«Censurare i libri è inutile, ma è sintomo di malessere»

Vincenzo Matera è professore ordinario di Antropologia culturale alla Statale di Milano e docente di Storia sociale della cultura all’USI di Lugano. Nel 2022 ha pubblicato Storie dell’Antropologia (Utet università) del quale nel 2023 è uscita l’edizione internazionale (Histories of Anthropology, Palgrave McMillan). I tentativi di censura denunciati negli USA non lo meravigliano. «Non stiamo parlando di qualcosa di nuovo - dice al Corriere del Ticino - il libro ha sempre suscitato conflitti di questo tipo. Molto semplicemente, contiene idee. Le idee alimentano il pensiero e sono quindi considerate, anche nel loro valore simbolico, strumenti che possono far nascere prospettive critiche. Di fatto, il pensiero critico si alimenta prevalentemente tramite la lettura».
Proprio per questo, sottolinea Matera, «non stupisce che nel corso della storia, anche frequentemente e con una certa costanza, si siano verificati tentativi di tenere sotto controllo i libri. Prima dell’invenzione della stampa, la Chiesa cattolica esercitava, per quanto possibile, una stretta sorveglianza sui libri i quali, peraltro, erano prodotti nei monasteri e nelle poche università allora esistenti. Dopo Gutenberg, tutto divenne un po’ più complicato. La stampa fece crescere la possibilità che un qualsiasi editore, in un qualsiasi luogo, potesse decidere di pubblicare un testo. E così nacque l’Index librorum prohibitorum, voluto da papa Paolo IV, Gian Pietro Carafa, nel 1559».
Sbaglierebbe chi associasse l’Indice unicamente al Medioevo. «Fu aggiornato fino a tempi molto recenti, l’ultima volta nel 1959, e abrogato dal Concilio Vaticano II solo nel 1966. Non parliamo di un fenomeno nuovo - dice ancora Matera - anche se oggi, in una società globale in cui tutti siamo connessi, il tentativo di censurare i libri, di per sé, non può che risultare poco efficace.
Le idee circolano comunque. Attraverso altri strumenti. «Quanto accade negli USA - sottolinea l’antropologo - è da valutare allora, più che altro, nel suo significato identitario. È poco efficace come azione concreta, ma molto efficace per quanto riguarda l’affermazione della propria presenza da parte dei gruppi e dei movimenti che si battono per la censura; è, insomma, utile per fare propaganda e sostenere una certa parte politica. Consente di ottenere visibilità. Dopodiché, si può censurare quanto si vuole, ma nella società globale, a meno che non si parli di contesti in cui effettivamente sono in azione meccanismi di controllo molto rigidi come Cina o Iran, tutto questo non funziona». Certo, dice Matera, «siamo comunque di fronte a brutti segnali, perché una democrazia dovrebbe permettere la pluralità dei punti di vista e alimentare la circolazione delle idee. Non dovrebbe, cioè, temere il confronto tra prospettive differenti. Semmai, al contrario, preservare la diversità».
Dove c’è democrazia, conclude Matera, «la censura ha poca efficacia concreta perché abbiamo molte fonti alternative. Prima di tutte, Internet. Tuttavia, questi tentativi sono il sintomo di un certo malessere nel livello di democraticità di un Paese. Sorgono e si affermano quando ci sono gruppi che vogliono imporre la propria visione ad altri. L’oscurantismo, nella storia dell’umanità, non ha mai portato bene. Tutte le volte che, in una società o all’interno di una comunità, si è imposta un’unica visione, i risultati, in tempi più o meno lunghi, sono sempre stati disastrosi. La diversità, il confronto, la circolazione di idee diverse sono una ricchezza. Mai dimenticarlo».