L'intervista

Klee: una passione viscerale

Jorge Helft, collezionista e filantropo argentino, ci parla della passione viscerale per il multiforme Paul Klee — Il MASI di Lugano, fino all'8 gennaio 2023, ospita la mostra di oltre 70 opere su carta dell'artista
Sylvie e Jorge Helft © MASI Lugano
Stefania Briccola
24.12.2022 13:00

Jorge Helft parla della passione viscerale per il multiforme Paul Klee e del tratto caratteristico dei suoi disegni. Il collezionista e filantropo argentino, che vive in Francia, si concentra sui momenti cruciali della vita e dell’opera dell’artista svizzero nato a Münchenbuchsee nel 1879 e morto a Muralto nel 1940. Poi ci racconta di quella prospettiva di Klee comprata a Parigi da Heinz Berggruen e del fascino sottile dei titoli dei vari disegni. Jorge Helft, classe 1934, è cresciuto in una famiglia di antiquari e galleristi e ha realizzato una collezione sul filo delle emozioni cogliendo il momento giusto per ogni artista. Alla fine nelle parole di questo protagonista della vita culturale sudamericana risuona il monito di suo padre che da ragazzo gli disse che nella vita avrebbe incontrato molte persone interessanti, ma  doveva esserlo anche lui. Il MASI (Museo d’arte contemporanea della Svizzera italiana) a Lugano, fino all’8 gennaio 2023, ospita la mostra di oltre 70 opere su carta di Paul Klee provenienti dalla Collezione Sylvie e Jorge Helft. Sono disegni a penna, a matita, pastelli, acquarelli, acqueforti e litografie realizzati fra il 1914 e il 1940 e caratterizzati da ironia e talora drammaticità.

Signor Helft, quando si è innamorato delle opere su carta di Paul Klee e in particolare dei suoi disegni?
«La mia passione per Paul Klee risale a molto tempo fa. Sono nato in una famiglia dove tutto era arte. Mio padre era un noto antiquario  specializzato in arte decorativa francese del diciottesimo secolo e mio zio (Paul Rosenberg ndr)era il gallerista di Picasso, Matisse, Leger e Braque. Sono cresciuto con personaggi simili che erano amici dei miei genitori e mi sono sempre interessato di arte moderna e contemporanea. Sin dall’età di sei anni andavo per musei con mio padre e prima ancora di poter comprare un’opera sapevo che l’artista che più mi interessava era Paul Klee».

Come ha iniziato a collezionare opere di Klee?
«Quando ho avuto a disposizione un budget sufficiente per acquistare un’opera di un artista non argentino andai a Parigi dai miei genitori e dissi a mio padre che volevo comprare un Klee. Lui era amico di Heinz Berggruen che andai a trovare e che in quel momento aveva una mostra di Paul Klee con ben 70 acquarelli. Mi recai nella sua galleria, scelsi un’opera che raffigurava una prospettiva e la presi. Era il 1971».

Quale significato assume nella Collezione Helft la raccolta di oltre settanta opere su carta di Klee ora esposta al MASI di Lugano ?
«È naturalmente una parte molto importante della collezione che ho realizzato con mia moglie Sylvie, cantante, pianista e direttrice d’orchestra». 

Che cosa rivelano i titoli delle opere di Paul Klee?
«I titoli sono molto importanti. Klee era solito rincasare dal suo studio e cenare presto con sua moglie e suo figlio Felix, che ho conosciuto, per discutere su quale titolo mettere ai lavori terminati. Questi titoli dovevano essere un po’ originali, un po’ sarcastici, un po’ divertenti e potevano anche avere un doppio senso. Loro discutevano e alla fine quando erano d’accordo Paul firmava il foglio e metteva il titolo e il numero sull’opera. Così l’artista ha compilato il suo inventario da quando aveva 35 anni fino alla sua morte. Ecco perché nell’opera di Paul Klee non puoi avere falsi poiché tutto, ogni singolo dettaglio, di ogni dipinto e disegno è nel suo inventario».

Paul Klee fu un artista complesso e per certi versi enigmatico. Che idea si è fatto di lui?
«Non l’ho conosciuto, ma ho letto una quarantina o una cinquantina di libri su di lui. Penso che Klee fosse molto particolare, la sua arte era importante, ma lui era anche un musicista molto bravo. Io credo che “l’arte ti insegna ad aprire gli occhi per vedere” e penso che questo sia vero per Klee e anche per Picasso e Matisse. Loro sono dei leader, ti aprono gli occhi e quello che vedi alla prima impressione non è quello che tu vedrai un’ora e mezza più tardi». 

