Milano

Andrea Ravo Mattoni regala «Pace e Giustizia» nel cuore del Quadrilatero della Moda

Lo street artist, classe 1981, vede il confine tra Svizzera e Italia come una soglia da varcare e non una barriera che divide, e si sente parte di un territorio unico, nel suo cuore, che spazia dalla Val Bedretto a Varese
©Andrea Ravo Mattoni
Stefania Briccola
06.09.2025 17:00

Giustizia e Pace assise su un trono di nubi trionfano nell’enorme murale di Andrea Ravo Mattoni nel quadrilatero della moda a Milano. L’opera dell’artista italo-svizzero, realizzata con le bombolette spray, vuole essere di buon auspicio in tempi di guerra, ma anche un dono alla città. Il murale, alto 14 metri e lungo 30 metri, è tratto dal più celebre dipinto ad olio «Allegoria della Giustizia e della Pace» di Corrado Giaquinto(1754), esposto al Prado di Madrid. Lo street artist, classe 1981, che reinterpreta con la vernice spray i capolavori della pittura del passato, si è imposto con i suoi interventi urbani sui muri in tutta Europa, in Sudamerica e non solo.

Andrea Ravo Mattoni vede il confine tra Svizzera e Italia come una soglia da varcare e non una barriera che divide, e si sente parte di un territorio unico, nel suo cuore, che spazia dalla Val Bedretto a Varese dove è nato da una famiglia di artisti. Non rinnega il suo passato di writer e ha un desiderio ancora da esaudire: vedere riscattata la tecnica delle bombolette spray alla base della sua ricerca.

Tra le opere reinterpretate dall’artista sui muri in Ticino si ricordano «Socrate insegna agli allievi la conoscenza di se» di Pier Francesco Mola, al parco delle Gole della Breggia, e Bacco di Caravaggio a Melano presso la sede di Arvi.

©Andrea Ravo Mattoni
©Andrea Ravo Mattoni

Andrea Ravo Mattoni, perché ha proposto un particolare dell’opera rococò di Corrado Giaquinto nel quadrilatero della moda a Milano?
«Ci sono due questioni che stanno alla base della mia scelta. La prima è puramente tecnica e riguarda la tipologia del muro. C’erano molte finestre che tagliano la scena e ho dovuto cercare una composizione con un impianto centrale a piramide, come l’Allegoria della Pace e della Giustizia con i due volti in alto. Poi ho proposto al committente quest’opera anche per la tematica che riguarda il periodo storico attuale. Non volevo parlare della situazione passata, presente o futura, ma realizzare un’immagine di buon auspicio. Questo mio lavoro può entrare nel tempo e percorrerlo senza invecchiare perché credo che la pace e la giustizia saranno una tematica attuale ancora per molti anni».

Che cosa vuole essere il suo murale?
«È un omaggio alla Pace e alla Giustizia, un pensiero di buon auspicio e un regalo a Milano voluto da un committente che desidera rimanere anonimo. Un atto di mecenatismo puro».

In Ticino ho lavorato su Pier Francesco Mola con «La predica di San Giovanni Battista» a Palazzo dei Congressi a Lugano. Con «Socrate insegna agli allievi la conoscenza di se» al Parco delle Gole della Breggia. A Melano ho rivisitato il Bacco di Caravaggio presso Arvi

Lei ha realizzato un’opera d’arte urbana in un luogo simbolo dei brand, il quadrilatero della moda. Quanto il murale sulla parete di un cortile interno, di via Sant’Andrea 10, a Milano è in sintonia con il suo modo di fare arte?
«Quest’opera tratta dall’Allegoria di Giaquinto è molto in sintonia con il mio lavoro che riguarda la cultura e il patrimonio artistico. Non c’è nessun brand  dietro il  murale, anche se si trova in un luogo simbolo ovvero il quadrilatero della moda tra via Sant’Andrea e via Montenapoleone a Milano. Non che io non abbia mai lavorato per i brand, tuttavia questi non si sono mai sovrapposti alla mia arte. Tutti mi chiedono chi ci sia dietro e pensano che il murale sarà una cosa temporanea anche perché lì sono abituati a vedere show su show, cose eclatanti, che appaiono e scompaiono. Invece io sono arrivato a fare in un luogo elitario qualcosa che rimarrà per molti e ancora molti anni. Non voglio dire "per sempre" perché è una parola troppo grande, ma per tantissimi anni questo murale non lo cancellerà nessuno».  

