«I bambini sono specchi delle nostre emozioni»
Il regista e animatore svizzero riceverà questa sera il Locarno Kids Award la Mobiliare, il riconoscimento dedicato alle personalità capaci di far arrivare il cinema agli spettatori più piccoli. Autore dell’amatissimo Ma vie de Courgette (La mia vita da Zucchina, 2016), Claude Barras porterà in piazza Grande il suo ultimo lungometraggio, Sauvages (2024), recentemente presentato a Cannes.
Cosa l’ha ispirata a
creare Sauvages e quali sono i temi principali che voleva esplorare con questo
film?
«Sono cresciuto nelle Alpi, sia i miei
genitori sia i miei nonni provengono da un piccolo villaggio del vallese in cui
si praticava l’agricoltura tradizionale. Mi hanno sempre parlato molto della
loro infanzia, di come seguivano le stagioni e del tempo passato in quei
luoghi. La modernità ha in seguito stravolto tutto, per la mia generazione
spesso la parola contadino veniva usata come insulto. Riflettendo su questo
aspetto e sul nostro rapporto con la natura ho deciso di fare questo film.
L’altra ispirazione è stata l’incontro durante la mia adolescenza con i testi
dell’antropologo svizzero Bruno Manser, il suo impegno civile e la sua sensibilità alle
questioni ecologiche e alla natura mi hanno sempre impressionato. In questo
film ho voluto incrociare il
mio cammino, che viene dalla terra e dalla modernità, con la sua storia nel
Borneo».
Chi sono i selvaggi di
cui parla nel titolo?
«La parola selvaggio è una parola che è stata
utilizzata in diversi modi, come qualcosa di potente e di bello ma anche come
qualcosa di cattivo e duro, è una parola che è anche ambivalente, come la
modernità».
Quali sono state le
principali sfide che ha affrontato durante la produzione del film, sia dal
punto di vista tecnico sia narrativo?
«La più grande sfida che ho trovato nella
stesura della sceneggiatura è stata quella di fare una storia che non avesse
troppa morale ecologica e che non seguisse troppo il mio punto di vista sul mondo. Sono molto
pessimista e amareggiato dal cammino che ha preso la nostra società e da come
la politica e il
mondo finanziario considerano il nostro futuro. Questo mi ha dato la spinta per fare questo
film e raccogliere il
testimone lasciato da Bruno Manser. Tuttavia, se nel film avessi messo troppe
di queste tematiche sarebbe diventato un manifesto politico e sarebbe stato
meno interessante per il
grande pubblico. La mia idea era piuttosto quella di mostrare cosa mi irritava
e lasciare al pubblico la possibilità di scegliere e di giudicare liberamente.
La parte più difficile è stata proprio quella di togliere il mio giudizio».
Anche in Sauvages, come
nei suoi precedenti lavori, le emozioni hanno un ruolo centrale.
«Credo che questa sia
una scelta che mi leghi a qualcosa di ancestrale che troviamo nel raccontare
storie. Nell’utilizzare dei disegni o delle sculture c’è qualcosa di un po’
sciamanico che emerge. Le marionette possono raccontare delle storie e far credere
di essere viventi, spesso mentre lavoriamo noi stessi siamo presi dalle
emozioni che ci rinviano come uno specchio. Lo stesso fanno i bambini facendoci
vedere la parte positiva delle nostre emozioni, ma anche quelle che vogliamo
nascondere. Sono anch’essi come degli specchi delle nostre emozioni. Sono
diventato papà da poco, un bambino ci mostra anche quello che non vogliamo
vedere, questa è la parte interessante».
Il Locarno Kids Award la Mobiliare viene conferito a personalità capaci di
far arrivare il
cinema agli spettatori più piccoli. Quanto è importante parlare alle nuove
generazioni di queste tematiche e qual è la chiave per farlo?
«Non so se ci sia una chiave per farlo, spesso
Disney e Pixar utilizzano diversi livelli di lettura con delle gag indirizzate
ai bambini e altre pensate per i genitori. Nei miei lavori cerco piuttosto di
rivolgermi direttamente ai più piccoli, ma con dei temi seri e delle emozioni
forti. Tutti siamo stati bambini, e credo che tutti abbiamo avuto dei momenti
di fragilità nella nostra infanzia. È qualcosa che in qualche modo per forza ci
interessa e ci coinvolge. La chiave per me sta nel trattare i soggetti scelti
in maniera piuttosto sottile, in modo che i ragazzi possano riflettere.
Soggetti che non siano troppo violenti, ma allo stesso tempo in cui non bisogna
evitare di mostrare le difficoltà. In questo modo tutti possono trovare la loro
porta d’accesso al film e in un secondo momento la porta d’entrata dal film
verso la realtà. L’idea di fondo è che il film possa aiutare a far parlare anche di cose
che nella nostra società non sono così semplici. Le mie storie sono molto
realistiche, mi ispiro molto a Ken Loach e ai fratelli Dardenne. Quello che
rimprovero all’industria dell’animazione è di infantilizzare i ragazzi, per
questo motivo cerco di posizionarmi un po’ più accanto. A volte ci sono
comunque dei film che trattano un buon soggetto, ma sono volti al puro
intrattenimento. Credo invece che li si possa fare anche parlando di cose
interessanti, che ci riguardano tutti, e non solo per dimenticarci di tutto
quello che ci sta attorno».
Sauvages è una
produzione più cara rispetto a quella precedente?
«L’animazione in stop motion è una tecnica
molto costosa ed è necessario che ci lavorino molte persone, parliamo di circa
centomila franchi al minuto. La mia vita da Zucchina durava sessantadue minuti
ed è costato più di sette milioni. Sauvages invece arriva agli ottanta minuti
ed effettivamente è costato circa dieci milioni. Per finanziarlo abbiamo dovuto
cercare di riunire anche altri Paesi, in questo caso Belgio e Francia. È stata
un’ottima collaborazione che ci ha permesso di confrontare e scoprire tecniche
interessanti».
Sta lavorando a dei
nuovi progetti?
«Mi sto dedicando al mio prossimo lungometraggio, che sarà un adattamento
del fumetto Ce n’est pas toi que j’attendais, di Fabien Toulmé».