I grandi cicli

Il vino, l'inizio di un bel romanzo

In un tripudio di emozioni, acqua e uva danno vita a un nettare che l’uomo continua a migliorare tra idee e nuove tecniche
Tarcisio Bullo
Tarcisio Bullo
07.03.2022 17:20

Ci eravamo lasciati nel momento della vendemmia, il giorno della festa per tutti i viticoltori, che possono celebrare il raccolto e godere dei frutti di un lavoro in vigna appassionante ma durissimo. La stagione nel vigneto grosso modo finisce qui, in attesa che il freddo faccia il suo lavoro, la vite perda le foglie e si riparta con la potatura, per cominciare la quale – ricordiamolo – sarebbe meglio attendere almeno l’inizio del nuovo anno. Finita la vendemmia però, inevitabilmente comincia il grande romanzo del vino, che celebra i suoi eroi e i suoi militi ignoti, splendori, miserie o semplice normalità.

I grandi enologi ci raccontano che ci sono mille modi per fare il vino e ognuno percorrerà la propria strada, sperimentando, inerpicandosi su sentieri arditi, restando fedeli alla tradizione, facendo due passi avanti per poi magari tornare indietro. Ma c’è una base di partenza che è comune a tutti coloro che vogliono trasformare l’uva in vino e non abbisogna di attrezzature sofisticate, perché fa parte del grande mondo della natura: stiamo parlando della fermentazione alcolica, quel processo attuato da microrganismi chiamati lieviti, presenti sulle bucce degli acini, che scompongono lo zucchero presente nel frutto trasformandolo in alcol.

È durante questo processo, che può durare da una decina di giorni a parecchie settimane (eccolo qui il primo intervento dell’enologo, chiamato a decidere i tempi della macerazione) che avviene il miracolo della trasformazione del mosto in vino.

Per la verità, a questo stadio della lavorazione intervengono parecchi fattori e parecchie decisioni, a dipendenza che si voglia ottenere un vino bianco da uve a bacca bianca o da uve a bacca nera, oppure un rosato (che non si fa mischiando il vino bianco al vino rosso), oppure un vino rosso. In quest’ultimo caso le scelte si moltiplicano in funzione dell’obiettivo da raggiungere, ossia un vino rosso leggero, beverino; oppure più complesso, tannico, corposo.

La chimica della natura però non bada a queste sottigliezze: a una temperatura che dovrà essere più o meno costante e attorno ai 20 gradi, il processo di trasformazione degli zuccheri in alcol si avvia con quella che viene definita la fermentazione tumultuosa. Di regola i lieviti presenti sulla buccia vengono aumentati artificialmente dall’intervento dell’uomo, che ne aggiunge di nuovi, appositamente selezionati (e qui tocca ancora all’enologo fare le scelte opportune, perché non tutti i lieviti sono uguali). I lieviti diventano attivi dopo essere stati sciolti e diluiti in un po’ di acqua tiepida e zucchero o nel mosto stesso ricavato dopo la pigiatura e portato alla giusta temperatura. Dall’aggiunta dei lieviti alla massa del mosto nel tino, trascorreranno circa 24 ore prima che la fermentazione abbia inizio e quando comincia non è possibile non accorgersene, perché la vasca emetterà dei gorgoglii, liberando anidride carbonica e portando in superficie la massa solida che in gergo viene definita il “cappello”. Questo cappello andrà rotto costantemente per alcuni giorni con un’operazione che viene detta follatura e consiste nel rimandare sul fondo le bucce in maniera che possano mescolarsi con la parte liquida cedendo alla stessa colore e aromi. Poi, mano a mano che la trasformazione degli zuccheri in alcol prosegue e la fermentazione tumultuosa diventa più tranquilla, si può decidere di interrompere la follatura per effettuare soltanto dei rimontaggi, prelevando il liquido sul fondo del contenitore con una pompa (oppure a mano con dei secchi) e versandolo direttamente sul cappello.

In natura, a dipendenza di varie condizioni, dopo un periodo che può variare tra 5 e 8 giorni, il lavoro di trasformazione del mosto in vino potrebbe dirsi concluso. La prova? Consiste nella misurazione della gradazione zuccherina del vino che può avvenire mediante un mostimetro: il valore misurato a fermentazione terminata sarà pari a zero, perché tutto lo zucchero presente nell’uva sarà stato trasformato in alcol.

