«Casanova e l’Albertolli»: un’interessante operazione filologica

Non era facile l’operazione in cui si è lanciato Diego Fasolis alla testa dei «suoi» Barocchisti, dell’Orchestra della Svizzera italiana e del Coro della RSI: rimettere in scena, a ottant’anni di distanza, la commedia lirica in due atti Casanova e l’Albertolli di Richard Flury e Guido Calgari. Per una semplicissima ragione: perché non è un’opera facile, bensì di un progetto artistico complesso e, per certi versi, farraginoso, chiaro specchio di un’epoca – il decennio antecedente la seconda guerra mondiale – in cui il Ticino viveva una confusione identitaria, stretto tra una Svizzera interna che, sostanzialmente lo vedeva ancora come un baliaggio, un’Italia fascista dalla quale, pur legata da vicoli linguistici e culturali, desiderava prendere chiaramente le distanze, e il desiderio di costruire una propria identità musicale che però, in mancanza di un solido background si riduceva nel mettere assieme alla bell’e meglio elementi pescati un po’ ovunque.
Come nel caso, appunto del Casanova e l’Albertolli, composto nel 1938 per la Fiera Svizzera di Lugano con il chiaro intento di rispondere alle provocazioni svizzero-tedesche che accusavano il cantone di non essere in grado di creare un «vero e proprio Festspiel ticinese» e costruito dalla coppia Flury-Calgari mettendo assieme un po’ di tutto: melodie si stampo hollywoodiano in stile Via col vento (l’ouverture iniziale), scampoli di Singspiel tedesco e di melodramma italiano, un pizzico di folclore, quintali di retorica e cercando di legare il tutto attraverso un libretto approssimativo con una trama sgangherata (l’intreccio amoroso tra Giacomo Casanova, l’Albertolli artista ticinese e la giovane Lucia fa acqua da tutte le parti), un linguaggio anacronistico e una metrica sin troppo farraginosa.
Un bel guazzabuglio, insomma, che già all’epoca non suscitò enormi entusiasmi («più che convinte adesioni si registrarono attestazioni di stima», ha ricordato nella presentazione Carlo Piccardi) e che avrebbe potuto risultare indigesto anche al pubblico – invero non numerosissimo – accorso ieri sera al Palazzo dei Congressi di Lugano, non fosse stato per l’eccellente lavoro svolto da Fasolis, da un’OSI confermatasi complesso in grado di saltare in corsa su qualsiasi carro con consumata abilità, nonché da tutte le parti vocali: dagli impeccabili solisti ad un Coro della RSI da pelle d’oca in ogni suo intervento (mirabile ad esempio la «parentesi» folcloristica del secondo atto). Ed è proprio grazie a questo certosino che, alla fine, il Casanova e l’Albertolli è risultato un’operazione interessante principalmente dal profilo filologico e storico, utile per capire il Ticino dell’epoca, le sue contraddizioni e i suoi limiti, anche — purtroppo – dal profilo musicale.