La caratteristica più importante di Klee che lo rende unico è il tratto

Nell’opera di Paul Klee sembra esserci qualcosa di insondabile. Era un artista indipendente e rimase tale anche se prese parte a diversi movimenti…
«Il punto è che il suo lavoro così come è stato conosciuto e pubblicato ha avuto un’enorme influenza su altri artisti in tutto il mondo. La cosa più importante di Klee che lo rende unico è il tratto. Se guardate attentamente anche i dipinti a colori e gli acquarelli quello che conta e che li rende inconfondibili è il tratto».

Quali sono i periodi più importanti nel percorso di Paul Klee?
«Ci sono molti stadi differenti nel suo lavoro. Quello che Paul Klee ha fatto prima del periodo compreso tra il 1914 e 1920 è completamente diverso e non è interessante. Dopo, negli anni che seguono il viaggio in Tunisia del 1914, il suo tratto prende forma realmente. Le opere degli anni 1918, 1919 e Venti del Novecento sono estremamente interessanti, ma vanno in direzioni differenti, e poi lo sono ancor più con il progredire degli anni Trenta. Io sono particolarmente appassionato in genere alla produzione degli ultimi anni Trenta; 1938, 1939, 1940».

Come visse Paul Klee i suoi ultimi anni?
«Quando i dottori gli dicono che potrà vivere ancora tre o quattro anni al massimo, ma che la sua malattia non è curabile, Paul Klee quasi smette di dipingere poi fa esattamente l’opposto.  Il 1939 è l’anno in cui lui dipinge di più. L’artista usciva dal suo studio con un taccuino dalle pagine piene di disegni estremamente toccanti e molto emozionanti perché li aveva realizzati in una manciata di secondi, ma sono come un addio al mondo».

Quale relazione c’è tra musica e arte in Paul Klee?

«È ovvio che la musica abbia influenzato la sua arte. Paul Klee era un eccellente violinista e pensò se farlo a tempo pieno prima di decidere di fare il pittore. Lui viveva con dei musicisti e suonava ancora qualche volta; sua moglie Lily era un’insegnante di pianoforte, suo padre Hans era un maestro di musica e sua madre Ida era una cantante».

Quanto la musica ha influenzato la sua collezione?
«Ho sempre avuto passione per l’arte, ma anche per la musica. Non so se quest’ultima mi abbia influenzato nel collezionare. Sono ancora molto esclusivo e critico nei confronti di me stesso perché ho tralasciato troppe cose. Ci sono opere molto importanti, ma che non mi emozionano. Quindi le vedo e dico che sono molto belle, ma non farei mai il minimo sforzo per averne una in casa mia. Invece quando vedo altre opere capisco subito che sono quello che mi piace. Così è stato per le fotografie di  Greta Stern, i dipinti di Guillermo Quintana che ha l’età dei miei figli e per molte altre cose. La vita è lunga, io ho 88 anni e so che qualche volta devi lasciare perdere qualcosa. Un giorno fui molto impressionato da Jasper Jones ed era troppo tardi per comprarlo, non potevo permettermelo».

Al MASI di Lugano nella mostra dedicata a Paul Klee c’è un po’ della sua passione di bibliofilo…
«I libri anche rari sono il  complemento ideale per il collezionismo d’arte. Se sono interessato a Paul Klee o a qualcun altro io cerco di leggere il più possibile per cercare di capire meglio perché ha dipinto in quel modo».

Ricorderò per il resto della mia vita quelle brevi conversazioni con Picasso

Lei è anche un grande lettore ?
«Sì. A Parigi abitiamo in due in una grande casa dove ci sono tre biblioteche. Questa è la mia settima o ottava dimora in cui ho vissuto perché a causa della guerra, delle persecuzioni naziste e per altri motivi mi sono trasferito dalla Francia agli Stati Uniti e in Argentina e da lì all’Uruguay poi sono ritornato in Francia».  

