Letteratura

Amélie Nothomb: «Una riflessione sui vangeli e sulla grande umanità di Gesù»

A colloquio con la scrittrice belga che parla del suo più recente romanzo «Sete»
Francesco Mannoni
18.08.2020 06:00

C’è chi la considera trasgressiva, chi stravagante, chi originale, chi assolutamente geniale. C’è chi l’adora senza mezzi termini, altri che la leggono con parecchi pregiudizi, ma in qualunque modo la si voglia considerare, Amélie Nothomb è uno dei pochi fenomeni della letteratura internazionale, puro istinto narrativo e assoluta libertà di pensiero. Il suo recente Sete (Voland, 128 pagine, 16 €) è una storia di Gesù breve e incisiva alla quale la scrittrice francese affida un vibrante messaggio di umanità.


Signora Nothomb, che uomo è questo suo Gesù che si lamenta più degli altri mortali e vive la sua divinità come un’incombenza alla quale non può sottrarsi?

«Lo scopo del libro è capire perché Gesù avesse accettato di essere crocifisso. Ero persuasa che Gesù fosse, come tutti noi, un essere umano incarnato che voleva vivere. E dunque la sua grandezza consiste soprattutto nella sua sottomissione al fatto di essere crocifisso. Sulla croce gli faccio dire: “Le mie parole seminano il panico. Il cielo all’improvviso si oscura. Non riesco a credere al potere della mia voce. Mi piacerebbe parlare ancora per scatenare altri fenomeni, ma non ne ho la forza”. E non ho trovato modo migliore per scrivere questo libro di riflessioni sui Vangeli che indagare in prima persona con la sua stessa voce. L’identificazione della mia individualità con la sua è stata lo strumento per addentrarmi nelle Sacre Scritture».

«Non sono mai stato altro che me stesso, ma ho l’intima convinzione che questo potere lo possiedano tutti». È da questi elementi che nasce «Sete» (ed. Voland) , in cui, grazie alla totale libertà di scrittura e a un’inventiva sconfinata, l’autrice belga dà voce e corpo a Gesù Cristo e offre a chi legge una versione personalissima della Passione del figlio di Dio. Il Cristo di Sete è umano sopra ogni altra cosa, innamorato di Maria Maddalena, figlio amorevole e sofferente nel corpo. Arrivato secondo al Premio Goncourt e in cima a tutte le classifiche di vendita in Francia, si presenta come un libro audace e vibrante che celebra la vita ed esalta l’intricato meccanismo con cui corpo e mente sono legati.
«Non sono mai stato altro che me stesso, ma ho l’intima convinzione che questo potere lo possiedano tutti». È da questi elementi che nasce «Sete» (ed. Voland) , in cui, grazie alla totale libertà di scrittura e a un’inventiva sconfinata, l’autrice belga dà voce e corpo a Gesù Cristo e offre a chi legge una versione personalissima della Passione del figlio di Dio. Il Cristo di Sete è umano sopra ogni altra cosa, innamorato di Maria Maddalena, figlio amorevole e sofferente nel corpo. Arrivato secondo al Premio Goncourt e in cima a tutte le classifiche di vendita in Francia, si presenta come un libro audace e vibrante che celebra la vita ed esalta l’intricato meccanismo con cui corpo e mente sono legati.

Compiere miracoli per Gesù era assolvere a un dovere o manifestare la sua onnipotenza?
«Nei Vangeli Gesù compie 37 miracoli, e ho tentato di dare una spiegazione a questo fatto ma non lo spiego con l’onnipotenza bensì con la sua umanità, con il fatto che ciascuno di noi possiede questa capacità. Che cos’è il miracolo nelle nostre vite? La capacità di fare qualcosa che per noi normalmente è troppo difficile. Per me è stato difficile scrivere questo libro, immedesimarmi nelle sofferenze di Gesù. Quando tento di fare qualcosa di troppo ardimentoso, chiedo alla mia “scorza”, che è la parte superficiale della mia epidermide, di farlo. Ma la difficoltà maggiore è stata quella di scrivere questo libro interamente sulla mia pelle, rivivendo passioni, persecuzioni, lacrime e sangue. E riflettere su tutto, giustificare il possibile, condannare le ingiustizie».

