Piazza grande

Ai tempi in cui l’aborto era illegale

«Annie Colère» mostra uno spaccato della provincia francese nei primi anni Settanta — Il film è stato diretto e co-sceneggiato da Blandine Lenoir
© KEYSTONE / URS FLUEELER
Marisa Marzelli
12.08.2022 06:00

Mentre negli Stati Uniti non è stato ancora assorbito il colpo della Corte Suprema che ha abolito la sentenza sul diritto federale all’aborto, da tempo il cinema ha ricominciato a riflettere sull’argomento. Basti pensare al Leone d’oro di Venezia assegnato l’anno scorso a L’événement di Audrey Diwan.

Di aborto proibito tratta anche il film francese Annie Colère, diretto e co-sceneggiato da Blandine Lenoir, visto ieri sera nel programma di piazza Grande. All’inizio del 1974, in provincia, l’operaia Annie impiegata in una fabbrica di materassi – ma l’aspetto del lavoro viene sottolineato all’inizio mentre passano i titoli di testa e poi non è più ripreso –, madre di famiglia con due figli, resta di nuovo incinta e intende abortire. Con titubanza si avvicina al MLAC (Movimento per la liberazione dell’aborto e della contraccezione), dove medici sensibili alla causa e donne disposte ad aiutarne altre praticano aborti illegali (perché la legge ancora non lo consente) ma il più possibile sicuri e senza fini di lucro. Annie è sempre più coinvolta in questo compito di solidarietà e aiuto concreto e diventa una militante. Nel frattempo l’opinione pubblica è matura per il dibattito politico sull’interruzione di gravidanza; la relativa legge verrà poi approvata dall’Assemblea Nazionale.

È curioso come la trama di Annie Colère sia simile a quella del film americano Call Jane della regista Phyllis Nagy (si parla del «Jane Collective», un servizio clandestino di Chicago attivo tra il 1969 e il ’73, periodo in cui l’aborto era illegale nella maggior parte degli States) presentato quest’anno prima al Sundance e poi in concorso alla Berlinale.

Il tema dell’aborto non finirà mai di far discutere; abbracciando privato e pubblico riguarda scelte etiche e politiche. In Annie Colère prevalgono i contenuti rispetto alla forma, è un film a tesi (il punto di vista è quello della protagonista, schierata con chi è favorevole all’aborto, senza prevedere contraddittorio). Ciò non significa che manchino buone intuizione, come quando si parla di consapevolezza femminile a proposito della propria sessualità. Un aspetto che era stato affrontato anche nel celebre L’ordine divino (2017) di Petra Volpe. Là la presa di coscienza aveva a che fare addirittura con la richiesta del diritto di voto; questo per dire delle tante sfaccettature possibili.

Ambientazione corretta anni Settanta, brava e solare la protagonista Laure Calamy, già vincitrice nel 2021 del César come migliore interprete.

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