Carlo Verdone e i difetti e le virtù dell’italiano moderno

Con le sue maschere ha saputo interpretare e rendere eterni tic, assurdità, vizi ma anche virtù dell’uomo moderno. È Carlo Verdone, attore e regista tra più amati ed apprezzati del cinema italiano che quest’oggi compie settant’anni. Nato a Roma il 17 novembre 1950 e battezzato con un secondo nome «scaramantico» (Gregorio che nella tradizione capitolina è di buon auspicio e che pare i genitori gli abbiano affibbiato per controbilanciare il fatto di essere nato in un giorno infausto, il 17, appunto che quell’anno cadeva per di più di venerdì), sin dalla nascita è stato una sorta di predestinato alla settima arte, stimolato dal padre Mario, docente universitario di storia del cinema, dirigente del Centro Sperimentale di Cinematografia e critico cinematografico e dalle frequentazioni casalinghe (i suoi vicini di casa erano i De Sica, con Christian che sin dall’infanzia è il suo grande amico e che poi è diventato pure suo cognato avendo sposato sua sorella Silvia) Anche se, come ha dichiarato spesso, il cinema non è stato nei suoi pensieri almeno fino alla maggiore età. «Da ragazzo avevo i capelli, mi innamoravo spesso, ascoltavo Jimi Hendrix, avevo una vespa 50 truccata e mi sentivo felice, leggero. Fumavo di nascosto e per questo prendevo qualche sberla da mio padre. Ero un ragazzo normale e diventare attore era l’ultima cosa che avrei fatto».

Al Carlo Verdone teenager, infatti, era la musica ad interessarlo: la batteria soprattutto che ancora oggi suona con discreto profitto. Tuttavia, siccome una mela non cade mai lontano dall’albero, il cinema, bene o male ha finito per entrare anche nel suo percorso formativo: si è laureato infatti a pieni voti in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» con una tesi significativamente intitolata «Letteratura e cinema muto italiano» e durante l’università, ha frequentato il Centro sperimentale di cinematografia di Roma diplomandosi in regia e realizzando, per motivi prettamente didattici, un breve ciclo di cortometraggi andato perduto. A divertirlo maggiormente, in quegli anni infatti, era il cabaret per il quale creò e mise in scena una serie di personaggi fortemente caratterizzati che fecero subito presa sul pubblico. Personaggi che lui presentò nello spettacolo Tali e quali, al teatro Alberichino di Roma attirando l’attenzione del regista Enzo Trapani, che nel 1977 lo volle nel varietà televisivo Non stop, assieme a una nuova generazione di comici, dal gruppo della Smorfia, con Massimo Troisi, ai Gatti di Vicolo Miracoli. Il successo fu grandissimo avvicinandolo - stavolta da protagonista - al cinema dove ebbe un maestro d’eccezione: Sergio Leone che con burbera severità ne accompagnò i primi passi registici di Un sacco bello (1980).


La notorietà acquisita con quella galleria caustica e bonaria di personaggi interpretati con un talento alla Fregoli (il coatto Enzo, lo hippie Ruggero, il qualunquista Anselmo) lo portò a bissare il successo un anno dopo con Bianco, rosso e Verdone in cui era accompagnato da Elena Fabrizi, la celebre Sora Lella. Il comico era il suo marchio di fabbrica, ma Carlo iniziò già ad inseguire percorsi più ambiziosi e segreti come si vede in Borotalco del 1982. Nonostante la pressione dei produttori da quel momento puntò a ritrovare i sapori della migliore commedia all'italiana e per questo ha avuto in Alberto Sordi un altrettanto indispensabile mentore. Due volte faranno coppia a regie alternate: In viaggio con papà e Troppo forte, tanto che il grande Alberto lo elesse a suo discepolo prediletto. Poi ha iniziato a guardare al cinema americano rileggendo a suo modo in Compagni di scuola un film generazionale come "Il grande freddo", ha messo in campo le sue passioni (il rock) e le sue fobie (l'ansia) in racconti personali come Maledetto il giorno che ti ho incontrato; ha rivisitato in chiave più matura il suo passato in Viaggi di nozze, cercando di mettere se stesso e le sue fragilità in lavori come Io e mia sorella o Al lupo al lupo.

Con il trascorrere degli anni il gusto della battuta non lo ha mai abbandonato, sebbene in lui si sia fatto largo un timbro più disincantato, attento alla realtà. I suoi personaggi sono cresciuti con lui: hanno fatto carriera, hanno perso certezze e spesso il lavoro, hanno vissuto crisi matrimoniali e familiari, hanno guardato dentro se stessi, spesso costretti dalle circostanze. L'ingenuo sprovveduto dei primi anni ha lasciato il passo a un uomo maturo che non si vergogna di mostrarsi senza punti fermi, sorretto solo da una morale con cui fin troppo spesso ha dovuto venire a patti.
Ma cosa ha reso Carlo Verdone autentico protagonista della sua generazione? Da attore/mattatore ha saputo scoprire nel tempo una dote registica abbastanza rara: la naturalezza. Nel suo cinema il personaggio è sempre al centro della scena, ma col tempo il regista Verdone ha saputo contenere gli eccessi dell'attore Verdone, avviandolo sui sentieri di un realismo imprevedibile che sempre più spesso scopre il fianco alla malinconia: come tutti i grandi comici Carlo non si annulla nella sua dimensione allegra; ama riflettere, accettare le proprie paure, valorizzare un 'fanciullino' che non vorrebbe crescere ma sa che questo è il suo destino. E se la sua accentuata romanità gli ha forse precluso palcoscenici internazionali all'altezza del suo talento (è infatti difficile immaginare i suoi dialoghi ridotti alla dimensione scarna del sottotitolo) non gli ha però impedito di dare una sempre maggiore universalità della narrazione.

Adesso, a settant’anni, Caro Verdone si ritrova ad un bivio, perché la vera universalità viene proprio dal coltivare in chiave personale la propria dimensione più intima, come dimostra il suo ultimo lavoro Si vive una sola volta, pronto da mesi e la cui uscita è stata più volte rinviata a causa dell’emergenza COVID: un film in cui i temi del viaggio e dell’onestà si intrecciano nell’ennesima fotografia di un’italianità stretta tra i suoi molti vizi e le sue altrettanto numerose (ancorché segrete) virtù.