Andrea Ravo Mattoni regala «Pace e Giustizia» nel cuore del Quadrilatero della Moda

Giustizia e Pace assise su un trono di nubi trionfano nell’enorme murale di Andrea Ravo Mattoni nel quadrilatero della moda a Milano. L’opera dell’artista italo-svizzero, realizzata con le bombolette spray, vuole essere di buon auspicio in tempi di guerra, ma anche un dono alla città. Il murale, alto 14 metri e lungo 30 metri, è tratto dal più celebre dipinto ad olio «Allegoria della Giustizia e della Pace» di Corrado Giaquinto(1754), esposto al Prado di Madrid. Lo street artist, classe 1981, che reinterpreta con la vernice spray i capolavori della pittura del passato, si è imposto con i suoi interventi urbani sui muri in tutta Europa, in Sudamerica e non solo.
Andrea Ravo Mattoni vede il confine tra Svizzera e Italia come una soglia da varcare e non una barriera che divide, e si sente parte di un territorio unico, nel suo cuore, che spazia dalla Val Bedretto a Varese dove è nato da una famiglia di artisti. Non rinnega il suo passato di writer e ha un desiderio ancora da esaudire: vedere riscattata la tecnica delle bombolette spray alla base della sua ricerca.
Tra le opere reinterpretate dall’artista sui muri in Ticino si ricordano «Socrate insegna agli allievi la conoscenza di se» di Pier Francesco Mola, al parco delle Gole della Breggia, e Bacco di Caravaggio a Melano presso la sede di Arvi.

Andrea Ravo
Mattoni, perché ha proposto un particolare dell’opera rococò di Corrado
Giaquinto nel quadrilatero della moda a Milano?
«Ci sono due
questioni che stanno alla base della mia scelta. La prima è puramente tecnica e
riguarda la tipologia del muro. C’erano molte finestre che tagliano la scena e
ho dovuto cercare una composizione con un impianto centrale a piramide, come
l’Allegoria della Pace e della Giustizia con i due volti in alto. Poi ho
proposto al committente quest’opera anche per la tematica che riguarda il
periodo storico attuale. Non volevo parlare della situazione passata, presente
o futura, ma realizzare un’immagine di buon auspicio. Questo mio lavoro può
entrare nel tempo e percorrerlo senza invecchiare perché credo che la pace e la
giustizia saranno una tematica attuale ancora per molti anni».
Che cosa vuole
essere il suo murale?
«È un omaggio alla
Pace e alla Giustizia, un pensiero di buon auspicio e un regalo a Milano voluto
da un committente che desidera rimanere anonimo. Un atto di mecenatismo puro».


Lei ha realizzato
un’opera d’arte urbana in un luogo simbolo dei brand, il quadrilatero della
moda. Quanto il murale sulla parete di un cortile interno, di via Sant’Andrea
10, a Milano è in sintonia con il suo modo di fare arte?
«Quest’opera tratta
dall’Allegoria di Giaquinto è molto in sintonia con il mio lavoro che riguarda
la cultura e il patrimonio artistico. Non c’è nessun brand dietro il murale, anche se si trova in un luogo simbolo
ovvero il quadrilatero della moda tra via Sant’Andrea e via Montenapoleone a
Milano. Non che io non abbia mai lavorato per i brand, tuttavia questi non si
sono mai sovrapposti alla mia arte. Tutti mi chiedono chi ci sia dietro e
pensano che il murale sarà una cosa temporanea anche perché lì sono abituati a
vedere show su show, cose eclatanti, che appaiono e scompaiono. Invece io sono
arrivato a fare in un luogo elitario qualcosa che rimarrà per molti e ancora
molti anni. Non voglio dire "per sempre" perché è una parola troppo grande, ma
per tantissimi anni questo murale non lo cancellerà nessuno».
Che cosa ha
provato nel lavorare per la prima volta a Milano?
«L’idea di essere
nel quadrilatero della moda a lavorare è stata divertentissima. È stato un
onore tornare a Milano per fare la mia prima opera nella città dove ho studiato
all’Accademia di Belle Arti di Brera. Non posso nascondere di essere stato
sorpreso e consapevole di quello che è il luogo. Poi chiaramente faccio sempre
il mio lavoro come l’ho fatto nelle periferie di San Paolo, nelle banlieue
parigine e nei centri storici di mezza Europa».
Lei ha scelto di
portare sui muri i capolavori del passato e vuole rendere i percorsi urbani un
grande museo a cielo aperto. Chi è il
suo pubblico e quale aspettativa ha nei confronti del suo lavoro?
«Non ho una
maggiore aspettativa rispetto ad un lavoro. Ogni volta mi lascio sorprendere
perché il mio pubblico diventa sempre più vario col passare del tempo. In
questi ultimi nove anni ho girato molto e ho lavorato su più di centosessanta
muri in tutto il mondo. Mi è capitato di operare in Brasile, El Salvador,
Giappone, Inghilterra, Germania, Svizzera, Spagna e Lussemburgo. Ho girato
l’Italia e tutta la Francia, nelle diverse regioni, che hanno luoghi vari.
Posso essere a Lugano o in Sudamerica, ma il mio spirito non cambia. Il mio
lavoro è trasversale e il messaggio è il medesimo: avvicinare le persone alla
storia dell’umanità attraverso lo sguardo dell’arte. Le mie opere rappresentano
il passato che è stato la contemporaneità del pittore che in quel momento ha
realizzato quel dipinto. Osservandole si possono cogliere la storia
dell’umanità, le differenze, i cambiamenti, le evoluzioni e lo stile di
un’epoca magari soffermandosi sulla bellezza dei colori».
Quanto è stato
difficile portare su un muro la bellezza del rococò e renderla con le
bombolette spray?
«Non è la prima
volta che affronto il rococò e Corrado Giaquinto che è peggio del Seicento e di
Caravaggio. Ho lavorato su Caraval, alla cattedrale a Somma Lombardo, e su
Tiepolo. Giaquinto è un pittore estremamente fumoso per via delle velature di
colore, delle sovrapposizioni di nuvole che confondono, delle luci che tagliano
le immagini e dei vapori che si adagiano alle vesti, ai drappeggi e ai visi. Il
tutto convive in una composizione che regge benissimo a livello cromatico.
Penso che William Turner debba moltissimo a pittori come Giaquinto. Quando vedo
quel genere di dipinti non posso che immaginarmi delle feste sfarzose, nelle
corti europee, di nobili spagnoli piuttosto che francesi».
Può dare un’idea
di tempi e mezzi per realizzare il maxi dettaglio di un’opera come l’Allegoria
di Giaquinto su un muro?
«Ho impiegato 133
bombolette spray per realizzare il murale, di 14 metri per 30 metri, nel
quadrilatero della moda a Milano. Ho lavorato per due settimane anche nei
weekend, compreso Ferragosto, dalle 7.30 alle 18.30, con un’ora sola di pausa,
sotto il sole di agosto sfiorando i 40 gradi. È stato uno dei lavori più
massacranti che abbia mai realizzato. La gente non sa che utilizzo una maschera
antigas strettissima che rallenta il respiro. All’interno la temperatura è più
alta che all’esterno con tutte le conseguenze del caso che lascio immaginare…».
Quali opere ha
realizzato in Ticino?
«In Ticino ho
lavorato su Pier Francesco Mola con "La predica di San Giovanni Battista" a
Palazzo dei Congressi a Lugano, un’opera commissionata dal Comune che ora è conservata da qualche parte, e con "Socrate insegna agli allievi la conoscenza di se" al Parco delle Gole della
Breggia, a due passi da Coldrerio che ha dato i natali al pittore. Poi a Melano ho rivisitato il Bacco
di Caravaggio presso Arvi dove c’è anche la sede della galleria Artrust».


