Terraviva

Lavoro, mercato e pinte: l'avventura dei birrifici ticinesi

Negli ultimi due secoli numerose aziende hanno portato soldi e progresso in diverse regioni – Ora la loro storia è raccolta in un libro di Daniele Foletti
Jonas Marti
02.07.2022 18:12

Le grandi storie cominciano spesso in piccoli luoghi. E così la prima bottiglia di birra ticinese viene stappata nel 1792 in Leventina, nel solitario paesino di Piotta, in una semplice fabbrica costruita da un certo Cipriano Antonio Piccoli che, per riempire la sua gièschéira, la ghiacciaia, ospitata in un lungo cunicolo ai piedi della montagna, deve salire d’inverno fino al lago Ritom, spaccare i grandi blocchi di ghiaccio e trasportarli a valle con le slitte. Una fatica d’Ercole che viene però premiata dall’inaspettato successo. Il nipote Carlo, soprannominato biratin, trascorrerà poi alcuni anni nell’Impero austro-ungarico per carpire ogni segreto della bionda frizzante.

Sono passati esattamente duecentotrenta anni dall’inizio di questa straordinaria avventura: la birra, fino ad allora quasi sconosciuta nel Ticino della vite e del vino, conquista in pochi decenni ogni valle del cantone.

A raccontare questa affascinante storia ci ha pensato Daniele Foletti, appassionato di birre, gazzose e liquori ticinesi, che dopo anni di ricerche ha pubblicato per Fontana Edizioni il libro Birrifici Storici Ticinesi. «Mi colpisce lo spirito di sacrificio e la visione lungimirante dei primi pionieri della birra, che hanno dedicato anima e corpo per inseguire un sogno».

Sogni, visioni, soluzioni

Nel 1835 le bollicine alcoliche arrivano a Bellinzona, dove il birraio Federico Majer apre uno stabilimento in contrada Magoria. Ma sorge una questione. Dopo essere macinato, il malto deve essere mescolato con acqua calda. Per compiere l’operazione, normalmente si utilizza un macchinario azionato da una grande ruota che deve continuare a girare. L’elettricità però ancora non c’è, e Majer non ha nemmeno un animale da soma. Decide così di mettere all’interno della ruota il suo grosso cane e farlo correre sui raggi…

Ma all’inizio la birra non piace a tutti, i ticinesi continuano a bere vino e la bionda è apprezzata soprattutto dagli stranieri che stanno cominciando proprio in quegli anni ad affollare le terrazze dei primi grandi alberghi. «Ma l’arrivo della ferrovia nella seconda metà dell’Ottocento cambia anche i gusti. I ticinesi, vedendo i turisti bere birra, si sono incuriositi e hanno voluto provare anche loro». La birra viene subito considerata un prodotto più raffinato e salutare del vino, che nell’Ottocento è ancora di qualità scadente ed è contaminato da prodotti chimici utilizzati contro i parassiti.

In forte crescita

L’arrivo della ferrovia è anche una manna caduta dal cielo per la birreria Rosian di Faido, fondata nel 1852 dal bavarese Luigi Rosian. L’inizio dei lavori per il traforo del San Gottardo attrae in Leventina centinaia di operai che lavorano alla costruzione della linea tra Airolo e Biasca, e fa aumentare esponenzialmente la domanda di birra che presto raggiunge volumi di vendita mai più replicati in seguito. In pochi anni i birrifici si moltiplicano, il clima è euforico. Nel 1878 aprono a Bellinzona la birraria Bonzanigo-Jauch e a Dangio in valle di Blenio la Fratelli Brunetti. Nel 1895 a Lugano la Vassalli&Schlee, produttrice della leggendaria birra Lugano. Nel 1899 a Balerna viene fondata la Fabbrica Birra Breggia.Gli ultimi anni dell’Ottocento sono un’epoca d’oro per i birrifici ticinesi. Finché la dolce e spensierata Belle Epoque finisce e scoppia la Prima Guerra Mondiale. L’aumento dei prezzi delle materie prime, causato soprattutto dalla difficoltà di approvvigiornamento di malto e luppolo, provoca un forte calo della produzione. A Lugano l’imprenditore Giuseppe Sailer riesce a resistere grazie a una formula chimica che prevede l’utilizzo del riso che arriva dall’Italia, ma molti birrifici invece devono chiudere.

Un’industria fondamentale

È una storia che si intreccia con la grande Storia quella dei birrifici ticinesi. Ma è anche la storia di un’industria che ha permesso a tante famiglie del territorio di guadagnarsi il pane con cui vivere. Spiega Foletti: «Chi apriva viveva di quello, ma creava anche un indotto in tutta la regione. Per mandare avanti un birrificio, erano necessarie molte professioni: il bottaio, il banconiere, che creava appositi banconi refrigerati, solitamente costruiti su misura, nei quali veniva conservata al fresco la birra, l’estrattore del ghiaccio. Erano vere e proprie fabbriche che nei decenni hanno dato lavoro a centinaia e centinaia di persone».

Ma come ogni grande avventura, anche quella dei birrifici ticinesi si conclude. La concorrenza delle birrerie confederate, all’epoca molto potenti e dotate di impianti all’avanguardia, cerca di conquistare osti e ristoratori ticinesi con lusinghieri prezzi al ribasso. Alcuni proprietari alla fine decidono di vendere. «I birrifici ticinesi erano aziende a conduzione familiare, i capostipiti hanno dato tutto per due o tre generazioni, ma alla fine gli eredi hanno ceduto alle grandi fabbriche». L’epoca d’oro della produzione di birra ticinese è ormai tramontata, «anche se sono nati tanti microbirrifici, che forse rappresentano una speranza per il futuro».

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