Grande schermo

Antonio Ligabue, uomo libero e artista felice

In «Volevo nascondermi» Giorgio Diritti ci racconta la tragica vita del pittore emiliano interpretato da un grande Elio Germano
Per «Volevo nascondermi» Elio Germano ha vinto il premio d’interpretazione alla Berlinale 2020. © XENIX DISTRIBUTION
Antonio Mariotti
12.06.2021 06:00

Ci sono personaggi presi dalla realtà che per essere «veri» sullo schermo, non tanto fisicamente quanto piuttosto emotivamente, hanno bisogno di un attore che sappia entrare nella loro pelle, dissolversi nel modello per essere credibile sull’arco di un intero film. Elio Germano, come gli era già successo nel 2014 in un caso completamente diverso (Il giovane favoloso di Mario Martone dove vestiva i panni di Giacomo Leopardi) conferma ora in Volevo nascondermi di Giorgio Diritti di possedere questa capacità rara. La vicenda esistenziale del pittore Antonio Ligabue, nato a Zurigo nel 1899 e morto al Ricovero di mendicità Carri di Gualtieri (Reggio Emilia) nel 1965, non è certo allegra, ma ci mette sotto gli occhi la personalità di un uomo che - al di fuori di qualsiasi criterio di conformismo sociale - ha sempre lottato per la propria libertà e, quindi, per la propria felicità In questa storia, la Svizzera non ci fa una bella figura: come vediamo nella prima parte del film, nel 1919 le autorità zurighesi espellono il giovane dal territorio elvetico «per i continui atteggiamenti turbolenti nei confronti della famiglia (adottiva: ndr.) e della comunità». Accompagnato manu militari alla frontiera di Chiasso, Ligabue viene trasferito a Gualtieri, sulle rive del Po, luogo d’origine del patrigno. Qui «Toni» non conosce nessuno, non ha parenti e neppure capisce la lingua.

Espulso dalla Svizzera

Inizia così la seconda parte del film ed entra in scena Elio Germano, dando corpo a un personaggio dapprima più bestiale che umano, un marginale vituperato da tutti, che sopravvive in stato di totale povertà dentro catapecchie lontane dal paese. A poco a poco, però, qualche anima caritatevole inizia ad interessarsi a lui e scopre che ama «pasticciare» con i colori e modellare la creta del fiume. Sarà però solo agli inizi degli anni Quaranta, dopo diversi ricoveri in manicomio, che Ligabue potrà per davvero dedicarsi alla sua arte e raggiungere la fama, pur rimanendo sempre se stesso. Giorgio Diritti, che conosce la campagna e la gente emiliana come le proprie tasche, incornicia questa incredibile vicenda in un’ambientazione storica perfetta e attornia il protagonista di personaggi che lo amano e lo rispettano e di altri che lo odiano e lo disprezzano, senza giudicare né gli uni né gli altri. Nasce così un piccolo capolavoro che ci spinge a chiederci: quanti Toni Ligabue vivono ancora oggi, sconosciuti, in ogni angolo del mondo?