Lo studio

E se il permafrost, sciogliendosi, riportasse in vita antichi agenti patogeni?

Il cambiamento climatico contribuisce a scioglimenti improvvisi di questo strato di ghiaccio: quanto sono pericolosi i batteri intrappolati in quel terreno da secoli?
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Red. Online
02.09.2023 20:45

Il cambiamento climatico, è risaputo, non minaccia solo il paesaggio del nostro pianeta. E i risultati di una nuova ricerca sembrano, ancora una volta, confermarlo. In particolare, in questo caso, a destare preoccupazione sono gli agenti patogeni che «viaggiano nel tempo». Vale a dire, tutti quei batteri che sono rimasti intrappolati nel permafrost e che ora, con il suo scioglimento, potrebbero rappresentare un rischio per gli ecosistemi moderni. Secondo uno studio che, lo scorso mese, ha osservato le interazioni tra virus antichi e batteri moderni, si possono escludere gravi perturbazioni negli ecosistemi. Tuttavia, alcuni agenti patogeni sono in grado di infiltrarsi nell'ambiente, come i parassiti, interagendo con esso e cercando di riprodursi. Vediamo, nel dettaglio, il fenomeno. 

Partiamo dal principio. Il permafrost, per fare chiarezza, è uno strato duro di terreno ghiacciato, composto da terra, sabbia e rocce che si trovano ad alte latitudini e ad alta quota, in particolare in Groenlandia, Alaska e Siberia. Ma anche sull'altopiano del Tibet e nel Canada settentrionale. In altre parole, si tratta di uno strato ghiacciato, all'interno del quale sono intrappolati quelli che gli esperti definiscono «microbi dormienti». Dunque, virus e batteri «antichi». Agenti patogeni il cui impatto sugli ecosistemi moderni potrebbe essere rischioso. Ma attenzione: questo non significa che esseri umani e altri organismi viventi potrebbero presto morire a causa di una vecchia malattia virale, risorta dal ghiaccio. 

A preoccupare gli scienziati, piuttosto, è la causa scatenante. Ossia, neanche a dirlo, il cambiamento climatico. A cui si aggiunge, tra i nuovi pericoli, anche lo scioglimento di uno strato di ghiaccio così spesso. Che, per quanto sia improbabile causi malattie serie, potrebbe avere ripercussioni sulla biodiversità. 

Infatti, qualche rischio, anche se contenuto, esiste. O, per meglio dire, il nostro pianeta, in qualche modo, potrebbe essere minacciato da questi agenti patogeni del passato. Stando a un articolo pubblicato dalla CNN, Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica presso la scuola di Medicina dell'Università di Aix-Marseille, già anni fa avrebbe riportato in vita quelli che vengono definiti virus «zombie». Vale a dire, cinque famiglie di virus antichi, in grado di infettare le amebe. Da qui, sono state condotte alcune simulazioni che hanno consentito di rilevare le potenziali conseguenze che questi batteri potrebbero avere sulla biodiversità. Ciò che è emerso dai risultati dello studio è che, a tutti gli effetti, alcuni microbi risvegliati dal permafrost sono ancora infettivi. A quanto pare, il fatto che siano stati «dormienti» per tanti anni, non significa infatti che abbiano perso le loro caratteristiche. E proprio per questa ragione, sono ancora in grado di combinare qualche pasticcio. 

Tuttavia, di questi agenti patogeni osservati, solamente l'1% sembrava in grado di creare gravi disagi. Un numero basso, a prima vista ma, se consideriamo che ogni anno 4 sestilioni di cellule fuoriescono dal permafrost, il risultato viene immediatamente letto con altri occhi. Il numero di batteri, infatti, è un numero che la maggior parte delle persone «non riesce neanche a concepire». Basti pensare che è una cifra di gran lunga superiore al numero di stelle che popolano la galassia. 

Rischi contenuti, ma l'attenzione rimane

Ma, come dicevamo, i rischi per gli esseri umani sarebbero contenuti. In primis perché le aree contenenti il permafrost sulla Terra sono scarsamente popolate. Dunque, se anche gli agenti patogeni del passato venissero «scongelati» non incontrerebbero facilmente un organismo da infettare. Di più, bisogna considerare il tempo in cui il permafrost si scioglie. Tendenzialmente, infatti, questo strato ghiacciato si scioglie gradualmente durante l'anno, a un ritmo medio di 3 centimetri a stagione. Periodo in cui, come detto prima, vengono rilasciati i 4 sestilioni di cellule. 

A preoccupare, dunque, sono i disgeli improvvisi, sempre più frequenti. Dei quali non si possono ancora definire le quantità di rilascio di organismi sconosciuti. 

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