Al culmine della tensione con «A House of Dynamite»

Era dal 2017 che non si avevano notizie di Kathryn Bigelow, una delle firme maggiori del cinema americano in generale e dei generi «action» e «thriller» in particolare. Prima donna a vincere un Oscar per la regia grazie a The Hurt Locker nel 2010, ha poi firmato Zero Dark Thirty, sulla caccia a Osama Bin Laden, attirando critiche per la sua presunta apologia della tortura, e Detroit, sulle azioni violente della polizia nell’omonima città nel 1967. Ora è tornata, purtroppo non sul grande schermo (almeno in Ticino), con A House of Dynamite, uno dei grandi eventi autunnali di Netflix, già presentato in concorso alla Mostra di Venezia dalla quale è inspiegabilmente tornato a mani vuote.
È un giorno qualunque negli Stati Uniti, quando a Fort Greely, in Alaska, l’esercito identifica un missile intercontinentale che era passato inosservato, al punto che non è possibile identificarne con certezza l’origine. Presto si rendono conto che il missile è diretto verso il territorio nordamericano, e scatta il panico generale. Per il resto del film, vediamo lo stesso arco di tempo (i pochi minuti prima che il missile eventualmente colpisca una città americana) da tre punti di vista diversi: la Casa Bianca, dove Olivia Walker (Rebecca Ferguson) e la sua squadra monitorano possibili minacce e confermano la pericolosità del missile; un’altra base militare, dove il generale Anthony Brady (Tracy Letts) informa il presidente sulle strategie di rappresaglia qualora una città statunitense venisse effettivamente distrutta, mentre i governi internazionali (Russia, Cina, Corea e compagnia bella) negano ogni responsabilità; e uno dei percorsi di evacuazione, dove il presidente (Idris Elba, in modalità seria dopo aver fatto lo stesso personaggio in chiave comica in Capi di Stato in fuga qualche mese fa) comunica telefonicamente con Walker, Brady e soci dopo aver dovuto interrompere un altro appuntamento a causa dell’arrivo imminente del missile. Ogni nuovo segmento narrativo svela dettagli inediti della chiamata che potrebbe cambiare per sempre le sorti degli USA, in un crescendo di tensione che rimane inarrestabile per 112 minuti.
L’atmosfera ricorda quella di A prova di errore, il film di Sidney Lumet che nel 1964 parlava della paranoia legata all’apocalisse nucleare mettendo in scena le trattative tra americani e sovietici in seguito a un incidente missilistico, tenendo il pubblico sulle spine dall’inizio alla fine (anche se all’epoca dell’uscita quel lungometraggio fu oscurato da Il dottor Stranamore di Kubrick, che affrontava lo stesso argomento ma con un tono più scanzonato, ed ebbe diritto a una distribuzione più vantaggiosa nelle sale per volere dello stesso Kubrick). Bigelow e lo sceneggiatore Noah Oppenheim (noto in precedenza per il copione di Jackie di Pablo Larraín) prendono lo stesso concetto e lo aggiornano ai tempi in cui viviamo, rendendo il tutto ancora più inquietante perché la Guerra Fredda è finita (ufficialmente) da tempo e il nemico odierno è vago, generico, anonimo, impossibile da identificare prima che sia troppo tardi. Da quel punto di vista, forse, ha senso che A House of Dynamite arrivi su Netflix alla fine di ottobre, il mese del brivido, perché a suo modo è uno dei grandi horror del 2025, dove l’orrore vero è fin troppo tangibile, senza mostri o fenomeni paranormali. E anche su uno schermo più piccolo, casalingo, l’inquietudine rimane nella mente dopo che i titoli di coda hanno finito di scorrere.