Il caso

Come potrebbero diventare, col cambiamento climatico, le eruzioni vulcaniche

Uno studio dell'Ufficio Meteorologico islandese sta portando avanti un progetto volto a comprendere se con lo scioglimento dei ghiacci, i vulcani erutteranno più spesso e in maniera più violenta
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Red. Online
01.11.2025 06:00

La lista di conseguenze del riscaldamento climatico si allunga. Secondo le ultime ricerche dell'Ufficio meteorologico Islandese, l'aumento delle temperature potrebbe portare a un rischio maggiore di eruzioni vulcaniche. Soprattutto in un Paese come l'Islanda, dove sotto i ghiacciai che si stanno sciogliendo – sempre più velocemente – si nascondono vulcani attivi. 

Non a caso, l'Islanda viene spesso identificata come «terra del ghiaccio e del fuoco». Come ricorda The Economist, questo Paese nordico sorge a cavallo della dorsale media atlantica, ossia sul confine tra due placche – quella euroasiatica e quella nordamericana – che si stanno allontanando. Ciò significa che, a causa di questo processo, la roccia calda e liquida (ossia il magma) riesce a sgorgare dalle profondità del terreno. Dall'altra parte, l'Islanda si trova in una posizione favorevole – proprio sotto al circolo polare artico – per la formazione di ghiacciai. 

Nella terra del ghiaccio e del fuoco, si contano 34 vulcani attivi, metà dei quali sono nascosti sotto uno strato di ghiaccio che, in alcuni casi, ha uno spessore di un chilometro. Le cose, però, potrebbero cambiare. Proprio perché quel ghiaccio si sta sciogliendo, sempre più velocemente, a causa del riscaldamento climatico. Secondo le previsioni, questi ghiacciai potrebbero infatti scomparire nel giro di due secoli, generando possibili reazioni nei vulcani sottostanti. A tal proposito, Michelle Parks dell'Ufficio Meteorologico islandese, sta portando avanti un progetto volto a comprendere se, in futuro, con meno ghiaccio si verificheranno eruzioni più frequenti, più intense, o entrambe le cose. 

Si tratta di riflessioni importanti. I ghiacciai, infatti, premono sulla crosta terrestre: questa pressione che esercitano, comprime la roccia sottostante, aumentandone il punto di fusione. In assenza di ghiaccio, questo fenomeno, però, si modificherebbe: la roccia «rimbalza» (basti pensare che il terreno intorno ad alcuni vulcani ricoperti di ghiaccio si sta sollevando di circa 3 centimetri l'anno), alleviando la pressione. Detto in altre parole: il punto di fusione diminuisce, favorendo la formazione di magma, che poi fuoriesce durante le eruzioni, sotto forma di lava. 

Come riferisce The Economist, secondo i dati preliminari, i primi dati geologici raccolti da Michelle Parks suggeriscono che sotto l'Islanda si sta producendo una quantità di magma due o tre volte superiore rispetto a un secolo fa. Ma secondo quanto aggiunge il collega Freysteinn Sigmundsson, geofisico dell'Università dell'Islanda, il magma di nuova formazione potrebbe potrebbe iniziare a formarsi nei prossimi decenni. 

Quello che succederà, secondo gli esperti, dipende da come i serbatoi di magma sotto i singoli vulcani saranno rimodellati dal rimbalzo del terreno. Nello specifico, alcuni potrebbero eruttare più frequentemente. Altri meno, ma in modo più violento. Si tratta di scenari che si stanno già verificando, per esempio a Grimsvotn e Bardarbunga, due vulcani nell'Islanda centrale, che sono stati più attivi del normale negli ultimi decenni. 

Dopotutto, i dati del passato confermano l'ipotesi che lo scioglimento dei ghiacci stimola la produzione di magma. Dopo il ritiro, circa 10.000 anni fa, di una calotta glaciale spessa migliaia di metri che ricopriva l'Islanda durante l'ultima era glaciale, si sono verificate da 30 a 50 volte più eruzioni vulcaniche. A quei tempi, tuttavia, c'era molto più ghiaccio rispetto a quello che rimane oggi. Ma il legame con una maggiore attività vulcanica sembra evidente. 

Non solo l'islanda

Tuttavia, l'Islanda non è l'unico luogo colpito da questo fenomeno. Anche l'Antartide, l'Alaska e le Ande potrebbero sperimentare problemi simili in futuro. Nel nord del mondo, si conoscono circa 250 vulcani nascosti o vicini alle calotte glaciali. E in Antartide, potrebbero essercene molti altri, ancora non identificati.