Che cosa ha provato nel lavorare per la prima volta a Milano?
«L’idea di essere nel quadrilatero della moda a lavorare è stata divertentissima. È stato un onore tornare a Milano per fare la mia prima opera nella città dove ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Brera. Non posso nascondere di essere stato sorpreso e consapevole di quello che è il luogo. Poi chiaramente faccio sempre il mio lavoro come l’ho fatto nelle periferie di San Paolo, nelle banlieue parigine e nei centri storici di mezza Europa».

Lei ha scelto di portare sui muri i capolavori del passato e vuole rendere i percorsi urbani un grande museo a cielo aperto.  Chi è il suo pubblico e quale aspettativa ha nei confronti del suo lavoro?
«Non ho una maggiore aspettativa rispetto ad un lavoro. Ogni volta mi lascio sorprendere perché il mio pubblico diventa sempre più vario col passare del tempo. In questi ultimi nove anni ho girato molto e ho lavorato su più di centosessanta muri in tutto il mondo. Mi è capitato di operare in Brasile, El Salvador, Giappone, Inghilterra, Germania, Svizzera, Spagna e Lussemburgo. Ho girato l’Italia e tutta la Francia, nelle diverse regioni, che hanno luoghi vari. Posso essere a Lugano o in Sudamerica, ma il mio spirito non cambia. Il mio lavoro è trasversale e il messaggio è il medesimo: avvicinare le persone alla storia dell’umanità attraverso lo sguardo dell’arte. Le mie opere rappresentano il passato che è stato la contemporaneità del pittore che in quel momento ha realizzato quel dipinto. Osservandole si possono cogliere la storia dell’umanità, le differenze, i cambiamenti, le evoluzioni e lo stile di un’epoca magari soffermandosi sulla bellezza dei colori».

Quanto è stato difficile portare su un muro la bellezza del rococò e renderla con le bombolette spray?
«Non è la prima volta che affronto il rococò e Corrado Giaquinto che è peggio del Seicento e di Caravaggio. Ho lavorato su Caraval, alla cattedrale a Somma Lombardo, e su Tiepolo. Giaquinto è un pittore estremamente fumoso per via delle velature di colore, delle sovrapposizioni di nuvole che confondono, delle luci che tagliano le immagini e dei vapori che si adagiano alle vesti, ai drappeggi e ai visi. Il tutto convive in una composizione che regge benissimo a livello cromatico. Penso che William Turner debba moltissimo a pittori come Giaquinto. Quando vedo quel genere di dipinti non posso che immaginarmi delle feste sfarzose, nelle corti europee, di nobili spagnoli piuttosto che francesi».

Può dare un’idea di tempi e mezzi per realizzare il maxi dettaglio di un’opera come l’Allegoria di Giaquinto su un muro?
«Ho impiegato 133 bombolette spray per realizzare il murale, di 14 metri per 30 metri, nel quadrilatero della moda a Milano. Ho lavorato per due settimane anche nei weekend, compreso Ferragosto, dalle 7.30 alle 18.30, con un’ora sola di pausa, sotto il sole di agosto sfiorando i 40 gradi. È stato uno dei lavori più massacranti che abbia mai realizzato. La gente non sa che utilizzo una maschera antigas strettissima che rallenta il respiro. All’interno la temperatura è più alta che all’esterno con tutte le conseguenze del caso che lascio immaginare…».  

Quali opere ha realizzato in Ticino?
«In Ticino ho lavorato su Pier Francesco Mola con "La predica di San Giovanni Battista" a Palazzo dei Congressi a Lugano, un’opera commissionata dal Comune  che ora è conservata da qualche parte, e con "Socrate insegna agli allievi la conoscenza di se" al Parco delle Gole della Breggia, a due passi da Coldrerio che ha dato i natali al pittore. Poi a Melano ho rivisitato il Bacco di Caravaggio presso Arvi dove c’è anche la sede della galleria Artrust».

