Locarno78

«Il cinema aiuta a dare un senso a ciò che viviamo»

Per il suo impegno nel sostenere il cinema indipendente, la casa di produzione libanese Abbout Productions, guidata da Georges Schoucair e Myriam Sassine, ha ricevuto ieri sera in Piazza Grande il Raimondo Rezzonico Award – Oggi, alle 10.30, i produttori incontreranno il pubblico del Festival al Forum @Spazio Cinema
© Ti-press / Samuel Golay
Viviana Viri
08.08.2025 06:00

Per il suo impegno nel sostenere il cinema indipendente, la casa di produzione libanese Abbout Productions, guidata da Georges Schoucair e Myriam Sassine, ha ricevuto ieri sera in Piazza Grande il Raimondo Rezzonico Award. Oggi, alle 10.30, i produttori incontreranno il pubblico del Festival al Forum @Spazio Cinema.

Da anni, Abbout Productions crea un'immagine del Libano lontana dagli stereotipi, raccontando storie che vanno oltre le narrazioni ufficiali. Che valore ha per voi questo premio?
«Per noi, questo premio rappresenta un riconoscimento molto importante, soprattutto considerando le difficoltà che affrontiamo quotidianamente in Libano, dove fare cinema è una vera sfida. La mancanza di infrastrutture e le difficoltà legate alla produzione sono ostacoli reali. Siamo una delle pochissime case di produzione indipendenti nel Paese, l’unica che si dedica esclusivamente al cinema. Fin dall'inizio, il nostro obiettivo è stato quello di realizzare film che riflettessero la complessità del nostro paese. Questo premio arriva dopo momenti di grande difficoltà, in cui ci siamo sentiti demotivati e senza certezze. È una spinta per il futuro, un incoraggiamento a non fermarci e a proseguire con il nostro lavoro».

A Locarno presenterete due film: Costa Brava, Lebanon (2021) di Mounia Akl e Memory Box (2021) di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige. In che modo queste pellicole riflettono la realtà e le sfide del Libano, e il vostro modo di raccontarle?
«Abbiamo scelto questi due film perché, oltre ad averli seguiti personalmente, parlano in modo profondo della storia del Libano, ma da prospettive diverse. Memory Box esplora la storia del nostro paese attraverso tre generazioni di donne ed è anche una narrazione molto personale per la regista, Joana Hadjithomas. Costa Brava, invece, è un film molto simbolico: racconta il contesto sociale e politico del Libano, le sue ferite storiche, ed è stato girato poco dopo l’esplosione del porto di Beirut. In quei giorni di distruzione, ci siamo chiesti a lungo se fosse giusto proseguire, così il film è diventato una riflessione sul presente. Abbiamo girato tra le macerie, i nostri uffici e le nostre case erano distrutti. Quella tensione, quella lotta, si è riflessa nel nostro lavoro. E forse, in fondo, questo è il vero significato del fare cinema: è una forma di resistenza che ci aiuta a dare un senso a ciò che viviamo. Costa Brava per noi rimarrà più una testimonianza che un semplice film, nonostante l'apprezzamento che ha ricevuto».

Quali sono state le sfide più grandi di quel periodo?
«Le difficoltà che abbiamo affrontato sono state enormi: il paese è letteralmente crollato sotto i nostri piedi. Dal 2019, il Libano ha attraversato una crisi finanziaria devastante, seguita dalla pandemia e, nel 2020, dall’esplosione del porto. E non possiamo dimenticare l'ultimo anno. Ogni aspetto della nostra quotidianità è diventato una sfida. Le nostre stesse vite sembravano sospese. Eppure, nonostante tutto, il cinema è stato un rifugio. Costa Brava è nato in quel periodo di incertezze, e per noi è diventato una testimonianza di quel momento storico».

In questo contesto, i vostri film si trasformano anche in documenti storici.
«I nostri film, in un certo senso, sono frammenti di memoria collettiva. Sono documenti storici che raccontano un paese in frantumi, ma anche la resilienza delle persone che lo abitano. Diaries from Lebanon (2024), ad esempio, è nato come una riflessione sull'amnesia storica, ma si è trasformato in una cronaca di un paese al collasso. Per le nuove generazioni, è un archivio visivo che aiuta a comprendere il loro passato recente. In Libano, infatti, esiste un problema di trasmissione: c'è un tale desiderio di guardare avanti che spesso non ci si ferma a riflettere su ciò che è appena accaduto. In questo contesto, il cinema diventa un atto di resistenza, un modo per conservare ciò che è stato».

In che modo queste crisi hanno influenzato e trasformato il panorama cinematografico libanese e il vostro lavoro?
«La crisi ha cambiato profondamente il nostro approccio alla produzione. Con una politica instabile e un’industria cinematografica inesistente, ci siamo sempre affidati a coproduzioni internazionali, non siamo mai riusciti a produrre in totale autonomia. E forse, proprio questa difficoltà ci ha spinti a migliorare rapidamente e a crescere. La qualità del nostro cinema è notevolmente aumentata. Il Libano ha ancora molte storie da raccontare, e ora stiamo cercando di aprirci a nuove cinematografie. L'ironia è che il nostro prossimo film, che sarà presentato a Venezia, è una commedia romantica. Dopo anni di drammi, ci siamo concessi un po’ di leggerezza, ma il contesto di guerra e crisi è sempre presente sullo sfondo».

Il vostro impegno per il cinema indipendente include anche iniziative come la riapertura del cinema Metropolis di Beirut, un punto di riferimento per la produzione e la programmazione cinematografica della regione, e il Maskoon Fantastic Film Festival, l'unico evento interamente dedicato al cinema di genere nel mondo arabo.
«Il cinema Metropolis è un progetto che abbiamo creato quindici anni fa e che è stato colpito duramente dall’esplosione. Nonostante le difficoltà, abbiamo deciso di ricostruirlo, non in un centro commerciale, ma in un edificio simbolico per la cultura. Tra dicembre e giugno, la sala ha registrato quarantamila presenze, questo dimostra che continua ad esserci un pubblico che ha bisogno di spazi per riflettere, sognare, condividere esperienze. È una speranza che ci accompagna, nonostante la situazione continui ad essere instabile. Il Maskoon Fantastic Film Festival, invece, è nato da una frustrazione: volevamo superare l’idea che il cinema libanese fosse confinato esclusivamente al dramma sociale. Volevamo dimostrare che anche il cinema di genere può essere un cinema d’autore, capace di raccontare storie autentiche e significative». 

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