Il personaggio

Nelle foto di Sabine Weiss va in scena la condizione umana

La Casa dei Tre Oci, a Venezia, ospita un’ampia retrospettiva sulla fotografa svizzera naturalizzata francese, morta a 97 anni lo scorso dicembre a Parigi, che ha donato i suoi archivi al museo Photo Elysée a Losanna
Venezia, Italia © Sabine Weiss
Stefania Briccola
22.10.2022 16:30

L’istante per alcuni fotografi assume un’aura quasi sacrale e svela l’identità del loro sguardo dietro l’obiettivo. Nell’opera di Sabine Weiss l’attimo si ammanta di poesia nella quotidianità, nel lessico dell’amicizia e nel fascino struggente dell’umana avventura che scorre per strada. La Casa dei Tre Oci, a Venezia, ospita un’ampia retrospettiva sulla fotografa svizzera naturalizzata francese, morta a 97 anni lo scorso dicembre a Parigi, che ha donato i suoi archivi al museo Photo Elysée a Losanna. La mostra dal titolo La poesia dell’istante,  a cura di Virginie Chardin, documenta con oltre duecento scatti, accompagnati da riviste d’epoca, un percorso versatile che spazia dagli esordi nel 1935 agli anni 2000 con reportage vari, ritratti di artisti, cantanti, attori, protagonisti della moda, gente della strada, tra cui bambini e anziani, senza dimenticare i molti viaggi in giro per il mondo. Un itinerario espositivo ricco al quale hanno contribuito alcuni scatti forniti dall’autrice che provengono dai suoi archivi personali conservati a Parigi. Tra gli inediti spicca la selezione tratta un reportage del 1951-1952, suggerito dall’agenzia Magnum, sulla comunità aperta di Dun-sur-Auron (Francia) che accoglieva donne affette da disturbi mentali e demenza senile in famiglie adottive. Sabine Weiss è tra le maggiori rappresentanti della fotografia umanista francese con Robert Doisneau, Willy Ronis, Edouard Boubat, Brassai e Izis. Le sue immagini sono in sintona con questo approccio perché come dirà lei stessa: «Per essere potente una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto». A proposito di questa empatia suo marito Hugh Weiss osservò: «Per lei, la cosa più importante è l’eccitazione che prova nel momento in cui scatta una serie di immagini. Ciò che le sta più a cuore è questa coesione emotiva tra lei e i suoi soggetti (...) che fotografi un abito di Dior o una banda di ragazzini, quello che conta per lei è il fatto di affrontarli e il controllo di tutti gli elementi dell’immagine. A un certo punto questi elementi, la sua macchina e lei stessa sembrano fondersi». È un approccio che ha in sé una sorta di rigore e candore al tempo stesso. Questa testimone del tempo e artigiana della fotografia non vuole lanciare un j’accuse o un messaggio politico qualsiasi, né alludere ad altro da ciò che vede, ma solo restituire un’esperienza autentica. Una donna, indipendente e libera, in un mondo decisamente maschile che avanza con la sola forza della curiosità e della gioia di vedere. Dopo l’apprendistato svolto a Ginevra e i primi passi mossi da professionista con un servizio dedicato ai soldati americani in licenza nella città del Lemano, Sabine Weber (questo era il suo cognome da nubile) giunge a Parigi all’età di 23 anni nel 1946. Vuole dimenticare una delusione d’amore e vedere il mondo. Nella Ville Lumière fa l’assistente di Willy Maywald e dimora a Montparnasse. Il fotografo di moda la introduce nei circoli mondani parigini. Nel 1949 Sabine conosce il suo grande amore e compagno di vita, il pittore americano Hugh Weiss. I due incontrano personaggi straordinari e protagonisti della scena artistica del secondo dopoguerra. Sono gli anni della rinascita in cui si respira la voglia di vivere e tutto è facile come andare avanti e indietro dall’atelier di Alberto Giacometti in rue Hippolyte Maindron. Lui era sempre intento a modellare o a disegnare in giacca di tweed e cravatta, del resto molti artisti erano abbigliati così e sempre pronti ad uscire a pranzo. In mostra spiccano il ritratto dello scultore bregagliotto dietro un insieme di bottiglie, ordinate come soldatini, e uno scatto magistrale di lui mentre ritrae la moglie Annette, da tempo amica di Sabine, che alla morte del maestro le chiederà di realizzare la documentazione a colori dello studio e dell’intera sua opera sparsa per il mondo. Invece Hugh Weiss fu il mentore di Niki de Saint-Phalle, debitamente immortalata nelle foto tra le quali si nota Brigitte Bardot, in vestito a quadretti con generosa scollatura a balconcino, e una vivida Romy Schneider impegnata a truccarsi. Il bianco e nero si mischia con leggerezza al colore prediletto negli scatti di moda, come quello della superba prima collezione di Yves Saint-Laurent per Dior (1958). La svolta per Sabine Weiss è arrivata nel 1952 quando entra nell’agenzia Rapho segnalata da Robert Doisneau che appoggia inoltre la sua candidatura alla rivista Vogue. Il suo lavoro procede con grande versatilità, non si contano i viaggi tra Europa e Medioriente. Edward Steichen la invita nel 1955 a partecipare alla mostra The Family of Man al Museum of Modern Art di New York. Negli Stati Uniti la fotografa riscuote un notevole successo di critica e si distingue in diverse occasioni per il suo originale esprit francese. Gli intriganti scatti realizzati nel 1955 per le strade della Grande Mela dal Bronx ad Harlem, da Chinatown alla Ninth Avenue, sono pubblicati sul New York Times in un servizio dal titolo I newyorkesi (e la Washington) di una parigina. Molti di questi sono esposti per la prima volta alla Casa dei Tre Oci a Venezia. Da non perdere anche la selezione dal corpus di opere sviluppate a oltre sessant’anni di età nei viaggi tra Egitto, India, Ungheria, Isola della Riunione, Guadalupa, Birmania e Giappone, che tentano di catturare nei soggetti il riflesso di quell’ineffabile dono e mistero della fede.

Sabine Weiss, La poesia dell’istante mostra alla Casa dei Tre Oci a Venezia. Aperta fino al 1. novembre (www.treoci.org).

La retrospettiva è promossa dalla Fondazione di Venezia e realizzata da Marsilio Arte con Berggruen Institute, prodotta dall’Atelier Sabine Weiss-Laure Delloye Augustins, con il sostegno di Jeu de Paume e del Festival internazionale Les Rencontres de la photographie d’Arles, sotto l’alto patronato del Consolato generale di Svizzera a Milan0.