Clint Eastwood, il vecchio cow boy non la smette di sorprenderci

Si dice che le persone anziane tendano a restringere sempre più il proprio mondo e a ritirarsi in una sorta di «guscio» protettivo all’interno del quale si sentono al sicuro. Un ragionamento che di certo non vale per il novantunenne attore e regista Clint Eastwood che non solo continua imperterrito a girare un film dopo l’altro, ma addirittura, con la sua nuova opera Cry Macho osa avventurarsi su un terreno che, se non è del tutto nuovo, non frequentava da parecchio tempo. Attenzione dunque: in Cry Macho i fan del «cavaliere pallido» non devono attendersi una nuova riflessione sui (presunti) malesseri della società americana, il ritratto di un eroe controcorrente o una denuncia della violenza che permea sempre più il nostro mondo. E neppure sparatorie, inseguimenti automobilistici a folle velocità o zuffe furibonde. Ispirandosi all’omonimo romanzo di N. Richard Nash (sceneggiato dall’autore insieme a Nick Schenk), Eastwood ha proprio voluto evitare tutto ciò e, puntando sulla sua inscalfibile presenza scenica e sulla sua padronanza della messa in scena, ci riporta dalle parti di Million Dollar Baby (2004) per ciò che riguarda il rapporto tra un adolescente sbandato e una figura paterna adottiva, e ancor più verso I Ponti di Madison County (191995) per l’attrazione verso un mondo romantico al riparo dalle intemperie sentimentali della vita.
Trama fuorviante
Queste tematiche sono però inserite all’interno di una trama per certi versi fuorviante. Siamo in Texas nel 1980: Mike Milo (Eastwood) è un vecchi ex campione di rodeo con alle spalle un passato travagliato: anni prima, dopo la morte di moglie e figlio in un incidente stradale, ha passato un brutto momento tra alcol e droga. Quando Howard, il suo ex boss, gli propone di rapire il figlio tredicenne Rafo (Eduard Minett), che vive con la madre a Città del Messico, e di riportarlo a casa Mike accetta non perché Howard gli stia simpatico o perché abbia bisogno di soldi, ma perché l’uomo gli ha dato una mano nel periodo più buio della sua vita e si sente in debito nei suoi confronti. A questo punto, tutti si aspettano che, passata la frontiera sul Rio Grande, si scateni l’inferno e il vecchio venga travolto da un vortice di violenza e terrore. Ebbene, nulla di tutto ciò. Mike incontra la madre del ragazzo che la mette sulle tracce di Rafo: frequentatore di combattimenti clandestini di galli grazie al suo Macho, nobile e fiero animale da cortile. Mike prospetta al giovane una vita appassionante nel grande ranch paterno e il fascino del vecchio cow boy fa il resto. I due ripartono verso Nord convinti di ritrovarsi sani e salvi in Texas dopo pochi giorni. Ma on the road (perché Cry Macho è anche un road movie) i piani cambiano e la strana coppia fa una lunga tappa in un villaggio sperduto nel deserto, dove Mike flirta con una vedova che gestisce un ristorante, occupandosi per il resto dell’educazione di Rafo: insegnandogli ad andare a cavallo ma anche ad abbandonare le sue arie da bullo litigioso. «Questa storia del macho è sopravvalutata. - dice il vecchio al ragazzo - Pensi di avere tutte le risposte ma poi diventi vecchio e scopri di non averne nessuna e quando cerchi di uscirne ti rendi conto che è troppo tardi». Parole con le quali Eastwood mette in discussione una bella fetta del proprio passato, ma lo fa con sottile ironia e con una tale pacatezza che non si può, per l’ennesima volta dargli ragione, nonostante tutto. E, colmo dei colmi, alla fine sarà proprio il pennuto Macho a tirare d’impiccio i due fuggitivi, entrambi pronti a cominciare una nuova vita. Probabilmente su basi più solide.