Con Vittorio Sgarbi ho fatto alcuni progetti. Quello più importante è stato un murale temporaneo del San Sebastiano di Antonello da Messina per il Mart di Rovereto progettato da Mario Botta

Che cosa si porta dentro ancora dei suoi trascorsi in Ticino e del retroterra culturale artistico che ha respirato a casa?
«Sono due aspetti che si mischiano e hanno concorso alla mia formazione. Quello culturale riguarda la mia famiglia che è legata al mondo dell’arte. Mio padre Carlo Mattoni era un artista concettuale, comportamentale e situazionista, oltre che grafico pubblicitario, mio nonno Giovanni Italo era pittore e autore di serie importanti di figurine, mio zio Alberto, era un illustratore, che ha fatto lavori significativi a livello internazionale. Questo mi ha permesso di crescere in una famiglia che non ha mai frenato le mie inclinazioni per il disegno e la pittura. Poi c’è l’aspetto della territorialità; mio padre Carlo era nato a Milano e aveva vissuto nella provincia di Varese, mentre mia mamma viene dalla Val Bedretto. Nutro un amore profondo e un forte legame verso le mie terre di origine. Non sento di appartenere a una parte o all’altra di un Paese. Non ho il senso del  confine o meglio non lo intendo come un limite, una divisione e una barriera. Il territorio fra Varese e la Val Bedretto è casa mia».  

Come vive il senso delle radici ?
«Lavoro in tutto il mondo e avrei l’opportunità di andarmene a vivere in una grande metropoli, ma non lo faccio. Negli altri paesi lascio le mie opere tuttavia porto ancora qualcosa in più nel raccontare le mie origini con orgoglio. Poi c’è Google e mi diverto a mostrare i vari luoghi! Rimangono tutti sorpresi quando racconto della famiglia patriarcale di mia nonna e delle sette generazioni di contadini in Val Bedretto che facevano il formaggio. Frequento ancora queste zone del Ticino e ho dei ricordi incredibili. Ho vissuto i ritmi contadini e fino all’età di 13 anni andavo a fare fieno d’estate nei prati. Ancora oggi quando sento il profumo del fieno mi viene pelle d’oca».

Lei fa parte della generazione degli street artist che andavano in giro di notte a dipingere con le bombolette spray. Oggi viene chiamato in tutto il mondo a realizzare dipinti murali con questa tecnica. Quanto è rimasto in lei dello spirito dei primi writer? 
«Quella è la mia origine, ne parlo sempre. Non ci sono ancora scuole che insegnano lo spray. Quello che mi porto dentro del mio percorso di writer è il bagaglio tecnico. La bomboletta spray è una delle tecniche pittoriche più complesse in assoluto perché sporca, se usata male, non tocca mai la superficie, ha una pressione molto forte da dominare e altre caratteristiche. Tra le cose imparate in passato di notte c’è la comprensione dei colori anche al buio che non è così scontata».

Da maestro riconosciuto della pittura con la vernice spray, che cosa si augura?  
«Mi auguro che la pittura con le bombolette spray venga riconosciuta come una tecnica al pari delle altre, anche se non è ancora entrata nelle accademie. Oggi se ne parla solo in senso negativo».      

Tra i suoi estimatori c’è Vittorio Sgarbi. Che cosa ha realizzato con la sua curatela?
«Con Vittorio Sgarbi ho fatto alcuni progetti. Quello più importante è stato un murale temporaneo del San Sebastiano di Antonello da Messina per il Mart di Rovereto progettato da Mario Botta».

C’è un pittore del passato che le piacerebbe rivisitare con le bombolette spray? 
«Mi piacerebbe affrontare Giotto e vorrei anche dedicare un murale a Giottino, ma non ho ancora avuto l’occasione. Poi ho altri progetti in animo che non posso  svelare».