Cinema

Come ha reagito la Russia alla vittoria di «Navalny»?

Il documentario incentrato sul leader dell'opposizione e sul suo avvelenamento si è aggiudicato la prestigiosa statuetta a Hollywood – Il Cremlino ha parlato di politicizzazione mentre le personalità di spicco dell'opposizione hanno esultato
© Invision
Marcello Pelizzari
13.03.2023 18:30

Volodymyr Zelensky, come noto, non ha potuto tenere un discorso in occasione degli Oscar. Per il secondo anno consecutivo. La guerra, però, domenica era comunque presente al Dolby Theatre di Hollywood. Già, perché la statuetta per il miglior documentario è andata a Navalny, diretto da Daniel Roher e incentrato sul leader dell’opposizione russa Alexei Navalny nonché sugli eventi legati al suo avvelenamento. La moglie di Navalny, Yulia, è salita sul palco assieme ai figli Dasha e Zakhar. E ha inviato un messaggio, chiarissimo, a suo marito: «Alexei, sto sognando il giorno in cui sarai libero. E il nostro Paese sarà libero. Sii forte, amore mio».

Ma come ha reagito, la Russia? Quale, insomma, il grado di arrabbiatura rispetto all’assegnazione dell’Academy? Per capirlo, da un lato, basterebbe vedere come i media statali hanno coperto la notizia: semplicemente, non l’hanno data. Come riferisce il Moscow Times, infatti, le trasmissioni su Rossiya-24, Channel One e NTV non si sono spostate di molto dalla programmazione standard: la cosiddetta «operazione speciale in Ucraina», l’incontro fra Vladimir Putin e il leader ceceno Ramzan Kadyrov e le indagini attorno alle esplosioni al gasdotto Nord Stream. Degli Oscar e della vittoria di Navalny, per contro, nessuna traccia.

Un giornalista di Rossiya, in maniera anonima, ha fatto sapere al sito moscovita che «Navalny di solito viene ignorato il più possibile». Facile intuire perché.

Così i media statali

Qualcosa, invero, ha detto il Cremlino. Ipotizzando, dopo le domande puntuali dei giornalisti, che il documentario abbia ricevuto una spinta, diciamo, politica da parte dell’Academy. Così il portavoce Dmitry Peskov: «Oserei dire che c’era un certo grado di politicizzazione su questo argomento. Hollywood è nota per politicizzare il suo lavoro, cose del genere succedono». Come dire: altri avrebbero meritato il riconoscimento, ma i responsabili degli Oscar non si sono lasciati sfuggire l’occasione di premiare un lavoro che, fra le altre cose, accusa apertamente il Cremlino di aver avvelenato Navalny con l’agente nervino Novichok.

RIA FAN, sito di (dis)informazione collegato al capo della milizia privata Wagner, Yevgeny Prigozhin, dal canto suo ha detto che l’Occidente sta tentando di «trasformare Navalny in un martire». Anche Sputnik, agenzia di stampa controllata dallo Stato, lunedì ha parlato di «dichiarazione politica» riferendosi all’assegnazione dell’Oscar per il miglior documentario. «Certo, Navalny ha vinto il premio per il documentario» ha dichiarato a Sputnik il critico cinematografico Andrei Dementiev, prima di aggiungere che la decisione dell’Academy non è stata «nient’altro che un gesto anti-russo».

E ancora: Interfax ha pubblicato soltanto tre paragrafi sul documentario, mentre RT – emittente finanziata dallo Stato – non ha minimamente menzionato né il documentario né il riconoscimento sul proprio servizio in lingua russa, mentre sul sito in inglese ha pubblicato un articolo sulla vittoria di Navalny nel quale, tuttavia, viene messa in dubbio la pista dell’avvelenamento.

Pure la Chiesa ortodossa russa, tramite il suo portavoce Vladimir Legoyda, si è messa in mezzo. Parlando di «diktat della tolleranza». L’ex consigliere del Cremlino e analista politico pro-Putin, Sergei Markov, ha invece sintetizzato il tutto sostenendo che la decisione dell’Academy è «un esempio del degrado degli Oscar».

C'è chi ha festeggiato

Dall’altro lato, c’è anche una Russia che, in silenzio ma nemmeno troppo, ha esultato per la vittoria di Navalny. Lunedì, infatti, personalità di spicco dell’opposizione e giornalisti, via social, hanno espresso tutta la loro soddisfazione per il riconoscimento. Complimentandosi, di riflesso, con l’oppositore di Putin. Mikhail Khodorkovsky, un ex magnate del petrolio caduto in disgrazia per aver irritato il Cremlino, ha twittato: «Congratulazioni ai colleghi per l’Oscar per il film Navalny! Spero che questo aiuti Alexei a sopravvivere». Mikhail Fishman, celebre giornalista e regista russo di vocazione liberale, ha descritto Navalny come un «eroe» chiedendone, una volta ancora, il rilascio. «Navalny ha ricevuto un Oscar perché è un eroe e perché non è ancora in vista il giorno in cui uscirà di prigione. Ma quel giorno arriverà sicuramente. Libertà per Navalny! Libertà per tutti noi!».

Alexei Navalny, 46 anni, sta scontando condanne per quasi 12 anni. Le accuse? Frode e oltraggio alla corte, fra le altre. I suoi sostenitori e i principali gruppi in difesa dei diritti umani hanno affermato che la sua salute, dopo una dozzina di periodi di isolamento, è gravemente peggiorata. Il trattamento riservatogli è stato definito «crudele, disumano e degradante» da Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale.

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