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«Dare un giudizio è una grande responsabilità»

L'intervista a Luca Marinelli, attore italiano membro della giuria del Concorso internazionale
Marinelli (primo da sinistra) insieme ai membri della giuria
Viviana Viri
14.08.2024 06:00

Abbiamo incontrato l’attore italiano Luca Marinelli membro della giuria del Concorso internazionale.

In attesa dell’uscita della serie M. Il figlio del secolo, che verrà presentata fuori concorso all’81. edizione della Mostra del Cinema di Venezia, nella quale interpreti Mussolini, sei a Locarno nella giuria del Concorso internazionale. Come trovi quest’esperienza?
«Penso di essere davvero fortunato, condivido quest’esperienza con persone davvero speciali con cui è un privilegio poter vedere dei film e discuterne. Credo che giudicare un lavoro sia una grandissima responsabilità, per questo quando guardo un film lo faccio con molto rispetto. La sua creazione è qualcosa di complesso, alla quale partecipano molte persone, ognuna con il proprio impegno».

Durante il prefestival è stato presentato il primo film scritto e diretto da Paolo Cognetti, Fiore mio (2024), dedicato alla sua montagna: il Monte Rosa. Un ritorno nei luoghi in cui è stato girato anche il film tratto dal suo libro Le otto montagne (2022), di cui sei stato uno dei protagonisti. Com’è stata questa esperienza?
«Purtroppo sono riuscito a vedere soltanto gli ultimi minuti del documentario, però Paolo ed io siamo riusciti ad abbracciarci. Le immagini che ho visto mi hanno subito riportato in quei luoghi. Poter partecipare a Le otto montagne è stata un’esperienza gigantesca, come poter lavorare ancora con un fratello (Alessandro Borghi), incontrare Paolo Cognetti ed il suo libro, la sua arte e la sua amicizia, essere diretto da due registi come Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch. Lì, inoltre, abbiamo incontrato la montagna e tutto il mondo di Paolo che quei luoghi li vive. Senza parlare di tutto quello che è venuto dopo: la partecipazione a Cannes, il premio della giuria. Sono state tantissime emozioni che ancora porto con me ad ogni presentazione del film».

Hai interpretato una vastissima gamma di personaggi spesso controversi e inquieti, da Non essere cattivo (2013) a Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), Martin Eden (2019), Diabolik (2021). C’è un ruolo che consideri più significativo nella tua carriera?
«Non ho un personaggio che per me è stato più importante, per me sono state tutte delle scelte e delle grandi occasioni. Da ognuno sono riuscito a cogliere qualcosa in più sul mondo che ci circonda e qualcosa in più su me stesso e su questo mestiere. Questi personaggi mi hanno permesso di incontrare numerose persone che mi hanno diretto e con cui ho lavorato. Ogni ruolo è stato un mondo a parte che mi ha permesso di crescere».

Quali sono, secondo te, le sfide principali che il cinema italiano deve affrontare oggi?
«Penso che sia importante dare spazio e avere il coraggio di promuovere anche altre persone, non parlo solo degli attori, ma del mondo dell’arte e dello spettacolo in generale. Credo che sia pieno di attori, registi e sceneggiatori, l’aspetto centrale è farli emergere cercando di non chiamare sempre solo i nomi più noti ma potersi aprire a un mondo che c’è, credo che il cinema italiano debba riuscire ad aprire le porte». 

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