Cambiamento climatico

Le inquietanti anomalie degli Oceani

Un nuovo set di dati mostra come i mari si stiano riscaldando a una velocità mai vista e mai prevista prima – A marzo, la temperatura superficiale dell’Atlantico al largo della costa orientale del Nord America era di 13,8°C superiore alla media degli ultimi 30 anni
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Ferdinando Cotugno
26.04.2023 19:30

Il capo del servizio scienza della BBC, David Shukman, su Twitter lo ha definito uno di quei momenti in cui tutti si devono sedere e leggere con molta attenzione: un nuovo set di dati mostra come gli oceani si stiano riscaldando a una velocità mai vista e mai prevista. Di tutti i segnali che la crisi climatica ci sta lanciando, quelli sull’aumento delle temperature oceaniche sono tra i più lineari e preoccupanti. Negli ultimi quindici anni la Terra ha accumulato il calore che aveva accumulato nei precedenti quarantacinque, e la maggior parte di questo calore in eccesso è stato assorbito dal mare. Da un lato, per ora, questo effetto ci ha risparmiato un aumento delle temperature sulle terre emerse ancora più pronunciato di quello che attualmente sperimentiamo (1,2°C globalmente, quasi il doppio in Europa), dall’altro sta portando ad anomalie oceaniche fuori scala. Ci sono scienziati così preoccupati e stressati da aver rifiutato di parlare alla BBC perché sconvolti dalla notizia.

Dati fuori scala

A marzo, la temperatura superficiale dell’Atlantico al largo della costa orientale del Nord America era di 13,8°C superiore alla media degli ultimi trent’anni, un dato completamente fuori scala, che ha spinto l’oceanografa Karina Von Schuckmann, leader del team che ha condotto la ricerca, a pronunciare una frase spaventosa nella sua semplicità: «Non sappiamo ancora bene perché un cambiamento, e soprattutto un cambiamento così rapido, stia avendo luogo». L’anomalia atlantica a marzo è uno sbalzo spaventoso, ma non isolato. I dati della ricerca, pubblicata su Earth System Science Data, sono coerenti con quelli dell’ultimo rapporto del Copernicus Climate Change Service, che ogni anno fornisce una fotografia dettagliata sullo stato del clima nel continente. La temperatura superficiale del Mediterraneo non è mai stata alta come nel 2022, c’è stato un numero record di ondate di calore marine, partite a maggio e arrivate alla fine dell’anno. Le anomalie termiche peggiori nelle acque europee sono state registrate nel Mediterraneo occidentale, nel Golfo di Biscaglia, nella Manica, nel mare d’Irlanda e nel mar di Norvegia, e hanno raggiunto in alcuni punti picchi di +4.5°C rispetto alle medie degli ultimi trent’anni.

La Niña e El Niño

Per capire la portata di queste notizie dobbiamo inquadrarle nel contesto dell’oscillazione ciclica delle temperature sull’oceano Pacifico, un fenomeno naturale che ha conseguenze su vasta scala su tutto il clima terrestre. Ora siamo alla fine di un ciclo durato tre anni di La Niña che, tra le sue conseguenze (oltre all’aumento delle siccità in Africa), porta anche a un abbassamento delle temperature superficiali degli oceani. Il problema è che stiamo per rientrare, entro la fine di quest’anno, nell’oscillazione opposta, chiamata El Niño, che porta un effetto contrario, un aumento generalizzato delle temperature dell’oceano. Se ne vedono già i primi segnali al largo di Peru ed Ecuador. In sostanza, se abbiamo avuto temperature così elevate alla fine di un ciclo fresco, nessuno può prevedere in che situazione ci troveremo quando saremo in un ciclo caldo. Secondo Josef Ludescher, del Potsdam Institute for Climate Research, «l’impatto sulle temperature viene rilasciato pochi mesi dopo il picco di El Niño, ed è per questo che il 2024 sarà probabilmente l’anno più caldo della storia, e potremmo avvicinare o addirittura superare un aumento di temperature globali di 1,5°C». Insomma, nel corso del prossimo anno potremmo varcare, anche se temporaneamente, la prima soglia di salvaguardia dell’accordo di Parigi, solo nove anni dopo la firma del trattato, sperimentando un effetto che era previsto entro metà secolo.

Effetto a cascata

Per gli oceani l’effetto rischia di essere a cascata. I primi a pagare il conto sarebbero gli animali marini: più aumentano le temperature più si perde biodiversità, in particolare negli epicentri della vita oceanica, le barriere coralline. In uno scenario prossimo ai +2°C, il 90 per cento dei reef può considerarsi spacciato. Inoltre, più calore vuol dire più energia. Più energia vuol dire uragani e cicloni più frequenti, più forti e più duraturi. Il terzo effetto è la cosiddetta espansione termica: un oceano più caldo occupa fisicamente più spazio, rendendo più pronunciata la prospettiva di un innalzamento graduale del livello del mare. Inoltre, temperature medie così alte possono accelerare la fusione dei ghiacciai in Groenlandia e Antartide. L’attenzione degli scienziati è puntata in particolare sul Thwaites, il cosiddetto «ghiacciaio dell’apocalisse», una spada di Damocle non lontana dal collasso e grande quanto tutta la Gran Bretagna. Infine, l’oceano è una barriera protettiva anche per la sua funzione di assorbimento della CO2: un quarto delle nostre emissioni vengono mitigate in questo modo, ma questa funzione rischia di essere indebolita in acque così calde. È un classico effetto climatico a catena: l’oceano più caldo assorbe meno CO2, che finisce in atmosfera, e finendo in atmosfera riscalda ancora di più l’oceano, rendendolo ancora meno in grado di svolgere questa funzione di scudo.