Salute

«Una maglietta che ci sta a cuore»

SUPSI e Cardiocentro studiano il dispositivo per chi deve affrontare aritmie cardiache rare
© CdT/Chiara Zocchetti
Marco Ortelli
19.03.2023 06:00

Immaginiamo di vivere con una «bomba ad orologeria» nel petto che può «scoppiare all’improvviso». Lo sanno soprattutto coloro che hanno un problema cardiaco, come le persone con aritmie ereditarie strutturali.

Malattie cosiddette «rare», ma se si considera, secondo quanto indicato dalle statistiche, che «la morte improvvisa rappresenta il 40-50% del totale dei casi di morti cardiovascolari, e circa la metà di queste morti improvvise si verifica come manifestazione iniziale della malattia coronarica, di malattie genetiche o di altre malattie cardiache strutturali», ecco che il progetto «ticinese» di respiro «europeo» CMIPA in fase di sviluppo alla SUPSI e al Cardiocentro, di concerto con la Fondazione Ticino Cuore, la Federazione Cantonale Ticinese Servizi Ambulanze (FCTSA) con il numero 144, l’azienda svizzera WellD e quella italiana L.I.F.E. e finanziato dall’UE nell’ambito del programma Eurostars assume una rilevanza particolare.

Ne abbiamo parlato con Francesca Faraci, responsabile del gruppo di ricerca BSP (Elaborazione Segnali Biomedici) presso l’Istituto MeDiTech del Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI e le dottorande in Tecnologia digitale personalizzata Beatrice Zanchi e Giuliana Monachino.

Una maglietta «intelligente»

Non si può impedire a un cuore di arrestarsi, «quello che possiamo fare - osserva Francesca Faraci - è cercare di aumentare la sopravvivenza delle persone colpite da arresto cardiaco improvviso». Come? «Grazie a una maglietta sensorizzata già esistente realizzata da L.I.F.E. che intendiamo ottimizzare nell’applicazione specifica delle aritmie come quelle riscontrabili nei malati di sindrome di Brugada, nota per essere tra le principali cause di morte improvvisa».

Per capire meglio, indossiamo idealmente la maglietta (vedi foto accanto), cosa succede? «La maglietta con i sensori trasmette i dati (elettrocardiogramma, respiro, saturazione, saturazione, postura e attività) ai server della L.I.F.E e lì rimangono. Se qualcosa nel ritmo cardiaco risulta «anomalo» viene inviato un segnale di allarme alla rete di sorveglianza territoriale gestita dalla Fondazione Ticino Cuore e da Ticino Soccorso 144. Grazie alla geolocalizzazione, un’ambulanza e i soccorritori laici più vicini al punto segnalato possono intervenire nel modo più rapido possibile». Un dispositivo, un progetto, quello che si sta sviluppando nelle stanze della SUPSI, che può essere visto come una sorta di «ansiolitico» per tutti coloro che vivono confrontati con l’assoluta precarietà del vivere.

Allenare gli algoritmi

Entriamo più nel dettaglio di quanto sta svolgendo l’Istituto MeDiTech nell’area scientifica Elaborazione Segnali Biomedici. «Con Beatrice Zanchi e Giuliana Monachino ci stiamo occupando dell’elaborazione dei segnali e dell’analisi della morfologia del segnale» - spiega Francesca Faraci. «Stiamo così cercando di allenare degli algoritmi per identificare quando c’è un cambiamento anche sottile nel tracciato dell’ECG e in tal caso far scattare l’allarme e avvisare il 144», riprende Giuliana Monachino. Allenare gli algoritmi? «Se per algoritmo si intende una successione di istruzioni o passi che definiscono le operazioni da eseguire sui dati per ottenere i risultati - risponde Beatrice Zanchi - riuscire ad allenarlo significa metterlo in grado di confrontare e riconoscere i dati nuovi che gli arrivano come dati a rischio». Un algoritmo «perfetto», una sorta di Sherlock Holmes capace di riconoscere l’anomalia, per «arrestarla». Ma per allenarlo occorre una banca dati estesa.

Dati o non dati, questo è il problema

«Che estesa non è - osserva Faraci -. Facciamo fatica ad acquisire dati per almeno tre problemi. Il primo è dovuto, per fortuna, al basso numero di persone affette dalla sindrome di Brugada. Gli altri due sono legati alle normative vigenti in Europa e sul nostro territorio riguardanti la protezione dei dati e agli ospedali, restii a condividere i dati dei pazienti».

Un problema che ha generato un’opportunità, riprende Monachino. «La mancanza di dati reali ci ha permesso di provare a generare dati sintetici, potenzialmente molto simili a quelli reali ma soprattutto anonimizzati, ossia dai quali non si può risalire in alcun modo a questo o quel paziente».

Un progetto, il CMIPA, «che è anche una sfida - commenta Zanchi - non solo tecnica, ma umana. Le malattie ereditarie colpiscono prettamente i giovani, la mancanza di uno di loro priverebbe noi tutti di un contributo umano. Queste malattie poi sono «toste» dal punto di vista psicologico. Questo dispositivo potrebbe aprire le porte ad applicazioni mediche diverse e favorire il miglioramento della qualità di vita».

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