i figli a dormire dai parenti e ne affittavano le camere. Era già il principio del b&b!
Famiglia Calzascia

Dal terrazzo luminoso scendiamo nell’oscurità delle cantine di pietra, con un altro locale per eventi e, nel profondo, un grottino per degustazioni («posto ideale per vini e formaggi»).

Usciamo. All’esterno, i tavoli aspettano gli avventori. «Al momento offriamo colazioni e piatti freddi, e prevediamo degli aperitivi. Facciamo anche cene su prenotazione: è un modo per limitare gli scarti. Quel che vorremmo è che l’osteria tornasse a essere un ritrovo dove ci si sente a casa».

Mi avvio. Superando l’ingresso, un gatto dipinto mi saluta. Di fianco, Bertino ha scritto: “la paura del tempo che va”.

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