Cinema

Che regista (e attore) è stato Rob Reiner?

Non era un esteta né un visionario, ma un professionista capace di far parlare sceneggiature e personaggi, a cominciare da «Harry, ti presento Sally...»
©Richard Shotwell
Red. Online
15.12.2025 18:45

Non era un esteta. Né un visionario o, se preferite, un innovatore. Per dirla con Variety, Rob Reiner è stato il miglior regista a non aver mai vinto un Oscar alla regia. Un paradosso, ma nemmeno troppo. Di sicuro, la sua morte – brutale – riaccende i riflettori su una carriera dietro la macchina da presa da assoluto protagonista. Difficile, ad esempio, trovare qualcuno con un istinto e un talento così marcati per la commedia. O di passare, con maestria, da un genere all'altro costruendo, al contempo, personaggi di primissimo piano. 

Nel giro di undici anni, Reiner ha girato (almeno) sei film da ricordare. A cominciare dal falso documentario This Is Spinal Tap (1984) a Stand by Me – Ricordo di un'estate (1986), pellicola sull'adolescenza divenuta seminale nella quale viene affrontato, fra gli altri, il tema della morte. E poi La storia fantastica (1987), Harry, ti presento Sally... (1989), Misery non deve morire (1990), Codice d'onore (1992), Il presidente – Una storia d'amore (1995). Ed è forse con Codice d'onore, un legal thriller sceneggiato nientepopodimeno che da Aaron Sorkin, che Reiner ha raggiunto il suo apice.

In tutti questi film, lo spettatore si è concentrato tanto sulla trama quanto, appunto, sui personaggi. Raramente sulla qualità della regia. Reiner, insomma, si è sottratto all'equazione: nessuno ricorda, con esattezza, il suo stile, tutti però ricordano scene iconiche come il finto orgasmo di Meg Ryan in Harry, ti presento Sally... o i dialoghi tipicamente sorkiniani di Codice d'onore. Mai, un suo film, aveva attori fuori ruolo o palesemente sbagliati. Al contrario, ogni attrice e ogni attore sembravano naturalmente tagliati per la parte. L'opera di Reiner, mettiamola così, non era facilmente decodificabile o identificabile come quella di altri registi. Ma aveva qualità, eccome se ne aveva. Nel modo in cui si interfacciava con gli attori, innanzitutto, invitandoli spesso a improvvisare. Nel saper fare commedia, come la faceva Billy Wilder per intenderci, con una leggerezza che, attenzione, mai è stata sinonimo di banalità. Nel proporre, sempre, sceneggiature brillanti, frutto di sessioni e sessioni di brainstorming. La commedia, d'altro canto, gli è entrata nelle vene presto, anzi prestissimo: ha conosciuto Mel Brooks quando aveva appena quattro anni ed è cresciuto guardando leggende dello spettacolo grazie a suo padre Carl. 

Concludendo, giova ricordare che Rob Reiner è stato pure un ottimo attore. La sua prova più memorabile, ai nostri occhi, rimane quella nei panni di «Mad» Max Belfort, il padre di Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio) in The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese. La scena in cui, interrotto da una telefonata mentre sta guardando la televisione, si mette a inveire salvo poi rispondere con assoluta calma dopo aver alzato la cornetta è, nel suo piccolo, un momento di comicità altissimo.