Come ricorda Jorge Luis Borges premio Nobel e protagonista della letteratura del Novecento?
«L’ho incontrato poche volte, ma ha avuto un grande impatto su di me. Mi ricorderò per tutta la vita quando Borges mi ha invitato a casa sua dove ho trascorso tre ore parlando con lui. Da ragazzo quando avevo 14 anni o anche meno  collezionavo autografi di celebrità. Con i miei genitori andavo in posti dove c’erano persone famose e una volta mio padre mi disse che c’era Marlene Dietrich alla quale avrei dovuto chiedere un autografo e mi disse anche che nella vita avrei incontrato moltissime persone interessanti, ma dovevo esserlo anch’io. Il motivo per cui potei parlare con Borges per ore a casa sua è che entrambi stavamo dicendo qualcosa di interessante».

Quale ricordo ha di Matisse, Braque e Picasso?
«Conoscevo Matisse perché era un artista della galleria di mio zio ma non  ho mai avuto grandi conversazioni con lui. Quando andai a casa di Picasso, invece fu molto interessante perché lui mi prese da parte e parlammo di arte, litografie e grafica. Quei pochi momenti di conversazione con lui me li ricordo per il resto della vita. Con Braque, che era molto simpatico, c’era una rapporto amichevole, ma non fu tanto interessante perché ero ancora troppo giovane». 

Che cosa ha fatto per il Maca-Museo d’arte contemporanea Atchugarry a Punta del Este in Uruguay?
«Non conoscevo Pablo Atchugarry e il suo lavoro, ma quando ci siamo trasferiti a Montevideo ho saputo della sua fondazione in Uruguay. Allora mi sono presentato dicendo che ho organizzato per hobby mostre in tutto il mondo e che se gli avesse fatto piacere avrei programmato una personale dell’argentino Leon Ferrari con pezzi della mia collezione. Poi è scoppiata la pandemia ed è stato cancellato tutto. Nel frattempo è sorto in tempi record il Museo di arte contemporanea Atchugarry a Punta dell’Est con grandi spazi espositivi dove abbiamo realizzato la mostra di Leon Ferrari e poi quella di Christo e Jeanne- Claude, amici di lungo corso. è stato un successo».      

Come vede la cultura argentina?
«Credo che sia completamente sconosciuta. Borges è un’eccezione, ma insieme a lui ora ci sono almeno dieci o quindici autori molto conosciuti. Abbiamo anche teatri d’opera con una  programmazione di qualità, grandi musicisti e pittori che lentamente stanno iniziando ad essere noti. Ho cominciato a collezionare arte argentina perché ho vissuto in questo paese, di cui sono diventato cittadino, e potevo permettermi di comprare per cifre ragionevoli dipinti fantastici. Sono diventato amico degli artisti argentini della mia generazione e lo sono ancora di quelli rimasti».

Che cosa può dire a proposito della vita culturale a Buenos Aires?
«La qualità della vita culturale di Buenos Aires è molto alta. Abbiamo un teatro d’opera, aperto nel 1908, che è il migliore al mondo. Il Teatro Colon non ha nulla da invidiare alla Scala di Milano, al Metropolitan di New York e all’Opera di Parigi. Di recente vi ha cantato Anna Netrebko uno dei soprani più famosi del mondo».

Come ha contribuito all’attività del Teatro Colon a Buenos Aires?
«Ho sempre collaborato con loro in particolare dal 1978 quando abbiamo costituito la Fundacion Teatro Colon di cui ero un membro fondatore. Ho chiesto di non mettermi nel settore che organizza cocktail party perché non mi interessa. Mi sono concentrato invece sull’Instituto Superior de Arte, la scuola di canto, balletto e musica, aiutando a portare professori, organizzare audizioni e ottenere borse di studio, e sul Contemporary Research Department, creato su mio suggerimento, dove da trentacinque anni abbiamo presentato nuova musica in Argentina ai massimi livelli invitando grandi compositori e musicisti». 

«Paul Klee La collezione Sylvie e Jorge Helft» mostra a cura di Francesca Bernasconi e Arianna Quaglio, al Masi di Lugano (piazza Bernardino Luini 6) fino all’8 gennaio 2023. Catalogo monografico con un’intervista di Tobia Bezzola e testi di Juan Manuel Bonet, Francisco Jarauta e Achim Moeller edito da Casagrande, in italiano, e da Scheidegger&Spiess nella versione in tedesco e inglese.
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