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Dibattito acceso sullo schermo di Vacchini: «Ma non chiamatela polemica»

Allo Spazio Elle confronto fitto tra comitato, pubblico e Festival: si difende la memoria della storica struttura e si discutono possibili evoluzioni, mentre la petizione supera le 7.500 firme
©Gabriele Putzu
Mattia Sacchi
08.08.2025 21:01

Lo Spazio Elle di Locarno ha ospitato, questa mattina, l’incontro informativo promosso dal comitato della petizione «Locarno: don’t touch the screen», petizione che ha già superato le 7.500 firme, un numero paragonato dagli organizzatori alla capienza di una serata di successo in Piazza Grande.

Com’è noto, l’iniziativa chiede di mantenere e valorizzare lo storico schermo realizzato nel 1971 dall’architetto Livio Vacchini, considerato parte integrante dell’identità architettonica e culturale del Locarno Film Festival e, più in generale, della città.

L’appuntamento, che ha visto la partecipazione di circa un centinaio di persone tra cittadini, professionisti, esponenti del comitato e rappresentanti della direzione del Festival, è stato costruito come un momento di scambio. La volontà, espressa fin dall’inizio, era ascoltare tutte le opinioni e affrontare il tema senza irrigidimenti, cercando piuttosto di costruire un terreno comune di discussione.

Il dibattito è stato introdotto dall’architetto Michele Bardelli, che ha ripercorso la genesi e il significato del progetto di Vacchini. L’idea, ha spiegato, nacque all’inizio degli Anni ’70 per dare al festival un fondale scenografico capace di trasformare la piazza nella più grande sala cinematografica a cielo aperto d’Europa, con una struttura reticolare di tubolari che, assieme alla cabina di proiezione, creava un vero e proprio spazio architettonico, temporaneo ma di grande precisione tecnica. «Non parliamo solo di uno schermo - ha sottolineato - ma di un’architettura pubblica di rilevanza internazionale, cresciuta negli anni e capace di distinguere il festival per la qualità dell’inserimento nel contesto urbano». Bardelli ha rimarcato che l’intento non è aprire una «polemica sterile», ma interrogarsi sull’opportunità di sacrificare un elemento iconico per un risparmio stimato di circa 150.000 franchi annui, a fronte di quello che definisce «un evidente calo qualitativo» della nuova soluzione adottata quest’anno.

Sono seguiti contributi che hanno allargato la prospettiva. Il filosofo Giairo Daghini ha definito lo schermo e la cabina di Vacchini «un capolavoro», per la capacità di fondere l’esperienza cinematografica con lo spazio urbano: una trasformazione, ha detto, che avviene ogni sera di proiezione, quando il buio cala e la piazza diventa una sala con il cielo come soffitto e le facciate come quinte. Patricia Boillat, coinvolta negli Anni ’80 nello sviluppo delle prestazioni audio e video in Piazza Grande, ha ricordato le modifiche tecniche introdotte nel tempo per rispettare al meglio le opere proiettate e l’attenzione data all’acustica, sottolineando come la struttura originaria si sia dimostrata flessibile e migliorabile senza intaccare il concetto iniziale.

Dal pubblico, Marco Franscella - per oltre 20 anni costruttore della cabina di proiezione - ha smentito che la struttura fosse «obsoleta», assicurando che è «tecnicamente perfetta» e potrebbe durare ancora decenni. Di diverso avviso Ludovica Molo, direttrice dell’Istituto Internazionale di Architettura, che ha riconosciuto il valore del progetto ma ha ricordato come un’architettura temporanea, per definizione, possa trasformarsi: «Il nostro compito, come comunità e come architetti, è fare quadrato intorno al festival. Se lo schermo potrà evolvere, tanto meglio; se dovremo rinunciarvi, sarà una scelta dolorosa ma da accettare».

Più critico l’architetto Francesco Buzzi, che ha osservato come in passato ci si sia mobilitati molto meno per altre opere di Vacchini, citando la Posta di Locarno e il Lido di Ascona. Pur condividendo alcune preoccupazioni sulla qualità della nuova struttura, Buzzi non ha aderito alla petizione e ha auspicato un compromesso che salvaguardi il futuro della manifestazione.

Bardelli ha replicato ribadendo che la mobilitazione attuale è mossa dall’urgenza di evitare una perdita di qualità e dalla convinzione che la struttura di Vacchini, già di proprietà del festival, rappresenti ancora oggi la soluzione migliore. Da parte della direzione del Locarno Film Festival, il vicepresidente Luigi Pedrazzini ha ringraziato per il tono del confronto, «benvenuto» e utile a comprendere meglio le implicazioni culturali nell’uso degli spazi pubblici in città. Ha chiesto che venga riconosciuta la buona fede di chi, all’interno del Pardo, lavora per garantirne la continuità, sottolineando la disponibilità a proseguire il dialogo.

Parallelamente, nei giorni scorsi, il Festival ha annunciato l’apertura di una casella e-mail dedicata a raccogliere commenti e suggerimenti sul futuro dello schermo. Al termine della 78ª edizione, è previsto un tavolo di lavoro che coinvolgerà tutte le parti interessate, compreso lo Studio Vacchini, con l’obiettivo di arrivare a una soluzione duratura e condivisa, in grado di conciliare il valore storico e simbolico dell’opera con le esigenze logistiche ed economiche della manifestazione.

Prima della proiezione del cortometraggio Blackbox³, dedicato proprio alla cabina di proiezione, gli organizzatori hanno ricordato che la petizione resterà aperta per tutta la durata del festival e che le firme saranno consegnate alle autorità e alla direzione a fine rassegna. «Più saremo a sostenerla - hanno detto - più sarà forte la nostra voce». E dalle firme, che continuano a crescere, appare chiaro che il dibattito non si fermerà.

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