Al processo contro Gesù testimoniò anche chi da lui era stato beneficiato, miracolato. Persone con poca riconoscenza?
«È tipico: le persone non perdoneranno mai per il bene che hanno ricevuto. Non so come fosse in passato, ma oggi uno è obbligato a fare tutto da solo. Ma questo è falso: uno non fa mai alcunché da solo, ma sempre con l’aiuto degli altri. Però non si vuole mai riconoscere d’essere diventati quello che si è grazie a un buon amico o a un professore: l’aiuto degli altri sembra sminuire, invece è la realtà che esalta, la vera àncora della cristianità».

I miracoli non sono altro che la capacità di fare cose per noi abitualmente troppo difficili

Perché un Gesù innamorato di Maria Maddalena, da lei ripreso dai Vangeli apocrifi, scandalizza le persone?
«Per me questo amore era una semplice evidenza. Posso dire che le persone sono felici di essere poste di fronte a certe frustrazioni e che farci sentire in colpa è un modo per impedirci d’essere felici. Io non sono certo Gesù, ma posso parlare per esperienza: ogni volta che ho l’aria di essere felice – e posso assicurarle che succede piuttosto spesso – c’è sempre qualcuno che mi rimprovera di avere un’aria gioiosa, raggiante. E cerca di farmene una colpa».

Lei parla di una Fede senza oggetto: ma che cos’è, a cosa serve?
«L’energia risiede nel verbo che è più potente senza oggetto. Il verbo “credere” porta in sé un’energia formidabile. Se gli si affianca un oggetto diventa un verbo senza energie. Suggerisco di praticare la verticalità della fede senza attribuirle nessun complemento oggetto. Privarsi di questa verticalità è privarsi di un’energia eccezionale ed essere mediocri. E la mediocrità è peggio del male perché al momento è più frequente e meno spiegabile. Il male suppone un certo coraggio: la mediocrità non suppone niente».

Qual è per lei il colore dell’amore?
«Ne ha tanti, e per lo più i colori dell’amore sono orribili e sanguinanti. L’amore evoca crudeltà di tutti i tipi, ed è sempre strano anche quando va bene. Ora vivo un bel momento ma negli anni ne ho visto veramente tante e se dovessi dare un colore all’amore direi che ha il colore della guerra. Ovviamente, l’amore che racconto è una mia visione della vita che potrebbe sembrare molto disastrosa, ma avanzo delle ipotesi e non propongo sistemi di vita, sia ben chiaro. E, attenzione: l’amore è sempre un’alterazione, ed anche peggio. Basti pensare a quante persone meravigliose si sono ammalate per amore e sono precipitate in diabolici inferni».

L'autrice

Figlia di un diplomatico belga, Amélie Nothomb (vero nome Fabienne Claire Nothomb ) per via del lavoro del padre, ha vissuto in Giappone, Cina, Bangladesh e New York. Quando si stabilì in Europa, a Bruxelles con la famiglia, aveva 17 anni. Poi si trasferì a Parigi dove tutt’ora vive. Molti suoi romanzi riportano ampi stralci autobiografici («Stupore e tremori» e «Biografia della fame» che ricorda l’anoressia patita in Bangladesh) del suo pellegrinare da bambina in mondi in cui al fascino dell’esotico si sommavano le difficoltà di un’adolescenza vissuta in condizioni difficili. Nel suo ultimo libro la rievocazione degli ultimi giorni di vita di Gesù diventa verità conclamata, conferma d’una innegabile presenza che talvolta sembra rasentare il paradosso, ma che va oltre ogni pregiudizio: «L’istante ineffabile in cui l’assetato porta alle labbra un bicchiere d’acqua è Dio. Gesù era assetato di tutto: di acqua, di vino, di amore. Ma soprattutto voleva dissetare tutti gli uomini con l’acqua sorgiva delle sue parole e l’esempio del sacrificio come strada per il riscatto».