Si procede dunque con la svinatura che consiste nel separare la parte liquida da quella solida, ma non è detto che l’enologo di turno voglia farlo subito: i tempi della macerazione come detto fanno parte delle scelte di chi fa il vino (ricordiamolo: il vino non è un dono di Dio come l’acqua e l’uva, ma è un’invenzione dell’uomo che continua a sperimentare e migliorare questa invenzione) e se si desidera un vino complesso, ricco di tannini, molto colorato e capace di regalare aromi particolari, la permanenza della massa solida e liquida nel tino può protrarsi per una ventina di giorni o più, addirittura anche per qualche mese, come succede, per fare un solo esempio, a qualche Barolo. La tendenza attuale è comunque orientata a prolungare il momento della macerazione e non solo per i vini rossi.

Prima di effettuare la svinatura, l’enologo avrà già deciso quale strada seguire per far maturare il suo vino e grosso modo le traiettorie si disegnano in acciaio, legno o cemento.

Su una questione quasi tutti concordano o litigano a dipendenza del tipo di vino: la necessità di una seconda fermentazione, la cosiddetta malolattica (o fermentazione secondaria), che appare indispensabile per i vini rossi, mentre è a geometria variabile (con sostenitori e detrattori) per bianchi e rosati.

Per usare le parole degli esperti, si parla di fermentazione malolattica per indicare quel processo, successivo alla fermentazione alcolica, attraverso cui l’acido malico viene trasformato in acido lattico.

Nel corso della fermentazione alcolica, come detto, succede infatti che lieviti e microrganismi presenti nell’uva attivino un processo chimico che trasforma gli zuccheri in alcol e anidride carbonica. Il vino così ricavato è biologicamente instabile, esposto a possibili alterazioni o degenerazioni dovute alla presenza di batteri, che ne potrebbero compromettere la qualità e la capacità di maturazione e conservazione.

Per dare stabilità al vino è dunque necessaria una seconda fermentazione, la malolattica appunto. Questa avviene unicamente a una temperatura ambientale di 18-20 gradi e con un ph del vino compreso tra 3,4 e 4. Così i batteri lattici trasformano (qualcuno parla di degradazione) l’acido malico in acido lattico. Il risultato è che un vino dal sapore piuttosto aspro e poco stabile diventa meno pungente e più delicato, acquistando stabilità biologica e rimanendo meno esposto a possibili alterazioni o degenerazioni. Per semplificare, a me piace dire che dopo la fermentazione malolattica il vino diventa più morbido e rotondo, perché in effetti mediante questo fenomeno perde acidità incrementando il suo ph e acquistando complessità aromatica con la comparsa di note speziate e tostate.

Se nessuno discute più la necessità della malolattica applicata ai vini rossi, per i bianchi e i rosati si apre invece un capitolo enorme, ma grosso modo pochi rosé fanno una malolattica completa (il fenomeno si può interrompere a piacere) mentre per i vini bianchi è necessaria in presenza di un tipo di vino complesso, adatto soprattutto alla maturazione nelle botti di legno. Nei rosati e nei bianchi si cerca infatti freschezza e acidità, fattore quest’ultimo che, come abbiamo visto, la malolattica attenua.

Questa fermentazione secondaria può durare anche dei mesi: l’enologo la seguirà passo dopo passo prima di procedere a una stabilizzazione del vino su due livelli, fisica e chimica. Qui entreremmo però in un campo complesso fatto di collaggi, filtrazione, raffreddamenti del vino, aggiunta di anidride solforosa. Semplifichiamo al massimo: dopo la fermentazione malolattica, il vino maturato nelle botti di acciaio o nel cemento sarà pronto per essere imbottigliato e venduto; quello che matura nel legno (botti grandi o barrique) potrà essere affinato per mesi e mesi, anche per anni, prima di essere pronto a emozionare l’appassionato. Perché come scriveva il compianto Gianni Mura, giornalista sportivo e grande appassionato di vini, “il vino, quale che ne sia il livello, un’emozione la deve trasmettere, sempre. Può venire da una sfumatura di colore, dai profumi, dai più tenui ai più aggressivi, dal sapore (complessità, semplicità, facilità di beva, vinosità). Esistono vini come casette di campagna con i gerani sul balcone, altri come il duomo di Colonia, vini come messe solenni e i vini come balli sull’aia, vini piacioni, realizzati per la seduzione immediata, e altri più riservati, non si aprono subito, stanno in disparte, come una volta, nei paesi, le ragazze non belle, sedute finché qualcuno non le invita a ballare, e al terzo ballo gli arriva il profumo dei capelli di lei”.