L'analisi

Donald Trump vuole rendere di nuovo grande Hollywood, ci riuscirà?

Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato dazi al 100% sui film girati e prodotti all'estero, provocando la caduta dei maggiori titoli del settore fra cui Netflix
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Marcello Pelizzari
05.05.2025 18:00

Mettiamola così: Donald Trump, ancora una volta, l'ha toccata piano. Oramai siamo abituati, si dirà. Vero. A questo giro, però, la notizia è succosa. Riassumiamo al massimo: il presidente degli Stati Uniti vuole difendere, con la forza, l'industria cinematografica di Hollywood. Ed è pronto, manco a dirlo, a varare dazi «al 100%» sui film girati e prodotti all'estero. Il tycoon, una volta di più, ha affidato il suo pensiero a Truth: «L'industria cinematografica americana sta morendo molto velocemente» ha esordito. E ancora: «Altri Paesi stanno offrendo ogni sorta di incentivo per attirare i nostri registi e studi cinematografici lontano dagli Stati Uniti. Hollywood e molte altre aree degli Stati Uniti sono devastate. Questo è uno sforzo concertato da parte di altre nazioni e, quindi, una minaccia per la sicurezza nazionale». Uscendo dal linguaggio di Trump, ci sarebbe uno sforzo coordinato (e propagandistico) per allontanare gli studios dall'America. Di qui, appunto, la decisione: «Autorizzo il Dipartimento del Commercio e il rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti ad avviare immediatamente il processo per l'istituzione di una tariffa del 100% su tutti i film che arrivano nel nostro Paese e che sono prodotti in Paesi stranieri». Infine, a caratteri cubitali, l'invito: «VOGLIAMO FILM REALIZZATI IN AMERICA, DI NUOVO». 

L'industria, oramai abituata a un sistema – chiamiamolo così – globalizzato, ha reagito male, anzi malissimo alla notizia. Lunedì, le azioni di alcuni colossi sono state caratterizzate dal segno meno: parliamo di Netflix (-6,2%), Paramount (-3,1%), Walt Disney (-3,6%), Fox Corporation (-2,1%) e Warner Bros. Discovery (-3,3%). Tradotto: le maggiori aziende cinematografiche e le piattaforme streaming a esse associate potrebbero soffrire, e non poco, se la misura diventasse realtà e, per questo motivo, molti investitori hanno cercato di liquidare le proprie posizioni. 

Le compagnie di produzione americane girano film e serie televisive all'estero per varie ragioni. In primis, per un discorso di coerenza e fedeltà rispetto alla trama. In seconda battuta, e questo è un aspetto sempre più centrale, perché diversi Paesi attirano produzioni e registi offrendo, fra le altre cose, incentivi fiscali. O perché, altrove, i costi sono semplicemente più bassi. A suo tempo, per intenderci, Toronto – in Canada – fungeva da set per molte storie ambientate a New York. L'introduzione di dazi potrebbe far lievitare, e non poco, i costi di produzione per chi, oramai, ha scelto e sceglie sempre di più l'estero per impacchettare un film o una serie. Dall'ufficio del governatore della California, Gavin Newsom, nel frattempo è arrivata una dichiarazione: «Riteniamo che il presidente Donald Trump non abbia l'autorità di imporre dazi ai sensi dell'International Economic Emergency Powers Act, poiché i dazi non sono elencati come rimedio in tale legge». Battaglia in vista, dunque?

Allargando il discorso, e al netto del braccio di ferro con la California, l'annuncio di Trump rappresenta una nuova svolta nella cosiddetta escalation tariffale. In un momento in cui, paradossalmente, la Casa Bianca parla di progressi nelle negoziazioni con i singoli Paesi, il presidente degli Stati Uniti ha aperto un ulteriore fronte. Gettando così nello sconforto un'industria, quella dell'intrattenimento, che stava uscendo da un periodo positivo: sia Netflix sia Disney, infatti, avevano registrato utili e ricavi superiori alle attese nel primo trimestre. Va detto, infine, che Trump ha una certa conoscenza del settore. Celebri, in questo senso, alcuni suoi cameo. Uno su tutti: quello in Mamma, ho riperso l’aereo: Mi sono smarrito a New York, dove indica al giovane Kevin McCallister dove si trova la reception. «In fondo al corridoio, a sinistra». Ah, piccolo particolare: durante le riprese l'iconico Plaza Hotel, teatro della scena, era di sua proprietà.

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