Mostre

Cesare Lucchini, lo sgomento nel teatro dell'inquietudine

Il Museo d’Arte Mendrisio inaugura la stagione espositiva dedicando un’intensa antologica al pittore ticinese e ne ripercorre la feconda carriera attraverso una cinquantina di tele di grandi dimensioni e una ventina di opere su carta
Cesare Lucchini, Inverno, 2020. Olio su tela. 144x273 cm. © PROLITTERIS, Zürich, 2023
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
24.03.2023 06:00

Un racconto. Un intenso racconto fatto di arte, di emozione e di sgomento di fronte alla drammaticità e all’ingiustizia della condizione umana. La magistrale (anche se lui rifugge l’appellativo di «Maestro») mostra antologica che il Museo d’arte Mendrisio dedica a Cesare Lucchini non è soltanto un viaggio nella poetica di uno dei pochissimi pittori ticinesi di classe internazionale ma è anche un modo sublime di riflettere sull’evoluzione del suo modo di fare arte e di riversare sulla tela la sua urgenza di denunciare le storture inaccettabili che straziano la società. Ce ne dà conferma la direttrice, nonché abilissima curatrice della mostra, Barbara Paltenghi Malacrida ricordando: «Quando sono andata a trovare Cesare nel suo atelier, oltre un anno fa, e ho visto le sue opere recenti ne sono rimasta affascinata. Ho sempre amato molto la pittura di Lucchini, ma l’evoluzione che il suo linguaggio ha fatto negli ultimi quattro anni (dopo il periodo pandemico) è assolutamente eccezionale. Pur restando armonica con quanto espresso nel passato, l’ultima produzione è, se possibile, ancora più intensa; La terra trema, la serie che dà il titolo all’esposizione, ad esempio, è un concentrato di amarezza e di poesia, sconforto e speranza. Lucchini è quel tipo di artista che non si stanca mai di restituirci la sua personale e lucida visione dei drammi contemporanei, e lo fa a 82 anni con una coerenza e una forza di sintesi che non solo sorprendono, ma incantano per la purezza di un gesto che seppur istintivo sa piegarsi a una narrazione efficace. Questa mostra - prosegue la direttrice - è il doveroso omaggio a un Maestro che in Ticino non ha mai avuto una vera e propria antologica. Credo che questo sia il momento giusto».

La mostra infatti intende ripercorrere – per la prima volta a Mendrisio – i principali capitoli della straordinaria carriera di Lucchini, dagli esiti post-informali degli anni Sessanta e Settanta all’influenza della Pop Art per arrivare al confronto con i Neuen Wilden tedeschi. Particolare rilievo però è attribuito alla produzione più recente che rivela, con incredibile lucidità e altrettanto profonda poesia, un gesto sintetico nel tratteggiare la drammaticità del nostro mondo contemporaneo, da sempre inesauribile fonte iconografica da cui attingere.

Visione complessiva

«La mostra – aggiunge la sempre formidabile Francesca Bernasconi collaboratrice scientifica del Museo di fresca nomina e coordinatrice del progetto – permette di ripercorrere l’insieme della produzione di Lucchini: ogni sala esplora un periodo, una tematica ben precisi ponendoli sempre in dialogo con opere recenti con la volontà di sottolineare la coerenza e al tempo stesso il continuo sviluppo del suo linguaggio pittorico. Questo punto di vista si riflette nell’impostazione del catalogo dove i saggi offrono un quadro completo della carriera di Lucchini: Giuseppe Frangi si concentra sugli anni milanesi, dagli esordi fino alla fine degli anni Ottanta, Matthias Frehner esplora in maniera sistematica l’approccio di Lucchini attraverso sei decenni di carriera e infine il saggio di Barbara Paltenghi Malacrida contestualizza la produzione più recente. Il volume può quindi essere inteso come una monografia e per questo abbiamo dedicato grande attenzione agli apparati, verificando e completando bibliografia e storia espositiva dell’artista».

La produzione di Cesare Lucchini degli ultimi anni d’altronde si contraddistingue per una totale proiezione verso il mondo circostante: mai riferita all’artista stesso ma sempre rivolta alla testimonianza emozionale dei drammi e dei conflitti sociali, la pittura diventa baricentro del tempo, mezzo ideale per una narrazione tecnicamente sapiente nell’uso cromatico e dei mezzi espressivi ed intimamente connessa alla proiezione collettiva di un’umanità alla deriva. Sono nate così opere di grandi dimensioni (tra cui diversi dittici) nelle quali l’artista esplora e illustra momenti cardine della nostra storia recente: dalla situazione umanitaria dei rifugiati alla crisi eco climatica, a cui si aggiunge un rinnovato rapporto con la montagna e con alcune particolari iconografie sacre (tra cui la commovente Ultima cena). L’antologica del Magnifico Borgo ha senz’altro il merito di restituire, a cominciare dal notevole impatto visivo, tutta la forza etica dell’arte di Cesare Lucchini che non ha mai smesso di interrogarsi, e di interrogarci, sulla reale condizione dell’essere umano e sui suoi valori profondi. Dove vanno?, La barca è vuota, Quel che rimane, Quasi crocifissione, Ultima cena, Il giorno della memoria, Qualcosa si muove... basta dare un’occhiata ai titoli scelti da Lucchini per le sue opere più celebri o per i suoi cicli pittorici più noti per cogliere il senso della sua indagine, l’urgenza necessaria della sua difesa al cospetto del male. Come scrive Matthias Frehner in uno dei saggi in catalogo «da sessant’anni Lucchini rielabora le immagini mediatiche provenienti da teatri di guerra, luoghi coinvolti da tragiche migrazioni, tsunami, terremoti e disastri petroliferi. La maggior parte dei cittadini delle società benestanti riceve queste notizie terribili, ne registra le informazioni, le relativizza e infine le rimuove. Lucchini non dispone di questi meccanismi di difesa. Come può vivere quando nello stesso istante guerre e catastrofi, intolleranza e ignoranza distruggono l’esistenza di tante persone? Con la sua pittura formula una risposta a questa domanda. Traspone su tela le immagini che si imprimono a fuoco nella sua mente al primo sguardo». E anche la mostra di Mendrisio finisce così per rivelarsi necessaria e doverosa per esplorare il linguaggio e la sensibilità di una figura a suo modo straordinaria nell’efficacia espressiva e nell’utilizzo del linguaggio dell’arte, non solo come forma di denuncia ma soprattutto come strumento insopprimibile di verità e di speranza.