Che cosa si porta
dentro ancora dei suoi trascorsi in Ticino e del retroterra culturale artistico
che ha respirato a casa?
«Sono due aspetti
che si mischiano e hanno concorso alla mia formazione. Quello culturale
riguarda la mia famiglia che è legata al mondo dell’arte. Mio padre Carlo
Mattoni era un artista concettuale, comportamentale e situazionista, oltre che
grafico pubblicitario, mio nonno Giovanni Italo era pittore e autore di serie importanti
di figurine, mio zio Alberto, era un illustratore, che ha fatto lavori significativi
a livello internazionale. Questo mi ha permesso di crescere in una famiglia che
non ha mai frenato le mie inclinazioni per il disegno e la pittura. Poi c’è
l’aspetto della territorialità; mio padre Carlo era nato a Milano e aveva
vissuto nella provincia di Varese, mentre mia mamma viene dalla Val Bedretto.
Nutro un amore profondo e un forte legame verso le mie terre di origine. Non
sento di appartenere a una parte o all’altra di un Paese. Non ho il senso
del confine o meglio non lo intendo come
un limite, una divisione e una barriera. Il territorio fra Varese e la Val
Bedretto è casa mia».
Come vive il senso
delle radici ?
«Lavoro in tutto il
mondo e avrei l’opportunità di andarmene a vivere in una grande metropoli, ma
non lo faccio. Negli altri paesi lascio le mie opere tuttavia porto ancora qualcosa
in più nel raccontare le mie origini con orgoglio. Poi c’è Google e mi diverto
a mostrare i vari luoghi! Rimangono tutti sorpresi quando racconto della
famiglia patriarcale di mia nonna e delle sette generazioni di contadini in Val
Bedretto che facevano il formaggio. Frequento ancora queste zone del Ticino e
ho dei ricordi incredibili. Ho vissuto i ritmi contadini e fino all’età di 13
anni andavo a fare fieno d’estate nei prati. Ancora oggi quando sento il
profumo del fieno mi viene pelle d’oca».
Lei fa parte della
generazione degli street artist che andavano in giro di notte a dipingere con
le bombolette spray. Oggi viene chiamato in tutto il mondo a realizzare dipinti
murali con questa tecnica. Quanto è rimasto in lei dello spirito dei primi
writer?
«Quella è la mia
origine, ne parlo sempre. Non ci sono ancora scuole che insegnano lo spray.
Quello che mi porto dentro del mio percorso di writer è il bagaglio tecnico. La
bomboletta spray è una delle tecniche pittoriche più complesse in assoluto perché
sporca, se usata male, non tocca mai la superficie, ha una pressione molto
forte da dominare e altre caratteristiche. Tra le cose imparate in passato di
notte c’è la comprensione dei colori anche al buio che non è così scontata».
Da maestro
riconosciuto della pittura con la vernice spray, che cosa si augura?
«Mi auguro che la
pittura con le bombolette spray venga riconosciuta come una tecnica al pari
delle altre, anche se non è ancora entrata nelle accademie. Oggi se ne parla
solo in senso negativo».
Tra i suoi
estimatori c’è Vittorio Sgarbi. Che cosa ha realizzato con la sua curatela?
«Con Vittorio
Sgarbi ho fatto alcuni progetti. Quello più importante è stato un murale
temporaneo del San Sebastiano di Antonello da Messina per il Mart di Rovereto
progettato da Mario Botta».
C’è un pittore del
passato che le piacerebbe rivisitare con le bombolette spray?
«Mi piacerebbe
affrontare Giotto e vorrei anche dedicare un murale a Giottino, ma non ho
ancora avuto l’occasione. Poi ho altri progetti in animo che non posso svelare».