Mostre

Le esplorazioni di Lucas Herzig e l’ambiguità delle certezze assolute

Il MASI di Lugano, negli spazi di Palazzo Reali, ospita una significativa e complessa personale dell’artista svizzero, intelligente e provocatorio indagatore della realtà contemporanea nonché vincitore dell’edizione del Premio Culturale Manor Ticino 2022
© PROLITTERIS, ZURICH
Matteo Airaghi
Matteo Airaghi
21.10.2022 06:00

Decostruire e ricostruire. Recuperare e rielaborare. Fondere il passato con il presente, l’apparenza con la realtà, la finzione con la verità. Sono tutti elementi che ricorrono nell’arte densissima di Lucas Herzig (Zurigo, 1988) Premio Culturale Manor Ticino 2022 cui il MASI, al secondo piano di Palazzo Reali, che gli dedica ora una personale, curata dalla sempre più brava e convincente Francesca Benini. È difficile infatti non lasciarsi affascinare dal fitto dialogo che la giovane curatrice e l’artista instaurano, non soltanto nel testo che costituisce l’ossatura di Safari, il volume che accompagna l’esposizione luganese, ma anche nello stesso dipanarsi concettuale della mostra praticamente tutta site specific per le auguste sale di Palazzo Reali. Alla caccia di oggetti, tracce, significati e significanti i due si inseguono e si sovrappongono in un fitto dialogo sull’arte, sull’esistenza e sulle identità che finisce per definire (o per provare a farlo) la poetica di un artista di spessore squisitamente filosofico e narrativo. Caratteristica questa da tenere ben presente avventurandosi nelle diverse sale espositive caratterizzate da un’ambientazione particolare, curata nel dettaglio dall’artista. Giocando con la percezione del pubblico, i lavori di Herzig spingono sempre a non fermarsi a una prima e facile lettura, ma a riflettere sulla differenza tra apparenza e realtà e quindi sull’inevitabile soggettività dell’interpretazione. Nel primo ambiente della mostra il pubblico si trova, proiettato direttamente dall’ascensore, circondato da una serie di opere composte da reperti archeologici; si tratta di resti di costruzioni in legno dei siti palafitticoli preistorici, rinvenuti nel 2010 durante gli scavi per il parcheggio dell’Opernhaus di Zurigo. Per alcuni anni Herzig ha infatti collaborato con gli archeologi del laboratorio di dendrocronologia, venendo a contatto con metodi e materiali che ha poi in parte reimpiegato nella sua ricerca. Nel video proiettato in sala intitolato Schädlinge, gli stessi reperti sono filmati al microscopio svelando minuscoli organismi che divorano il legno e con esso informazioni storiche. Più in generale l’artista è interessato a oggetti naturali ed archeologici che possono diventare testimonianze di una possibile condizione precedente, per lui però mai certa o definitiva. Come spiega bene Francesca Benini: «Le tracce che Herzig raccoglie e poi impiega nelle sue opere non sono indizi di verità passate, ma catalizzatori di verità possibili. Non ci sono certezze o interpretazioni sicure».La stessa scoperta e raccolta di oggetti è d’altra parte una pratica fondamentale nella ricerca dell’artista, chiaramente rappresentata nell’installazione e spesso intendo sempre che dà il titolo alla mostra. Attratto da ciò che ha un potenziale narrativo – e che non sempre coincide con ciò che ci si aspetterebbe di trovare in un museo – Lucas Herzig ha composto una sorta di Wunderkammer disincantata appendendo al muro lungo tutto il corridoio del secondo piano centinaia dei suoi oggetti trovati. Nella seconda sala le opere Vola bass e schiva i sass! giocano con la percezione del pubblico: attraverso la tecnica della cartapesta, Herzig spesso imita strutture naturali, come appunto quelle dei sassi, che trasforma in oggetti molto leggeri, combinati talvolta con oggetti recuperati. Nella sala al centro del percorso si è invece attratti da una serie di disegni intitolata I Do Care About Personal Growth: seducenti forme di ginocchia umane emergono da nebulose di colori. Ogni disegno, con una differente combinazione di toni e di segni impressi sulla carta e inquadrato in una spessa cornice di metallo, lascia i visitatori incerti sulla tecnica con cui l’artista li ha realizzati. La mostra si conclude con uno spazio dedicato all’identità dove la grande e provocatoria tensostruttura Softcore 3 fronteggia gli ironici quattro Selfies in cui l’artista si diverte a giocare una volta di più con il tema del ritratto e della maschera. A metà strada fra un «recuperante» di cimeli storici e pseudostorici e un accumulatore seriale inesorabilmente afflitto dalla micidiale sindrome di Collyer (dal nome dei due fratelli resi immortali dal romanzo di E. L. Doctorow Homer & Langley), Lucas Herzig ci costringe anche a scavare nella nostra storia umana e nella nostra esperienza personale, mettendoci in relazione con oggetti e tracce materiali del nostro bagaglio culturale individuale e collettivo del comune straordinario quotidiano, nell’intento di estendere ad una dinamica sociale, documentaria, scientifica e civile il grande enigma della soggettività dell’interpretazione.